In alcuni Comuni della provincia di Napoli sono state svolte indagini di vittimizzazione. Dati interessanti sono emersi anche dalla prima inchiesta sulle vittime dei reati in Italia. Di Amato Lamberti
Assistiamo quotidianamente a situazioni nelle quali “le vittime della criminalità, degli incidenti e dei disastri, attraverso diverse umane esperienze, constatano come il ronzio delle telecamere, il flash delle macchine fotografiche, il girare silenzioso dei registratori e lo scrivere rapido sul taccuino del cronista, sottraggono loro dolore attraverso l’indiscreto afferrare parole, singhiozzi, lacrime, dichiarazioni. Mentre non raramente all’autore del reato si riservano primi piani e si abbozzano giustificazioni che traggono origine dal raptus, dall’infanzia sofferta per le più diverse carenze e ingiustizie sociali”.
Emerge una grave situazione di sperequazione nel trattamento tra rei e vittime che si registra non solo a livello mass-mediatico, ma si ripercuote talvolta anche nella dimensione sociale e istituzionale senza tener conto di un assunto fondamentale, ossia che se “il delitto è interazione è necessario porre in una situazione simmetrica coloro che interagiscono, favorendo la ri-socializzazione del reo, ma contestualmente favorendo il riadattamento della vittima nel proprio ambiente” e, in quest’ottica sarebbe molto utile se non indispensabile istituire centri di assistenza per la vittima in parallelo ai centri sociali per la devianza giovanile e per gli adulti autori di reato. Esiste infatti da tempo una rete di sostegno per coloro che adottano condotte devianti e criminose senza alcun corrispettivo per la vittima.
Un autore di reato, al momento della detenzione in carcere, può essere oggetto di grande sorveglianza affinché non adotti condotte autolesive. In contrapposizione a ciò non esistono sistemi specifici di emergenza che sostengano le vittime soprattutto quando stanno precipitando nella depressione o nell’isolamento sociale.
Grazie ai risultati delle prime inchieste di vittimizzazione e grazie anche alla polemica scatenata dalle teorie della victimprecipitation, ci si è concentrati sulla vera e propria condizione di vittima, sul danno cioè derivante dalla vittimizzazione e sulle problematiche della seconda vittimizzazione, spesso rappresentata dagli effetti del sistema giudiziario sugli individui che hanno subito un reato.
Se le prima analisi individuano in generale un lieve e transitorio impatto della vittimizzazione, gli approfondimenti successivi hanno permesso di distinguere tra effetti diretti ed indiretti della vittimizzazione e di identificarne, conseguentemente, la portata. Se gli effetti diretti hanno infatti natura transitoria e sono legati al danno immediatamente quantificabile prodotto dall’evento – reato, la vittimizzazione indiretta riguarda gli effetti durevoli nel tempo, relativi alla sfera psichica ed emotiva del soggetto, connessi quindi con il reato inteso come esperienza. Parallelamente si è sviluppato un grande interesse per la vittima, da parte non solo degli studiosi di criminologia, ma anche dell’opinione pubblica.
È a partire infatti dagli anni ’60 e ’70 che, negli Stati Uniti prima, in Europa poi, nascono movimenti di difesa delle vittime di reato, che vedono con gli anni aumentare le proprie dimensioni e la propria capacità di influenza. In questo modo l’intervento a difesa della vittima è entrato nelle agende politiche di molti governi, attraverso la costruzione di commissioni di studio per la riforma dei sistemi giudiziari, la definizione di statuti e di carte dei diritti delle vittime e soprattutto fondi e finanziamenti per le vittime di reato; a livello internazionale sono state prodotte, nel 1984, la Dichiarazione sulla protezione delle vittime dell’Onu e, nel 1983, la Convention Européen relative audédommagementdesvictimes d’infractionviolentes del Consiglio d’Europa.
Tra necessità simbolica e tentativo di prendersi carico di un soggetto da sempre trascurato, interventi di questo genere hanno comunque segnato un passo verso una tutela effettiva della vittima e un generale cambio di prospettiva. Un esempio concreto di questo nuovo orientamento è dato dall’affermazione di meccanismi nuovi di giustizia informale, diretti sia ad alleggerire il peso che grava sulla lenta macchina del sistema giudiziario, sia soprattutto ad intervenire nella risoluzione dei conflitti in modo da raggiungere la punizione del colpevole, tenendo però conto degli specifici interessi degli individui coinvolti.
Dalla prima inchiesta di vittimizzazione in Italia sono emersi dei risultati interessanti sul tema delle vittime.Dal punto di vista del genere si potrebbe dire che, se non si considerassero i reati sessuali di cui sono quasi esclusivamente vittime le donne, i maschi e le femmine subiscono lo stesso numero di reati. Uomini e donne, infatti, non differiscono per la quantità dei reati subiti, ma per la loro tipologia.
I maschi sono più soggetti a subire reati violenti come rapine, aggressioni e furti senza contatto, mentre sono le femmine a subire di più furti con contatto come scippi e borseggi.
Inoltre uomini e donne sono vittimizzati in modo diverso e in orari diversi relativamente agli stessi reati; ad esempio le aggressioni perpetrate a danno delle donne accadono più di frequente in casa e da parte di aggressori conosciuti, come d’altronde anche le violenze sessuali, mentre quelle contro gli uomini avvengono principalmente in strada o nei luoghi del tempo libero, come la discoteca, e sono commesse da estranei. Infine, le donne subiscono maggiormente i reati di giorno, gli uomini di notte.
Ad essere vittime, inoltre, sono soprattutto i giovani, contrariamente all’immagine diffusa dai media circa il rischio più elevato per la popolazione anziana. Fanno eccezione soltanto i dati sui borseggi e sugli scippi che presentano un maggior numero di vittime nelle classi adulte della popolazione.
I giovani inoltre hanno subito un maggior numero di reati tentati rispetto agli anziani, che quando subiscono i reati difficilmente riescono ad opporvisi.La vittima prediletta oltre ad essere giovane è anche celibe e separata o divorziata. Soprattutto per i reti violenti, che avvengono più spesso di sera, è maggiore l’associazione con lo stato civile, forse a causa del comportamento più autonomo e sganciato dal nucleo familiare che presentano queste vittime. Separati, divorziati e celibi sono in effetti meno sedentari.
Il titolo di studio e la condizione lavorativa possono essere considerati indicatori indiretti della classe socioeconomica di appartenenza della vittima. All’aumentare del livello di istruzione e della posizione nella gerarchia delle professioni aumenta la vittimizzazione da reati contro la proprietà. La classe socioeconomica è anche utile per spiegare i reati subiti dalle famiglie: furti in abitazione, di veicoli, di oggetti al loro interno sono tanto più frequenti quanto più è alta la posizione della famiglia nella gerarchia sociale.Dal punto di vista territoriale più un’area è depressa più è a rischio; più è lasciata a se stessa più inviterà gli altri a deturparla ulteriormente e a considerarla terra di nessuno.
Da queste considerazioni potremo, negli articoli successivi, verificare i risultati di indagini di
vittimizzazione realizzate dai miei studenti in alcuni Comuni della nostra provincia.( 3- fine –)
(Fonte foto: photocommunity.qtp.it/)