Votare significa scegliere. Per scegliere bene i cittadini devono sentirsi legati alla propria comunità; diversamente, si fanno solo gli interessi propri o di un piccolo gruppo.
Ciascuno di noi si trova spesso a dover assumere l’onere di scelte, che possono anche rivelarsi sbagliate. In fondo qualsiasi decisione che prendiamo può essere verificata solo dopo che l’abbiamo presa. Prima si può solo ipotizzare una conseguenza, un vantaggio, un danno, una ricaduta in termini sociali o economici, ma non più di una previsione.
Ora, nell’ambito politico, che è il più importante nella vita di una comunità, forse anche più di quello educativo, fare delle scelte è ancora più complicato; infatti c’è bisogno di una lungimiranza così accentuata che non sempre si riesce a sostenere. Il politico, diceva Giorgio La Pira, è un “architetto del bene comune” e, in quanto tale, deve avere vista lunga e non lasciarsi ingolfare nella rete dell’immediato.
Le elezioni a Somma Vesuviana e nel Paese possono essere uno spunto ottimo per poter verificare la capacità di una comunità di saper scegliere oggi ciò che si svelerà nella sua bontà solo domani.
La verifica non è quindi solo riferita ai politici, che sono in lizza per guidare l’amministrazione di una cittadina o di una nazione, ma riguarda soprattutto i cittadini, pietre della costruzione sociale. E ogni cittadino ha bisogno di percepirsi come legato ad una serie di relazioni comunitarie, che ne fanno il centro di una sequenza infinita di scelte.
Se invece ciascuno ha di sè un’immagine singola, di isola autoreferenziale, bastante a se stesso, allora è chiaro che il fare politica vuol dire realizzare solo i propri interessi o gli interessi di un piccolo gruppo.
La riflessione sulla speranza, che abbiamo cominciato la volta scorsa, trova in questo aspetto uno dei punti nevralgici della sua ragion d’essere.
Possiamo sperare se organizziamo le spinte comunitarie al miglioramento di un territorio; altrimenti sperare vorrà dire semplicemente aspettare che il vento della fortuna giri dalla propria parte.
Nel periodo pasquale tale tipo di affermazione diventa ancora più cogente perchè la Pasqua è la celebrazione di un annichilimento, di un fallimento radicale, a considerarlo nel breve termine, che impedisce ad ogni uomo di pensare ad una speranza da slogan, fosse anche quella abusata che la speranza è dei giovani. L’abissale scandalo del sepolcro di Palestina si riscatta solo perchè ciò che salva nella vita è la coscienza di poter fallire e quindi la disponibilità a ricominciare con gli altri: la speranza è l’esserci, il partecipare, lo scommettere non sull’io ma sul noi.
Risorgere dalla morte dell’illegalità e dell’ingiustizia nei confronti dei piccoli: i bambini, i giovani, i deboli, i poveri, i senza strumenti, non è altro che coltivare l’umanità in noi, diventare custodi di un bene che appartiene a tutti e lasciarlo ai nostri figli.
Se i candidati alle elezioni e i loro elettori ponessero mente a tanto nobile impegno eserciterebbero realmente la loro sovranità.