I Paesi del Sud-est asiatico sono un caso unico nella storia dell’economia mondiale di passaggio stabile dalla periferia al centro.
Le vie della crescita economica sono infinite. Negli anni Settanta molti studiosi di economia dello sviluppo teorizzavano un mondo diviso in centri e periferie, dove alcuni Paesi – sfruttati a dovere i fattori della produzione – sarebbero stati in grado di saltare da una categoria all’altra.
Quella che sembrava una speculazione teorica, divenne realtà dagli anni Settanta, quando un gruppetto di Paesi arretrati iniziò un cammino che li ha portati, oggi, ad essere tra le prime economie al mondo. La traiettoria dei Paesi del Sud-est asiatico ci dice molto sulla possibilità di “guidare” lo sviluppo e la crescita economica sulla base delle peculiarità del contesto territoriale, in modo da rendere il percorso più stabile e duraturo possibile. Le condizioni alla base della crescita non sono replicabili altrove, ma dalle storie di successo possono arrivare suggerimenti utili sia per i Paesi attualmente in crescita sia per le economia già sviluppate ma in fase ristagnante.
Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong e – in un secondo momento e con esiti ancora da definire – Cina, Indonesia, Malaysia rappresentano un caso unico nella storia dell’economia internazionale. Negli anni Cinquanta questi Paesi erano economie marginali senza prospettive di crescita. A dare il là ad un cambiamento straordinario furono le Tigri asiatiche (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong), che fecero registrare dagli anni Settanta fino agli anni Novanta i tassi di crescita più alti al mondo, per quasi trent’anni (e questo è il dato clamoroso), fino ad entrare nel gruppetto dei Paesi industrializzati.
Quali furono i motivi di questa crescita? La storia ripete sempre se stessa e, anche in quel caso, la base del boom furono gli investimenti delle multinazionali americane, europee e giapponesi alla ricerca di manodopera a basso costo. Niente di nuovo rispetto a quanto accade oggi in Cina o in Brasile. Ma una differenza c’è e spiega la crescita solida e duratura; nelle quattro “tigri” gli investimenti dall’estero furono visti come un’opportunità per migliorare la qualità dei fattori di produzione. Le élites al potere investirono molto sulla formazione e l’istruzione del capitale umano e, quando le imprese straniere iniziarono a preferire mercati dove la manodopera era ancora meno cara, le Tigri non si fecero trovare impreparate, offrendo lavoratori qualificati e disciplinati per produzioni a più alto contenuto tecnologico.
I quattro Paesi asiatici furono in grado di mettere in campo una strategia a lungo termine, dove una parte consistente della crescita veniva destinata alla ricerca, alla rete infrastrutturale, alle risorse umane, così da attrarre negli anni investimenti più “qualificati” e iniziare anche a produrre nuove tecnologie autonomamente. Un’altra peculiarità dei Paesi del Sud-est asiatico è stata la creazione di Zone Economiche Speciali, territori delimitati dove iniziative locali e politiche pubbliche hanno attirato investimenti dall’estero offrendo vantaggi in campo doganale o commerciale.
Le ragioni di questo successo economico, straordinario perché duraturo e in grado di tradursi anche in miglioramenti nella qualità della vita, sono state al centro di dibattiti e studi. Molti hanno fatto riferimento al confucianesimo, ad un modello culturale misto tra meritocrazia e autoritarismo, alla qualità e alla disciplina del capitale umano.
Come sempre le cause sono molteplici, alcune legate al contesto storico altre alle caratteristiche dei sistemi politici e culturali locali. L’input principale venne dato sicuramente dagli investimenti esteri e dalla domanda di prodotti di consumo dal mercato americano ed europeo, che negli anni Sessanta-Settanta era altissima e portò al boom delle esportazioni asiatiche. Ma questo dato congiunturale non sarebbe bastato senza la presenza di governi lungimiranti, lontani dal modello occidentale perché generalmente più autoritari, ma anche efficaci e decisi nel prendere le decisioni allora giuste per stabilizzare nel tempo la crescita economica e traghettare i Paesi dal sottosviluppo al ruolo di centri.
Il caso dei paesi asiatici può fornire alcuni suggerimenti interessanti a quelle economie attualmente in crescita. Le condizioni di contesto non sono replicabili, ma l’attenzione alle risorse umane, alle infrastrutture, all’istruzione è un indizio utile per evitare di cadere nella trappola e nei miraggi di una crescita tumultuosa basata solo sull’esportazione e sugli investimenti dall’estero in settori a basso contenuto tecnologico. Il discorso, fatte le dovute proporzioni, vale anche per alcuni Paesi occidentali (come l’Italia) con un modello di sviluppo tradizionale e adesso in crisi di riconversione.