La pellicola-inchiesta del napoletano Francesco Rosi esce nel 1963, ma il regista sembra immortalare una questione che perdura da decenni e che diventa l’immagine più riuscita di ciò che la politica non deve essere.
“Un film è sempre un’opera d’arte, non riproduce mai la realtà così com’è ma, attraverso un certo sguardo, un certo taglio interpretativo, reinventa la realtà, la trasfigura e la carica di senso”; la citazione in questione da “I cento Passi”, di Marco Tullio Giordana, mette in chiaro una delle peculiarità che caratterizzano la settima arte. Il cinema può affascinare, deve commuovere, sa coinvolgere e creare un’ empatia particolare con lo spettatore, ma un film può fare – o forse è meglio dire dovrebbe fare- soprattutto riflettere; e lo fa riportando sullo schermo questioni affrontate attraverso una trama che può essere la trasposizione della realtà quotidiana, sviscerata nelle sue gioie e nei suoi dolori, nelle sue contraddizioni e problematiche, nelle sue aporie. E pochi film mantengono la sferzante attualità del capolavoro del napoletanissimo Francesco Rosi, “Le mani sulla città”. Prodotto e distribuito nel 1963, sembra essere stato scritto oggigiorno.
In un quartiere popolare di Napoli crolla un palazzo, provocando due vittime e un ferito. Il dramma precede di pochi mesi le elezioni comunali che porteranno all’insediamento di una nuova giunta: cominciano in questo modo i problemi per l’imprenditore Eduardo Nottola (Rod Steiger), membro influente della giunta comunale e responsabile diretto dell’impresa edile (dietro la figura del figlio, ingegnere dell’azienda). È il consigliere di sinistra De Vita (Carlo Fermariello) che spinge per la costituzione di una commissione d’inchiesta che valuti le responsabilità dell’accaduto; si cerca di evitare, però, che l’indagine sfoci in una valutazione politica in merito al conflitto di interessi del politico-affarista Nottola.
Il polverone mediatico sollevato dalla questione rischia di coinvolgere la maggioranza che, per tutelarsi, chiede a Nottola di non ricandidarsi nelle elezioni imminenti, affinché il partito non subisca un danno in termini di voti. Ma questi, affrancandosi dalla maggioranza e dopo aver sacrificato il figlio come capro espiatorio per il tragico accaduto, sfoderando un tipico trasformismo tutto italiano, si schiera con il partito di centro, generando la reazione furiosa degli ex colleghi della fazione di destra. Ma ostracizzare Nottola significherebbe far cadere la nuova giunta e questo comporterebbe il “seccante” arrivo di un funzionario da Roma; sarebbero bloccati tutti i progetti in ballo e, dunque, lesi gli interessi di tutti. Di conseguenza, l’accordo fra maggioranza e una parte consistente dell’opposizione fa si che lo status quo rimanga inalterato: eletto assessore all’edilizia e con la benedizione del vescovo, Nottola può continuare, con la speculazione edilizia, ad arricchirsi costruendo palazzi.
“Le mani sulla città” riesce a cogliere e a raccontare lo spirito opportunistico ed antimoralista che inficia la politica a tutti i livelli e, di fatto, diventa la lucida denuncia del sacco urbanistico partenopeo di fronte al quale Rosi, napoletano di nascita, prende posizione confrontandosi sia con la giustizia sociale, sia con un profondo amore per la sua città natale. Gli argomenti sollecitati sono rappresentativi di ciò che la politica deve o non deve fare, allora come oggi.
Rosi realizza, dunque, una pellicola-inchiesta di grande impegno civile – Leone d’Oro 1963 a Venezia, tra non poche polemiche – in cui viene lucidamente registrato il compromesso della vergogna nelle stanze del potere; la critica del film è comunque bipartisan: se viene palesemente attaccata una certa parte politica (l’asse che dalla Democrazia Cristiana si dirige verso la destra), dove la provocazione del sindaco immaginato da Rosi teneva certamente conto del comportamento tenuto da alcuni esponenti politici dell’epoca (ad esempio Achille Lauro, sotto il cui mandato la speculazione edilizia di Napoli cominciò a dilagare), il regista napoletano non nasconde neppure l’inadeguatezza di una sinistra brava nelle parole e nelle denunce ma incapace di catturare i voti necessari – “Sotto le elezioni voi delle sinistre speculate anche sulla morte dei cittadini”, è l’accusa rivolta dal deputato della maggioranza Maglione [Guido Alberti] all’invettiva del consigliare De Vita , per la cui interpretazione Rosi ricorse ad un attore non professionista, il deputato del PCI Carlo Fermariello.
Se è lecito supporre che un film diventi leggendario quando il suo titolo si trasforma in un locuzione d’uso corrente – si pensi a “La dolce vita” o “Amarcord” di Fellini – imprimendosi significativamente nell’immaginario collettivo, “Le mani sulla città” appartiene certamente a questo genere di film, dove la rappresentazione di fatti di cronaca locale è riuscita ad elevarsi a carattere di memoria storica, sfiorando, talvolta, un tono quasi profetico.
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