Le storie e i fatti della scuola rilevano il disagio degli adolescenti e l’impegno di quanti vi lavorano per prevenirlo o ridurlo.
Partendo da una riflessione teorica sulla complessità delle problematiche legate all’istituzione scolastica e alla cultura, oggi si riprende l’appuntamento settimanale con “le storie e i fatti” della scuola che rilevano il disagio adolescenziale e l’impegno di quanti lavorano per la prevenzione o la riduzione dello stesso. Si riprende così ad affrontare, nei diversi aspetti, la problematica il più possibile dall’interno delle aule o comunque da quegli spazi educativi che possano contribuire a ridurre marginalità, disagio e solitudine.
La campanella della scuola ha ricominciato a suonare anche per l’anno scolastico 2012/13, caratterizzato, come quelli che lo hanno preceduto, da questioni teorico-pratiche che dal loro porsi al loro realizzarsi mutano con la complessità e rapidità che contraddistingue il nostro tempo.
Mi riferisco alla dimensione pedagogico-didattica, a quella istituzionale, politico-organizzativa, a quella nazionale, europea, internazionale che impone il perseguimento di obiettivi di miglioramento e innovazione nella primaria considerazione delle esigenze di crescita di quello che Damiano Previtali definisce il “capitale intangibile”.
Sembra quasi che la nostra scuola non riesca a scollarsi dal senso che ad essa le attribuì nel lontano 1859 la Legge Casati che doveva garantire un certo tipo di cultura allora imperante, quella piemontese, uniformando l’eterogeneità e la frammentarietà di un Italia che stava divenendo unitaria. É ineludibile che essa debba essere il luogo di apprendimento privilegiato che offra al soggetto educando quel bagaglio di conoscenze, competenze, abilità per la sua vita professionale futura, ma nella piena promozione della persona e quindi attraverso quel processo di crescita culturale che ben espresse Giovanni Paolo II nel suo discorso all’UNESCO nel 1980: “L’uomo è il soggetto della cultura, ma è anche il suo oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diventa più uomo, è di più, accede di più all’essere”.
Per la realizzazione di tale scopo è necessario che si realizzi l’auspicata visione integrata delle policies essendo il compito arduo e complesso. In tal senso le priorità politiche espresse nelle previsioni di bilancio 2012-2014 potrebbero lasciar ben sperare: ma quanto la scuola vede spendere energie e/o al contempo disperderle? La metafora dell’ acquedotto che disperde lungo i suoi tragitti acqua dalle giunture a dai tubi logori sembra essere sempre più calzante! Una rete che disperde il flusso dell’acqua che c’è e non trova il modo per portarlo tutto fino ai rubinetti senza dispersioni inutili e/o finire fuori percorso?
Trovare la soluzione richiede un forte impegno da parte di tutti quelli che da anni inseguono il concetto di concreta interrelazione scuola/società per non cadere nel luogo comune che ogni società ha la scuola che merita. La cura dello spazio-scuola, la cura del tempo-scuola, ripensati in senso critico e costruttivo equivale alla cura del nostro paese in prospettiva europeista e internazionalista.