Il nostro tempo si svolge sotto il segno della menzogna, Della “verità nell’amore” parla San Paolo nella lettera agli Efesini. L’ “amore nella verità” talvolta ci induce a nascondere il vero, a dissimularne la portata. La “verità nell’amore” richiede coraggio. In ogni caso, il nostro tempo ha bisogno assoluto di quella Verità che Caravaggio seppe rappresentare nella “Natività” rubata a Palermo 50 anni fa.
Che il nostro presente sia scosso, a tutti i livelli, dall’ onda delle chiacchiere e della menzogna, è verità solida e certa. Non mi riferisco solo alla menzogna usata sistematicamente come strumento politico, e studiata con drammatica profondità da Bauman, da Koyré, da Eco. Tra l’altro, Umberto Eco ci ha anche spiegato, negli ultimi suoi saggi, che i politici italiani hanno, nell’uso dello strumento già di per sé non facile da usare, una scarsa destrezza: tuttavia essi conquistano il favore degli elettori, e il fenomeno sollecita una riflessione sul tema, caro a Eco, della cultura di massa. Ma la menzogna di cui ora vogliamo far cenno è quella che ciascuno di noi usa contro sé stesso, quando non vogliamo ascoltare la voce delle persone e delle cose, e la nostra stessa voce, quella che sale dall’ intimo: quando ci impigliamo da soli nella rete dell’inganno persuadendoci che tutta la realtà sia finzione e che perfino l’evidenza sia una illusione teatrale. A Cristo che nasce dobbiamo chiedere ciò che Paolo chiede nella lettera agli Efesini: la verità nell’amore. Diceva un teologo mio amico: notate che Paolo non dice” l’amore nella verità”, poiché vivere l’amore anche nello spazio della verità può talvolta indurci a nascondere la verità, a dissimularne la portata, se pensiamo che questa verità possa arrecare sofferenza alle persone che amiamo. L’”amore nella verità” spesso lascia che le storie delle persone continuino a svilupparsi lungo la strada già individuata e tracciata, anche nelle situazioni in cui sarebbero necessari l’urto del nuovo, una svolta radicale, il cambiamento totale. Paolo dice “la verità nell’amore”, e dunque indica nella verità il principio di tutto. La verità nell’amore toglie veli, spazza via dissimulazione, ipocrisia e finzione, strappa le maschere, dissolve gli ingannevoli colori delle recite di cui tutti siamo attori, soprattutto in giorni come questi, in cui le piazze e le strade reali e quelle dei “social” sono il teatro dei buoni sentimenti, dei baci e degli abbracci, degli auguri gridati. La “verità nell’amore” chiede coraggio, intelletto lucido, sentimenti forti: chiede a ciascuno di noi di incominciare ad essere sé stesso, nell’autenticità dell’essere, e non come figura da palcoscenico.
Tutto questo lo dico soprattutto e prima di tutto a me stesso: è una riflessione, non è una predica. E ho scelto come immagine di corredo quella della “Natività” di Caravaggio, del capolavoro che cinquanta anni ladri ancora ignoti portarono via dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. L’ho scelta perché Caravaggio dimostra che la scena, anche “vista” in una prospettiva che non è quella idealizzata del Rinascimento, conserva intatto il suo significato profondo. Maria è prima di tutto una madre che ha partorito da poco, è una donna del popolo che rivolge al bambino uno sguardo d’amore che la stanchezza e la sofferenza rendono ancora più intenso. E “nuova” è la figura di Giuseppe, che ha i capelli bianchi come chiede la tradizione, ma ha il corpo vigoroso di un giovane, colto in un movimento e in un atteggiamento di assoluta originalità. Ma questa scena “comune” si svolge sotto gli occhi di San Lorenzo e di San Francesco, testimoni altissimi di quanto sia bella e difficile la strada della “verità nell’amore”.