Viaggio insieme ai giovani turisti delle città invisibili per capire dove stiamo andando. Nella valigia un pensiero minimo ma non lacrime e trionfi “da televisione” .
La rubrica le città invisibili si è riempita di tante parole e di qualche silenzio, mi tiene compagnia da un bel po’ di tempo e mi aiuta a riflettere meglio sulle tante questioni che investono la nostra esperienza quotidiana. Un forum nasce quando una piazza diventa sensibile alla discussione e i suoi cittadini pensano che condividere i problemi sia già l’inizio di una risoluzione. Così sta accadendo con il problema dei rifiuti, che risveglia il bisogno di essere protagonisti delle scelte di un paese, ma accade meno quando i problemi, pur vissuti da ciascuno, non sono ancora percepiti come problemi collettivi. Perciò è il caso di continuare una riflessione che apra un dibattito educativo sulla partecipazione e la cooperazione, soprattutto quando essa è destinata ad esprimersi in un ambito legato alle problematiche giovanili.
In questa prospettiva facciamo riferimento ai modelli socioculturali che i nostri giovani e noi stessi utilizziamo per dare un significato alla nostra quotidianità. Un modello culturale è alla base della costruzione di una comunità, a tal punto che analizzare i problemi della collettività vuol dire, essenzialmente, affrontare il discorso del modello antropologico sotteso ai comportamenti significativi di quella collettività. Il modello è subordinato alla definizione delle abitudini sociali, dei modi tipici di sentire, di pensare e di agire. Tali schemi, costruiti lungo il passare delle generazioni, vengono trasmessi ed appresi attraverso la mediazione di simboli, di archetipi, di metafore, che presto diventano patrimonio comportamentale della comunità. Per esempio: la pace e la guerra, la comunicazione, la competizione, lo scambio economico.
Per questo motivo è essenziale affrontare ed approfondire tali modelli per comprendere dove stiamo andando, come ci evolviamo e, soprattutto, quali sono le rappresentazioni che di sè stessi danno i giovani, protagonisti assoluti dell’incarnazione dei modelli socioculturali. Seguendo lo scrittore Italo Calvino, che ha dato ad uno dei suoi libri più famosi, il titolo Le città invisibili, possiamo tentare, nella prossima serie di articoli, di svolgere come delle relazioni di viaggio immaginarie, che possano aiutarci a capire e a pensare le ragioni di ciò che ci accade intorno, convinto, come sono, che oggi il problema dei problemi è non pensare più. Scrive Calvino, riferendosi all’imperatore Gran Kan, che insieme a Marco Polo, è il protagonista del libro: “A questo imperatore malinconico che ha capito che il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili.”1
Pensare è assumersi una responsabilità; infatti chi non pensa, non è colpevole di ciò che fa, come suggerisce perfino il libro dei libri; ma chi pensa, deve assumere su di sè il peso dell’impegno. “Tu sei responsabile per sempre delle cose che ami” dirà la volpe al Piccolo principe ed Alioscia, il protagonista de “I fratelli Karamazov”, si chiederà spesso perchè il male vince lì dove il pensiero perde.
Allora cercheremo di riprendere l’abitudine ad un “pensiero minimo”, ma controcorrente e forse antipatico, perchè non in linea con le lacrime e i trionfi di “Amici” o con le scemenze dei tanti “pacchi”, che andiamo aprendo nella nostra esistenza, nell’illusione di trovarci soluzioni che spettano, invece, solo a noi.
Indagheremo le città del senso, forse perchè “sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili (:) Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio”2 , bisogna esplorarle, in maniera da individuare non le risposte, che servono a ben poco, ma le domande giuste da porci per capire i nostri giovani e noi stessi. Noi che abbiamo attraversato la giovinezza con l’inquietudine di una fiera vigorosa, ma braccata.
1 Calvino I. le città invisibili, ed. Oscar Mondadori p. VIII
2 Ibidem, p.IX