POTERE AI CITTADINI. LO SCARSO IMPEGNO DEI NOSTRI COMUNI. RADIO CRC INTERVISTA IL PROF. LAMBERTI

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    Fare di più con meno risorse, rendere i cittadini responsabili dei servizi locali, togliendo il potere dalle mani dello Stato. Nessuno parla di politiche innovative. Di Amato Lamberti

    In Campania, come nel resto d’Italia, si avvicina una tornata amministrativa che, visto quanto accade a livello di governo, dovrebbe far segnare una svolta nella governance dei Comuni, data anche la scarsezza di risorse per assicurare i servizi fondamentali ai cittadini. E, invece, si discute solo di alleanze fra partiti secondo uno schema francamente superato anche rispetto alle alleanze precarie che sostengono l’attuale governo. Dei bisogni dei cittadini e del governo delle città, secondo modelli innovativi che si stanno sperimentando in tutta Europa, nemmeno a parlarne.

    L’impressione è che anche i futuri amministratori si muovano secondo modelli e con una cultura del tutto superati delle trasformazioni che interessano il governo delle città e la soluzione dei problemi sempre più numerosi dei cittadini. Sui giornali si fa un gran parlare, ad esempio, di "Big Society", vista la sperimentazione, in Gran Bretagna, di un nuovo modello di governance delle città da parte del governo Cameron, che sta dando interessanti risultati. Un modello che si fonda sull’assioma: fare di più con meno risorse, rendendo i cittadini responsabili dei servizi locali e dando loro il potere che oggi è tutto consegnato nelle mani voraci dello Stato, delle Pubbliche Amministrazioni, del mercato.

    È questa la filosofia di Phillip Blond, fondatore e direttore del think thank "Res Publica", che sta aiutando il premier britannico David Cameron a lanciare la rivoluzione della Big Society in cui semplici cittadini possono unirsi tra loro e attraverso organizzazioni civiche cercare di creare un nuovo tipo di società fondata sul perseguimento del bene comune e del soccorso reciproco.
    Degli esempi possono servire a meglio comprendere la proposta. Di solito la gente povera vive nelle stesse aree, ed è da queste realtà che deve partire il meccanismo. Se c’è una strada semi-abbandonata un gruppo di residenti può decidere di fondare una cooperativa, comprare quei negozi e rimetterli a nuovo. In questo modo loro vivranno meglio e la zona verrà rivalutata. E magari ci sarà la possibilità di unirsi ad altre organizzazioni per nuovi progetti.

    Lo Stato spende soldi per un sistema che non funziona. Prendiamo il reinserimento dei detenuti a fine pena. Attualmente le statistiche ci dicono che il 75% commette nuovamente dei reati. Ma è provato che se una istituzione privata di carattere volontario gestisce queste situazioni di reinserimento in società i risultati sono molto più positivi. E questo perché c’è un rapporto più diretto con il territorio. In queste situazioni allo Stato converrebbe dare dei soldi all’istituzione privata, un tanto a detenuto, e delegarle in toto questo compito. È garantito il risparmio ma anche migliori risultati. In pratica le Amministrazioni locali, ma anche lo Stato, potrebbe appaltare al settore terziario anche servizi pubblici come le biblioteche, l’arredo urbano, la manutenzione delle strade e degli edifici, oltre ai servizi per aiutare i disoccupati, gli emarginati, i senza fissa dimora, perché conoscono il territorio e sono in grado di monitorarlo di continuo.

    Attualmente i sussidi di disoccupazione, gli assegni familiari, il reddito minimo di cittadinanza creano solo dipendenza; al contrario con questo sistema si stimolerebbe l’indipendenza, la gente potrebbe controllare il budget e farlo fruttare. Prendiamo le madri single: se in un quartiere si riuniscono in una associazione e prendono il controllo dei sussidi sarà difficile che anche un solo euro possa essere sprecato.

    In Italia, il dibattito sulla "Big Society" non è mai decollato. Basti pensare che al dibattito, tenutosi a Roma a fine febbraio, in cui il modello è stato presentato da Lord Nat Wei, 33 anni, responsabile del governo britannico per il progetto di "Big Society", non era presente nessun esponente politico italiano. Anche la stampa nazionale non ha data nessuna copertura all’evento che pure si presentava con uno slogan accattivante: "il potere alla gente", nel senso che le persone e le associazioni di cittadini possono gestire da sole una serie di funzioni che normalmente sono monopolio dello Stato.

    Il problema, che sta dietro allo scarso interesse, è che molti osservatori guardano al progetto con distacco, come fosse frutto di una cultura troppo lontana dalla nostra. I più critici vi leggono solo il tentativo di smantellare lo Stato e di tagliare i posti pubblici. La "Big Society" sarebbe solo un trucco usato per coprire tagli drastici di personale pubblico con la retorica del nuovo civismo. Purtroppo, anche in Gran Bretagna, sono i partiti di sinistra che, invece di apprezzare l’idea di auto-organizzazione dal basso nel governo dei beni comuni, sembrano spaventati dalla fine del dirigismo e del centralismo amministrativo.

    Certamente, va detto, che nel momento dell’applicazione sarà necessario sciogliere alcuni nodi, specialmente in tema di responsabilità permanente delle istituzioni, di accesso universale ai diritti da parte dei cittadini, di strumenti per rendere effettivo l’empowerment delle organizzazioni civiche.
    Comunque, responsabilizzare i cittadini è un compito delle istituzioni che ha certamente i suoi costi ma rappresenta una vera e propria politica pubblica molto innovativa.

    Ma di questo impegno -molto serio, sia in termini culturali che amministrativi ed economici- non c’è traccia nell’azione attuale del nostro governo e, soprattutto, delle Pubbliche Amministrazioni, a cominciare dai Comuni.
    (Fonte foto: Rete Internet)

    Dopo aver letto l’articolo del prof. Lamberti, Radio CRC ha programmato un’intervista, prevista per il 6 aprile, alle ore 8,00.

    CITTÀ AL SETACCIO