Gli avvocati penalisti incrociano le braccia e protestano contro l”uso ai fini investigativi dei dialoghi tra legale e assistito intercettati telefonicamente. Di Simona Carandente
Periodicamente, ad intervalli più o meno regolari, l’avvocatura nazionale è chiamata a confrontarsi con riforme di ampio respiro, che riguardano non solo la classe forense in senso stretto, ma tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si trovano a confrontarsi con la complessa macchina della giustizia e con le sue dinamiche. Il ruolo dell’avvocatura sta cambiando, e con esso una delle professioni più antiche ed affascinanti al mondo, nel fantomatico quanto teorico tentativo di favorire i privati cittadini, mettendoli al riparo dagli abusi dei loro legali, in un’ottica di liberalizzazione delle professioni e del mercato legale stesso che, allo stato, non appare però del tutto praticabile.
In questa settimana, e precisamente fino a venerdì 18, le toghe di tutta Italia incroceranno le braccia, astenendosi dal celebrare i processi ordinari, salvo quelli urgenti e con imputati detenuti: lo sciopero, tuttavia, non riguarderà l’intera categoria, ma solo gli avvocati penalisti. Motivazione principale della protesta, proclamata dall’Unione nazionale delle Camere Penali, il tema delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, con particolare riguardo alla captazione dei dialoghi intercorrenti tra legale e proprio assistito. Un percorso verso l’indebolimento, inesorabile e progressivo, del diritto alla difesa tecnica che non poteva non suscitare polemiche.
Nel manifesto programmatico diffuso in questi giorni dalla Unione Camere Penali, con lo scopo di essere distribuito dai legali ai propri assistiti, si leggono in forma estrema ma concisa le motivazioni della protesta: al cittadino farebbe piacere sapere che quello che comunica al proprio difensore, a mezzo telefono, potrebbe essere oggetto di attività investigativa? Che qualcuno, nella fattispecie un pubblico ministero, potrebbe chiedere al difensore di rivelare il contenuto di tali conversazioni? Che il proprio avvocato si occupa, indifferentemente, di diritto penale, civile, tributario ed agrario, come un medico generico chiamato a curare una specifica patologia?
Domande retoriche, dalla risposta scontata, per le quali l’avvocatura cerca, con la proclamata astensione, di stimolare le coscienze ed invitare tutti ad un’attenta riflessione. Come accadeva, ed accade ancora oggi, per la complessa questione della separazione delle carriere: allo stato attuale, la commistione tra le figure di pubblico ministero ed organo giudicante è ancora fortissima, trattandosi di figure professionali dalla comune estrazione concorsuale, con forti commistioni l’una nei confronti dell’altra, che possono tramutarsi in vere e proprie ingerenze nella reciproche funzioni giudiziarie, con forti danni e ripercussioni sull’intero sistema giustizia. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)
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