Gianna Albini Bigazzi, moglie dell’indimenticabile compositore Giancarlo di cui abbiamo già parlato in un articolo del 6 settembre scorso, in esclusiva per la nostra rubrica Frazioni musicali ci racconta la sorprendente genesi di una delle canzoni italiane di maggiore successo di tutti i tempi, concepita grazie all’estro e alla geniale intuizione del suo autore.
“La mattina del 29 gennaio del 1977 cominciai a ricevere gli auguri dai miei figli e da tanti amici. Il Bigazzi, col suo fare un po’ evanescente, mi chiese se per caso si fosse trattato del mio compleanno… Un po’ risentita gli risposi che Natale era già passato e lui, senza scomporsi, mi chiese se avessi già provveduto a farmi il regalo.
Giancarlo era così: capace, come pochi, di farti sorprese e regali all’improvviso, senza una motivazione ben precisa, salvo poi dimenticarsi delle ricorrenze e delle feste cosiddette comandate.
– Ma come fai a non capire che non è la stessa cosa se il regalo me lo faccio io? – Gli tuonai. E lui, in tutta risposta, sarcastico come sempre, mi incalzò con un: – Dai Bolero! – (Era una rivista per donne romanticone dell’epoca, n.d.r.) – Non prendertela e decidi tu dove si va a ristorante questa sera -.
– Decido io? E allora niente ristorante! Sappi che prenderò due biglietti per la Gatta Cenerentola che è in scena al Verdi di Firenze. – Ah vuoi andare a teatro? – Rimbrottò… – Ma, almeno, si può fumare? Allora va bene -.
Per tutto lo spettacolo Giancarlo rimase come ipnotizzato, in modo particolare dal Canto delle lavandaie. Rientrati a casa, nella villa di Settignano, si catapultò al pianoforte posizionato nell’enorme salone di piano terra e ci rimase per tutta la notte, mentre io ero al piano superiore a dormire dopo averlo aspettato invano. Al mattino seguente, con mio grande disappunto, lo ritrovai appisolato (sul vicino divano) ancora vestito con l’abito da gala della sera precedente, in una coltre di fumo causata dalle sue immancabili sigarette. Dinanzi a quella scena cominciai a inveire, a lanciargli cuscini e a dimenarlo, dicendogli che avrebbe fatto bene a farsi una doccia viste le condizioni non proprio consone e lui, appena ridestatosi, mi fece: – Non stare sempre a lamentarti, ascolta qua cosa ho composto, è per te, si chiama Ti amo -.
Cominciò a ritmarla sul piano prendendo i primi accordi e subito con la mente andai a quel tun tun tun, del Canto delle lavandaie di Roberto De Simone. In un attimo mi placai e gli dissi: – Va bene ma adesso apriamo le finestre che sembra di stare in val padana -.
Tutta la notte si era messo a comporre musica e parole e, sbollentata la rabbia, rimasi sorpresa per come Giancarlo fosse stato ispirato, oserei dire folgorato, da un genere musicale solo apparentemente lontano anni luce dalla cosiddetta musica pop e leggera. In quel frangente, capii che lui era fatto così e che per amore avrei dovuto accettarlo in toto. Del resto gli artisti sono un po’ geni e un po’ bambini e bisogna prenderli o lasciarli, amarli per quello che sono, senza riserve.
Per la cronaca, era nato il brano che affidato a Umberto Tozzi fece il giro del mondo. Umberto era approdato a casa nostra con l’idea di fare l’autore ma mio marito, una volta lette alcune cose, gli disse che avrebbe dovuto solo cantare e che, anche in veste di produttore, gli avrebbe dato dei consigli su come impostare il tutto.
Ero incinta di nostro figlio Giovanni e i casi della vita hanno voluto che il giorno che ho partorito, il 9 luglio, Ti amo venisse certificata disco d’oro per le 500.000 copie vendute e non solo in Italia. A oggi il 33 giri che la contiene ha venduto ben otto milioni di copie. Da allora in poi, quando in occasione delle ricorrenze cercavo di capire se si fosse ricordato, Giancarlo, con tono sornione e come forma di risarcimento morale, mi diceva: – Ricordati che per te ho scritto Ti amo! -“.