Ricamo e tessitura: quando il filo delle storie diviene comunicazione

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Il ricamo e la tessitura, testimonianze culturali delle arti femminili, nel mondo e alle pendici del Vesuvio.

C’è un filo rosso che unisce le donne di tutto il mondo.
Quel filo rosso è l’emblema delle tradizionali arti manuali femminili, eredità che si trasmette di mamma in figlia, di nonna in nipote, talvolta nel religioso silenzio delle pareti domestiche, altre volte pronunciando nenie che procedono al ritmo delle mani, magari nei cortili con le sedie disposte a cerchio, creando un’atmosfera conviviale. Sapori di altri tempi.

Tali arti vengono tramandate in ogni luogo della Terra dalle Ande all’India, dalla Palestina all’Italia, soprattutto in quei posti dove si sente particolarmente il viscerale richiamo delle radici e la modernità non intacca l’essenza delle cose.
L’arte del ricamo e quella della tessitura hanno origini molto antiche che si perdono nella notte dei tempi, risalgono al neolitico e molto probabilmente sono nate in Oriente, non a caso in una terra dove si avverte forte l’odore della spiritualità.

Ricamare e tessere non sono, infatti, soltanto impegnative attività femminili, praticate per abbellire suppellettili e biancheria, esse racchiudono in sè molto di più. Spesso il ricamo era (ed è) un’attività industriosa che dava sostentamento alla famiglia, ma da un punto di vista antropologico e culturale, esso risponde sempre a questa atavica necessità del raccontare e del comunicare, di segni che si fanno linguaggio.

Dal magico intrecciarsi dei fili di ordito e dei fili di trama si crea, con il telaio, un tessuto; così come ogni punto dato di ago e filo ricalca segni che poi divengono storie, nate dal susseguirsi ritmato di punti. Tali tessuti, creati e ricamati, non servono soltanto ad imbellire e ornare, custodiscono in sè un messaggio più profondo: raccontare qualcosa.

Non a caso quando leggiamo un libro, la prima cosa che facciamo è leggerne la trama. Sì la trama, il filo della storia, parole inanellate, una dopo l’altra, come fili e punti di ricamo. Attraverso sapienza e conoscenza, allo stesso modo di uno scrittore, ricamatrici e tessitrici raccontano storie che traggono spunto dalle loro esperienze di vita e da quelle trasmesse, oralmente, dai loro avi.
Le storie non si limitano a staccarsi dal narratore, lo formano anche: narrare è esistere”, sosteneva lo scrittore brasiliano João Guimarães Rosa.

La parola ricamo deriva dall’arabo raqm che significa segno.
Il ricamo e la tessitura sono tracce visibili, impronte di un racconto non verbale, sono indizi per ricercare le proprie origini, orme che, agli occhi di chi le ammira, appaiono come opere d’arte di cui altro non si può fare che apprezzarne la bellezza e l’impegno di chi le ha originate.

Presso le popolazioni del Messico, in particolare tra gli Huichol, ma anche tra gli indiani Lakota e Navajo, è diffusa la pratica di creare Ojos de Dios: si tratta di talismani, oggetti di protezione che servono a captare la benevolenza degli spiriti della Natura e degli dei. Essi rappresentano l’armoniosa unione tra il divino e il terreno, la loro costruzione, fatta a mano, si compone di due legnetti sovrapposti a formare una croce, attorno ai quali si tessono i vari cerchi, di colore variegato, partendo dal centro verso l’esterno.

Simili manufatti, con il medesimo significato, si ritrovano anche in Tibet, qui vi sono i mandala, creazioni concentriche che simboleggiano il cosmo. Mandala, in sanscrito, significa letteralmente «essenza» e «possedere» o «contenere». La costruzione dei mandala è un processo iniziatico che consente di crescere interiormente e addivenire all’essenza di se stessi. Lo psicoanalista Carl Gustav Jung, scrisse quattro saggi sull’argomento, dopo averli studiati per oltre venti anni e sostenne che “Il mandala è il Centro. E’ l’espressione di tutte le vie. E’ la via al Centro, all’individuazione”. Nell’arte del merletto, della nostra tradizione, la lavorazione dei cosiddetti «centrini» ricorda proprio le forme dei mandala tibetani, dei rangoli e degli yantra indiani.

Anche in Campania e nei territori vesuviani, ci sono donne che coltivano ancora antiche usanze, nello specifico, il ricamo (attività artigianale rinomata a Somma Vesuviana e a Sant’Anastasia) e il merletto, ma anche il tombolo, e non è raro imbattersi in vecchiette che prima di accingersi a tali lavori, si fanno il segno della croce e sibilano tra i denti preghiere incomprensibili, lavorando in solitudine, oppure intonano canti che le accompagnano nel processo di creazione, lavorando in gruppo, per rafforzare quella speciale energia, densa di fervore fecondo, che si crea quando più donne, senza rivalità, hanno un obiettivo comune da portare a termine.

Anche in tal caso si ripetono gesti costanti, precisi, tramandati da tempo immemorabile.
In ogni paese del mondo, si ha testimonianza del fatto che la tessitura, e l’arte manuale del cucire, in genere, sia riconducibile ad una sorta di meditazione gestualizzata, perché le intenzioni benevole di chi crea, si trasfondono nell’oggetto per divenire propositi concreti e materiali, tangibili testimonianze della memoria del passato.
(Fonte foto: Facebook, Ricordi anastasiani)

Consigli letterari
«Enciclopedia dei Lavori Femminili» di Thérèse de Dillmont
«La simbolica dello spirito» di C.G.Jung
«Gli archetipi dell’inconscio collettivo» di C.G.Jung
«Teoria e pratica del mandala» di G. Tucci

CULTURALMENTE