Ieri pomeriggio il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, aveva addirittura minacciato di chiudere i confini regionali nel caso in cui il governo avesse accelerato l’iter per l’inizio della cosiddetta Fase 2, quella di graduale fuoriuscita dal lockdown. Il presidente della giunta regionale ritiene che sia prematuro proclamare il liberi tutti nel momento in cui alcune regioni del Nord Italia presentano ancora numeri preoccupanti tra contagi e decessi da COVID-19. Poche ore dopo, questa mattina, il Corriere della Sera pensava bene di mostrare in prima pagina il titolone “Fase 2: scontro Nord-Sud”.
In realtà questo scontro è tutto mediatico e si combatte, al massimo, nelle dirette Facebook, quindi è prettamente dialettico. Ciascun governatore è chiamato quotidianamente a prendere decisioni importanti nella misura in cui riguardano ogni volta l’intera popolazione: tuttavia il terreno in cui sono costretti a muoversi è sconosciuto. Le uniche informazioni certe di chi amministra il territorio sono quelle relative alle infrastrutture a disposizione e al tessuto sociale di riferimento. Di conseguenza Vincenzo De Luca, istrione per eccellenza della politica italiana, dà il giusto peso ad ogni parola e agita lo spauracchio dell’auto-confinamento perché sa benissimo quali sono i numeri che arrivano dalle zone più colpite dal virus.
Ieri il sito Youtrend ha analizzato i nuovi dati sulla mortalità elaborati dall’Istat il 16 aprile scorso: il certosino lavoro dell’istituto nazionale di statistica permette finalmente di osservare l’impatto della pandemia sulla popolazione, includendo nella collezione di dati ben 1.689 comuni che fanno parte dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR). I dati pubblicati da Istat, che permettono di capire meglio cosa sta accadendo in alcune regioni e province dell’Italia settentrionale, riguardano solo i comuni che hanno registrato oltre dieci decessi negli ultimi tre mesi e dove la mortalità è cresciuta di almeno il 20% nel 2020 rispetto alla media 2015-2020. La cosa che balza immediatamente all’occhio è che i 1.689 comuni presi in considerazione abbiano registrato 20.454 decessi tra il 1 marzo e il 4 aprile del 2019. Nello stesso periodo del 2020, invece, i decessi sono saliti a quota 41.329, con una crescita praticamente raddoppiata del 102%. La situazione peggiora se si considera il livello regionale: nei 622 comuni lombardi considerati da Istat ci sono stati ben 12.576 decessi in più rispetto allo scorso anno, con un aumento del 174%. Infine, volgendo lo sguardo alle province e selezionando quelle con almeno cento decessi nel 2020, le dieci più colpite si trovano in gran parte in Lombardia. La prima è Bergamo, tristemente salita agli onori delle cronache con le famigerate carovane di camion dell’esercito, che registra un eccesso di 4.055 morti rispetto al 2019, aumentando del 537%.
Probabilmente sono proprio questi i dati in possesso da De Luca, il quale sa perfettamente che se una situazione del genere si sviluppasse anche in Regione Campania sarebbe un’ecatombe dai contorni inimmaginabili. Meglio prolungare per tutti una finta quarantena piuttosto che ritrovarsi a dover gestire un lazzaretto vero. Nelle ultime ore il governatore ha sottolineato sui canali social l’importanza dei posti letto in terapia intensiva che sono in via di allestimento presso i nuovi ospedali modulari di Caserta, Salerno e dell’Ospedale del Mare a Ponticelli. Un totale di 120 ulteriori postazioni atte a contenere un’eventuale e più acuta fase di emergenza. Tuttavia, come ha mostrato la trasmissione Report nel corso della puntata “Il paziente zero” (segmento “Vedi Napoli”), sono ancora numerose le criticità per il sistema sanitario campano: per esempio, se una persona si ammalasse di COVID-19 in Costiera Amalfitana, dove c’è un ospedale che giace in stato di abbandono da anni, oppure in Cilento o nel più lontano Vallo di Diano, un’ambulanza impiegherebbe circa due ore per trasportarla all’ospedale attrezzato più vicino. Un rischio altissimo che evidentemente nessuno vuole correre.
Non per fare del becero populismo, ma anni di tagli alla sanità hanno favorito un’attualità che non consente voli pindarici: in questa fase di emergenza bisogna fare il massimo con quello che c’è. Non ci si può aspettare che improvvisamente le cose funzionino in Campania come in Corea del Sud. Per tamponare il rischio che la pandemia prenda piede anche al Sud Italia si sobbarca di responsabilità una popolazione che a stento oggi sa riconoscere il senso civico. E allora ben venga anche la chiusura dei confini se serve a limitare i danni, a patto che poi si recuperi il tempo perduto e ci si dedichi finalmente a forgiare una cittadinanza consapevole, amministrando con criterio e senza l’assillo della sorveglianza. Bisogna subito trovare un equilibrio possibile tra le sofferenze provocate dalla minaccia alla salute e da quella alla vita economica delle persone, dei lavoratori: sul Corriere del Mezzogiorno si denunciano 600.000 turisti in meno in Campania negli ultimi due mesi, ma allo stesso tempo si riscontra un tasso di mortalità che non è straripato come al Nord, per fortuna (il Ministero della Salute afferma che “tra le città del Centro-Sud la mortalità totale è stata lievemente superiore all’atteso”).
Gli studiosi, quelli esperti di curve e tabelle tanto in voga oggi, sono chiamati a comprendere che il COVID-19 non è solo un fatto organico, medico, sanitario, bensì anche sociale: di conseguenza non è auspicabile una scissione tra natura e cultura proprio adesso, in quanto rischierebbe di produrre effetti di realtà dannosi anche quando il contagio verrà (forse) definitivamente debellato, in attesa del prossimo.
Bisogna trovare una convergenza, una sana unione di intenti che non ci trasformi, con un balzo nel passato, negli antichi granducati che si facevano la guerra. Chi vuole ripartire subito ha alle spalle una tragedia che le parole non possono più descrivere e che forse gli occhi non vogliono più guardare, ma chi vuole attendere si trova a dover gestire la consapevolezza di poter essere ancora rincorso dalla minaccia. Sono due sentimenti opposti, uno liberatorio, industrioso ma anche imprudente, e l’altro più circospetto e avveduto, ma anche diffidente: entrambi comunque fortemente egoisti e inconsapevoli perché alle prese con una serie di incognite.
La vera domanda, forse, riguarda qualcosa di più profondo: ha senso smettere di vivere per paura di morire?
(Immagine: newyorker.com)