UN VOTO PER CAMBIARE CHE?

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    Dai manifesti si chiede il voto “in nome del popolo”. Ma questo popolo è stufo e fuori dai giochi: è un popolo bue. Attenti agli schizzi.

    Caro Direttore,
    è arrivata anche la scadenza per la presentazione delle liste alle prossime elezioni regionali. Avrei preferito essere smentito e sbeffeggiato; invece, ancora una volta, ho vestito gli abiti di Cassandra (“Di Cassandra si innamorò Apollo, che per avere le sue grazie promise di insegnarle l”arte della profezia; così Cassandra imparò la mantica, ma continuò a negarsi al dio: e Apollo fece in modo che le sue profezie non venissero mai credute”, Apollodoro, Biblioteca, III).

    Come avevo (facilmente) previsto, infatti, gli elenchi dei candidati, da qualche giorno depositati in prefettura, sono per la maggior parte accomunati dall”unico simbolo indelebile e trasversale del “tengo famiglia”. C”è di tutto: mogli, amanti, figli, nipoti, cognati, veline, velone, inquisiti, meteorine e segretarie molto particolari. Ora, poi, nei prossimi giorni, ci troveremo ad affrontare la carica del manifesto selvaggio. E se uno avesse avuto l”accortezza di conservarsi qualche pubblicità delle passate competizioni elettorali (santini o schede fac simile), oggi si troverebbe, quasi, ad impazzire, nel constatare i salti della quaglia da una coalizione all”altra (talvolta con ritorno), da un partito all”altro (talvolta con ritorno).

    Stamattina, quando sono sceso a comperare il giornale, ho visto già tre gigantografie di candidati, che implorano uno voto “per la loro storia”, che o ci fa andare avanti o ci fa riprendere il futuro o ci restituisce la partecipazione (ed altri slogan simili senza senso). Credimi, Direttore, per tutti e tre quei candidati, non sarebbero bastati i partiti dell”arco costituzionale: infatti, sono stati –in tempi diversi, a seconda di come fischiava il vento e degli interessi di bottega- a sinistra, a destra, al centro ma “sempre nell”interesse del popolo!”.

    Se vai a vedere, Direttore, tutti coloro che si presentano alle elezioni hanno una buona posizione finanziaria alle spalle. E sì, perchè, oggi, per far politica bisogna esser ricchi o, almeno, avere la capacità di sapersi procurare i denari necessari ad affrontare una competizione dispendiosa, non per le energie ma per le cene, i regali, i pacchetti di voti, i manifesti, gli striscioni, i palchi, i locali, le kermesse, i santini, i santoni e i caporioni. Ovviamente, questo sperpero, questo dissanguamento deve pur avere uno scopo, anzi due. Uno è quello di natura più marcatamente venale: ogni investimento deve essere redditizio; se investo dieci, mi deve rientrare almeno il doppio!

    Un altro è di natura (pseudo) ideologico (l”ho sentito pronunciare qualche giorno fa da un eminente uomo politico): sostenere l”esercito del bene contro l”esercito del male! “Compagno, io non ti volevo uccidere. E se tu saltassi un”altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purchè anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un”idea, una formula di concetti, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me.”, (Erich Maria Remarque, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, Mondadori, 1974).

    Quale sarebbe, poi, l”esercito del bene e quale quello del male, non lo so. So soltanto che, così, passa l”idea (ormai, ci credono un po” tutti!) che la nobile arte della politica è solo una guerra di interessi, non importa se combattuta da eserciti o da compagnie di ventura, da “ndrine o da holding. E, di conseguenza, per far politica, non necessitano persone perbene (perchè, secondo la vulgata corrente, gli onesti sono fessi) ma furbi, imbroglioni, calcolatori, altrimenti definiti anche figli di zoccola.

    Caro Direttore, io, come te, vivo dello stipendio. Per gli anni di servizio e per il mio profilo professionale percepisco, mensilmente, più di te, però, vivo male. Arrivo sempre con l”acqua alla gola a fine mese. Ho dimenticato gli abiti delle boutiques, acquisto ai mercati di rione; ho bandito molti cibi prelibati, mangio surgelati; anche le scarpe me le vado a scegliere nei grandi centri commerciali o a Poggioreale (sempre al mercato). E pensa quanta gente sta peggio di noi! Pensa a tutti quanti stanno perdendo il lavoro, a quanti non sono riusciti mai ad averlo, ai pensionati con cinque o seicento euro al mese:

    Questi poveri derelitti non faranno mai una vacanza a Sharm el Sheik o in Kenya, non prenoteranno mai, con un anno d”anticipo, un”estate in Costa Brava e, nel caso avessero contratto un mutuo bancario, non sapranno come evitare la rete degli usurai o, se vuoi chiamarli diversamente –ma la sostanza non cambia- dei cravattai. Come si fa, Direttore, a chiedere a tutta questa sfortunata gente un voto per cambiare? Come si fa a giustificare, agli occhi di chi non ha un euro per un pezzo di pane, le spese per le consulenze sostenute dalle nostre istituzioni, quelle per i portaborse-parassiti di Palazzo, quelle per alimentare le società costituite dai parenti (soggetti attuatori per i grandi e i piccoli eventi, per le ristorazioni o per lavori di ristrutturazione), quelle erogate per rimborsi spese, viaggi di piacere o vacanze trascorse con familiari al seguito o amanti o escort?

    Come si fa, Direttore, a giustificare a chi non può mangiare che per i tre giorni del G8 a l”Aquila sono stati spesi, per esempio, venticinquemila euro per la fornitura di accappatoi e asciugamani o trecentoquarantasettemila euro per la fornitura di televisori Lcd o ventiseimila euro per la fornitura di 60 penne edizione unica? È vero, la storia la scrivono sempre i vincitori e la raccontano a modo loro. La conquista del Santo Sepolcro, per esempio, raccontata dalla parte dei crociati, è un”eroica avventura di fede e di coraggio. Ibn Al-Athìr, uno storico arabo, racconta, invece, lo stesso fatto, fornendo una versione alquanto diversa:

    “La popolazione fu passata a fil di spada e i Franchi stettero per una settimana nella terra, facendo strage dei Musulmani:Dalla Roccia predarono più di quaranta candelabri d”argento, ognuno del peso di tremilaseicento dirhem (moneta d”argento in uso nei paesi arabi), e un lampadario d”argento e più di venti d”oro, con altri innumerevoli prede”.

    Caro Direttore, c”è un vecchio detto latino che ammonisce: “Hoc scio pro certo: quoties cum stercore certo, vinco seu vincor, semper ego maculor” (Una cosa è certa: quando ho da lottare col letame, ch”io vinca o perda, sempre mi imbratto!). È vero, ovunque ti giri, c”è letame (è un eufemismo!); però, anche questa volta, voglio dire in questa competizione elettorale, bisogna turarsi le narici, schivare quanti più schizzi di merda è possibile e sforzarsi di scegliere il meglio. Altrimenti è la fine della democrazia. Ed anche della libertà. Che è, poi, ciò che normalmente auspicano (solo che non lo dicono apertamente) i signori dei Palazzi insieme a quelli delle tessere e a quelli che da sempre non hanno conosciuto il senso della dignità e dell”amor proprio.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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