Non è normale che eventi naturali normali, come le piogge d”inverno, diventino occasioni di tragedie. I veri colpevoli sono gli abusi edilizi e gli appetiti dei divoratori dei territori.
Di Amato Lamberti
La frana che a Casamicciola ha ucciso una ragazza, ferito più di trenta persone, trascinato a mare decine di auto, costretto trecento famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni, ripropone ancora una volta la fragilità di un territorio devastato dal consumo scriteriato del suolo. Quarantotto ore di pioggia battente non possono in alcun modo essere una spiegazione o una giustificazione dell”evento disastroso.
È normale, soprattutto in autunno e in inverno, che piova anche in modo abbondante e persistente per più giorni consecutivi. Se le canalizzazioni stradali per l”acqua piovana sono fatte bene e non sono intasate da terra e detriti, l”acqua piovana non allagherà le strade e defluirà senza provocare danno. Se gli alvei naturali che raccolgono naturalmente l”acqua piovana sono intasati da costruzioni abusive, che impediscono il naturale defluire del corso d”acqua, anche impetuoso, che le piogge abbondanti possono alimentare, si formano generalmente masse enormi d”acqua che possono provocare smottamenti e frane anche di grandi dimensioni.
Se un alveo naturale di raccolta delle acque viene trasformato in una strada asfaltata è normale che, in caso di pioggia abbondante, si trasformi in un torrente impetuoso capace di trascinare a valle uomini e automobili. Se un costone anche ripido viene disboscato per procedere a costruzioni di case e di strade, non ci si deve meravigliare che il terreno imbevuto di pioggia, non trattenuto da radici solidamente ancorate, possa improvvisamente smottare trascinando e travolgendo tutto, case, muri, strade. Il suolo non è mai come qualcuno si ostina a credere una piattaforma inerte sulla quale si possa costruire a piacimento. Bisogna prendere in considerazione una molteplicità di fattori di rischio, a cominciare da quello idrogeologico.
Può sembrare paradossale ma nei paesi vesuviani si continua a costruire abusivamente e senza criterio pur sapendo che il territorio è soggetto ad elevatissimi rischi di carattere vulcanico, sismico, idrogeologico. In tutto il mondo, situazioni come quelle vesuviane hanno visto la popolazione allontanarsi a distanza di sicurezza e adottare tecniche costruttive che rendessero il meno tragici possibili gli eventuali eventi sismici. La penisola sorrentina, le isole di Ischia, Capri e Procida, l”intera area flegrea sono zone ad elevato rischio idrogeologico eppure si continua a costruire e a sperare di costruire mettendo a rischio il già precario equilibrio di territori di tale valore paesaggistico, storico e archeologico da meritare misure di salvaguardia totale.
Il ripetersi delle tragedie meriterebbe forse interventi drastici per frenare ogni forma di illegalità e di abusivismo. In un recente dibattito sulla tragedia di Messina, ho reagito con forza alla considerazione, di uno dei partecipanti al dibattito, che non fosse giustificata alcuna misura risarcitoria per i danni subiti da uomini e cose in una situazione di costruzioni in zone classificate come ad altissimo rischio idrogeologico. “Vivendo in quei posti – asseriva il mio interlocutore – sapevano benissimo a cosa andavano incontro. Continuassero ad affidarsi ai santi che evidentemente non sono bastati a proteggerli.”
Una posizione che aveva trovato in sala anche qualche sostenitore ma che mi era sembrata priva di ogni sentimento di civile solidarietà. Il ripetersi di eventi luttuosi impone però interventi più decisi per frenare i divoratori di territorio che, come termiti giganti, sembrano crescere in maniera del tutto incontrollata.
(Fonte foto: Ansa)
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