Coronavirus, Settimana Santa senza processioni in Campania

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La Penisola sorrentina, Sessa Aurunca, Procida, Somma Vesuviana, Acerra e tanti altri paesi hanno sempre partecipato al dramma della Mater Dolorosa. Il coronavirus ha interrotto una plurisecolare tradizione, che affonda le sue origini nel XVII secolo. Quale potrebbe essere il ruolo delle confraternite laicali?

 

Non sfileranno, dunque, i lunghi cortei in sai bianchi o neri con gli imponenti apparati statuari della Madonna Addolorata, vestita a lutto, con le artistiche sculture del Cristo Morto. Ne tantomeno ascolteremo da lontano i folti e suggestivi cori polifonici del Miserere, in particolare quello a tre voci di Sessa Aurunca. Le bande musicali, con le loro note dolenti, non potranno più coinvolgere gli animi sensibili.

Il coronavirus ha interrotto, purtroppo, questa plurisecolare tradizione, che nemmeno le guerre mondiali e le calamità naturali avevano fermato in passato. Già nei giorni scorsi, il Vescovo di Nola aveva disposto, con un suo decreto, la sospensione di ogni manifestazione pubblica di pietà popolare (art.6),  considerato il Decreto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti e valutati gli orientamenti per la Settimana Santa della Presidenza della Cei e tenuto conto dei Decreti governativi.

Le processioni del Venerdì Santo nascevano con lo scopo di far rilevare ai fedeli il dolore della Chiesa per la Passione e Morte di Cristo. Nel Regno di Napoli, durante il XVII secolo, la nobiltà, in particolare, si prodigò tantissimo per alleviare la sofferenza dei più poveri, fondando nelle chiese numerose confraternite con lo scopo principale di perseguire opere di pietà.

Tanti sodalizi, oltretutto, conservavano, tra le loro pratiche devozionali, la consuetudinaria festa della commemorazione dei Dolori di Maria nel giorno del Venerdì Santo. Era, questo, un momento molto sentito, che si celebrava normalmente nell’oratorio di appartenenza el sodalizio e si chiudeva con la processione detta, comunemente, dell’Addolorata con il Cristo Morto. Normalmente tale rito era affidato, spesso, alle confraternite della Morte, come avviene, per esempio, a Meta di Sorrento, Somma Vesuviana, Molfetta, Piano di Sorrento, Sessa Aurunca e cosi via. Era un genere di dramma sacro, molto propagandato dall’Ordine dei Gesuiti nel Regno. L’etnologo Roberto De Simone ha sempre affermato che, nel XVII secolo, la Chiesa aveva preso una decisa posizione contro la commedia dell’Arte, operando una teatralizzazione della liturgia cattolica, le cui forme sceniche potevano ben competere con l’arte dei buffi istrioni. In questo contesto la religione si spettacolarizzava con delle vere azioni teatrali a carattere edificante con l’impiego di croci, sudari, corone, statue e così via.

I riti del Venerdì Santo hanno rappresentato, da sempre, il momento per eccellenza della tradizione religiosa extraliturgica ove, maggiormente, si è espressa la fede del credente. La partecipazione ad essi è stata, da secoli, uno dei modi per attestare e manifestare il legame che unisce l’uomo alla divinità. Ora, purtroppo, non è il momento, anche se per qualcuno, a causa della pandemia in corso, recupereremo dal basso i virtuosi concetti di solidarietà e di socialità.

E intendo insistere su questi virtuosi concetti che, per secoli, hanno animato l’operosità cattolica delle numerose confraternite laicali. Spero che il loro impegno e il loro contributo, in questi giorni tragici, si ricolleghi a quello dei loro avi. Nel 1656, durante la tremenda peste, la Congrega della Morte della Terra di Somma, ad esempio, si attivò nel sociale con opere filantropiche di indubbio spessore, portando sollievo agli ammalati e aiutando i poveri infermi, oltre a seppellire i morti in miseria. Cento anni fa, in occasione dell’ influenza spagnola tutte le confraternite erano impegnate ad accompagnare le salme ai cimiteri e a portare il Santissimo Viatico, insieme ai ministri straordinari, agli infermi. La partecipazione dei laici è stata per lunghissimi secoli l’aiuto più consistente e l’apporto più sicuro alla vita delle comunità parrocchiali. Oggi non sembra il caso, i tempi sono cambiati, la loro attività si è ridotta di tanto, ma potrebbero avere una missione concreta ed attuale nella Chiesa di appartenenza, promuovendo, nello spirito del volontariato, la solidarietà umana e cristiana con iniziative socio – caritative.