Le conseguenze della guerra minano il regime fascista, che si avvia verso la dissoluzione.
Di Ciro Raia
Il 1943 è un anno terribile!
In primavera, grandi scioperi operai, alla Fiat di Torino ed in altre realtà industriali, mostrano, al grido di “pane e pace”, una nuova volontà operaia e politica. Dopo oltre un ventennio di silenzio, infatti, le forze lavorative ridiscendono in piazza, spinte dalla fame, dalla borsa nera e dal continuo pericolo costituito dai bombardamenti. Mussolini non si rende conto che la situazione sta cambiando e pensa che per continuare a mantenerne il controllo basti emarginare i sobillatori comunisti e rimuovere il capo della polizia, Carmine Senise, colpevole di non essere intervenuto con pugno fermo e di aver arrestato “solo” 2.000 operai.
Anche gli industriali fiutano la fine del regime e l”inevitabile sconfitta nella guerra; meglio, perciò, cominciare a guardare ai mercati europei.
Le alte cariche del regime, da parte loro, non condividono più l”arroganza del Duce: cercano, così, di pensare ad una soluzione che, con l”allontanamento di Mussolini, possa garantire la continuità del fascismo.
Nel mese di luglio le forze alleate sbarcano in Sicilia. Nello stesso mese Mussolini si incontra con Hitler, a Feltre, e non riesce a chiedergli l”armistizio per l”Italia. Nemmeno quando al Duce è recapitata la notizia del bombardamento di Roma. Nella capitale sventrata, nel quartiere San Lorenzo, si contano 1.500 morti e migliaia di feriti. Accorre il re Vittorio Emanuele III ed è accolto da freddezza. Accorre il papa Pio XII ed è acclamato da una folla che chiede solo “pace, pace, pace”.
Sempre nel mese di luglio, alle ore 17:00 del giorno 24, si riunisce a Palazzo Venezia il Gran Consiglio del Fascismo. Dopo ore di discussione, alle 2:00 di notte del giorno 25, 19 membri su 25 votano l”ordine del giorno di Dino Grandi, inteso a chiedere le dimissioni del Duce. Dopo poche ore il re annuncia a Mussolini la decisione di sostituirlo alla guida del governo con Pietro Badoglio. Il Duce è sconfitto. L”attendono i carabinieri per portarlo, imprigionato, in un albergo sul Gran Sasso.
Quando la radio annuncia la caduta del fascismo, nel paese si vivono scene di indicibile entusiasmo, subito raffreddate dall”annuncio di Badoglio: “La guerra continua”. Ma è, quest”ultima, una decisione che dura solo 45 giorni. L”8 settembre, infatti, il generale Badoglio annuncia: “Il governo italiano, riconosciuta l”impossibilità di continuare l”impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell”intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane [:]. Ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo”.
Nel paese regna la più totale confusione. I soldati scappano, disertano; manipoli di isolati combattono contro i tedeschi, anch”essi in fuga. Non si contano gli episodi di rappresaglia dei nazisti, che si sentono traditi e razziano, radono al suolo interi paesi, rubano e distruggono opere d”arte, deportano e violentano innumerevoli civili. Oltre 600 mila soldati italiani vengono fatti prigionieri ed avviati ai campi di concentramento della Germania. L”Italia resta senza guida: il re, Badoglio ed altri generali, sotto la protezione degli eserciti alleati, scappano a Brindisi. Ognuno si regola come vuole.
Il 12 settembre, però, i Tedeschi liberano Mussolini. Il Duce chiama, allora, a raccolta le forze fasciste ancora fedeli e costituisce la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), detta anche Repubblica di Salò, dal nome della cittadina sul lago di Garda, sede del nuovo governo. Chi non aderisce alla Repubblica Sociale –attesta nei territori dell”Italia del nord, dove ancora ci sono i tedeschi- è perseguitato come “badogliano”. Mentre sulle montagne del nord cominciano ad operare le prime formazioni partigiane, i lager tedeschi si affollano di prigionieri italiani, estremo sacrificio alla rabbia e alla delusione di un esercito, che da antico alleato, si è sentito prima tradito e, poi, considerato nemico.