LA GRANDE IMPORTANZA DELLE INDAGINI SULLE VITTIME DEI REATI

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    Chi è vittima di reato vede compromessa la propria fiducia con sè stesso, nel rapporto con le persone care, nelle istituzioni. Queste ultime perchè non hanno saputo prevenire, nè proteggere dai rischi criminali. Di Amato Lamberti

    Le indagini di vittimizzazione non rilevano tutti i reati, bensì si soffermano su quelli che hanno una vittima consapevole nell’individuo e nella famiglia, quelli per cui è più semplice individuare dei parametri oggettivi di rilevazione e quelli adatti ad essere investigati nel contesto di un’indagine orientata a intervistare gli individui in qualità di vittime dei reati.

    Vengono rilevati i furti dalla persona (come lo scippo, il borseggio), i furti in abitazione, i furti dei veicoli o degli oggetti dai veicoli, i furti semplici senza contatto, le rapine e le aggressioni, gli ingressi abusivi, gli atti di vandalismo e alcuni reati sessuali, come le molestie e le violenze.
    Nella terza edizione del 2008 è stata posta una nuova attenzione alla rilevazione di alcuni reati emergenti come la truffa, il phishing, il furto e la clonazione delle carte bancarie di credito, nonché di alcuni comportamenti negativi sul lavoro come il mobbing e lo straining.

    La rilevazione di una sola parte dei reati costituisce la critica principale mossa alle indagini di vittimizzazione ed in particolare il fatto che rilevano solo il crimine di strada e solo quei reati di cui la vittima è consapevole, con il conseguente rischio di sottostimare il numero dei reati realmente accaduti. La possibilità che alcuni reati si possano dimenticare, perché poco gravi o, al contrario, omettere, perché molto gravi, esiste ed è legata al fatto che queste indagini sono basate sul coinvolgimento diretto dei protagonisti. Tuttavia è proprio questo l’aspetto che le rende un potente strumento di conoscenza.

    Queste indagini sono comunque condotte in modo molto accurato allo scopo di fornire stime precise sui reati; la lunga progettazione ha previsto infatti lo studio rigoroso degli aspetti più problematici che la rilevazione dei reati comporta e delle strategie atte a risolverli o almeno a contenerli.
    Il tema delle vittime rappresenta oggi un elemento costante del dibattito scientifico come di quello politico e sono molteplici gli aspetti e gli ambiti in cui le tematiche relative alle vittime si inseriscono ormai di diritto. La situazione però, non è sempre stata questa.
    L’importanza assegnata alle vittime di reato come oggetto di analisi, come abbiamo già detto in precedenza, è relativamente recente per quanto riguarda la dimensione criminologica, come pure quella relativa al sistema giudiziario, all’opinione pubblica e, di conseguenza, alla dimensione politica.

    Si può infatti affermare che, fino dai primi studi di quella che tenterà poi di assumere le caratteristiche di scienza autonoma, la vittimologia, la vittima è sempre stata relegata in un ruolo di secondo piano rispetto alle dinamiche del reato e della criminalità. Sarà negli Stati Uniti, a partire degli anni ’50, che verrà avviata una riflessione sul ruolo della vittima, che si evolverà fino a toccare aspetti processuali, la dimensione del welfare, l’indagine scientifica.
    Ma cosa intendiamo oggi con il termine vittima?

    Se si esula da una definizione meramente giuridica secondo la quale la vittima viene descritta come la persona offesa dal reato, sono diverse le definizioni di vittima che possono essere menzionate.
    Innanzitutto, si può pensare alla Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea del 15 marzo 2001 che, relativamente alla posizione della vittima nel procedimento penale, descrive questa come la persona fisica che ha subito un pregiudizio fisico o mentale, sofferenza psichiche, danni materiali causati da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale, oppure, più sinteticamente, ma in modo altrettanto incisivo, si può affermare con R. Bisi che la vittima è “principalmente una persona che è stata mortificata nella sua dignità umana, frutto di identità fisica ma anche psicologica” o ancora, con E. Viano, possono essere individuati quattro momenti significativi che segnano il passaggio allo status di vittima:

    • presenza di un danno: il concretizzarsi di stati di sofferenza causati dall’atto criminale;
    • percepirsi come vittima (auto – riconoscimento): l’accettarsi come vittima ovvero “riconoscere la vittimizzazione come un’esperienza immeritata e ingiusta”;
    • cosa fare: decidere se confidare ad una persona cara la propria esperienza di vittima, oppure renderla pubblica attraverso il ricorso allo strumento della denuncia penale;
    • riconoscimento da parte della comunità (etero – riconoscimento): ricevere sostegno sociale, solidarietà e riconoscimento dalla comunità di appartenenza.

    La vittima può, inoltre, essere considerata come un soggetto espropriato di quella fondamentale aspettativa (la fiducia) avente valenza positiva che, in condizioni di incertezza, è capace di rassicurarlo rispetto alle azioni ed alle comunicazioni che intrattiene con il contesto nel quale vive ed opera. Nei vari passaggi che concorrono a definire l’esperienza vittimizzante, l’evento dannoso va ad intaccare significativamente la dimensione della fiducia propria di un soggetto, il quale perde i punti di riferimento della propria quotidianità e il senso di prevedibilità costruito in base alla sua esperienza.

    Al contempo, viene compromessa inevitabilmente la fiducia nei rapporti con le persone care, a maggior ragione quando, e questa situazione si verifica non di rado, preesiste un legame di parentela o comunque affettivo, tra l’autore di reato e la sua vittima; infine, viene pregiudicata anche la fiducia di tipo istituzionale proprio perché le istituzioni non sempre sono in grado di prevenire la criminalità, o quanto meno di ridurre i rischi di vittimizzazione, né di proteggere i cittadini nemmeno successivamente all’episodio vittimizzante.

    Così la vittima, disorientata e, non di rado, ritenuta parzialmente responsabile di quanto accaduto, è costretta a mettere in discussione il sistema di conoscenze e di interpretazione della realtà che le ha consentito, almeno fino al quel momento, di vivere in un ambiente sicuro.
    La vittima deve suo malgrado fare i conti con una realtà che sembra non appartenerle più. Pertanto, lo studio della vittima, non come mero soggetto passivo nell’interazione criminale, contribuisce da un lato a comprendere meglio la genesi e la dinamica del delitto e, dall’altro lato, ad individuare le esigenze e i bisogni di quanti subiscono le conseguenze drammatiche di un fatto – reato.

    Paradossalmente fino a poco tempo fa nello studio della dinamica criminale, ma non solo (si pensi ad esempio all’iter processuale o all’interesse dei media e dell’opinione pubblica), l’attenzione veniva esclusivamente focalizzata sulla figura del reo, mentre la vittima restava nell’ombra; ancora oggi è palese come la vittima diventi protagonista e goda di attenzioni solo immediatamente dopo l’evento vittimizzante, poiché viene sottoposta ad una spettacolarizzazione puramente mediatica dopodiché, una volta spenti i riflettori, resta nel buio per essere presto dimenticata, mentre la figura del reo, in certi casi, viene addirittura spettacolarizzata, tanto è vero che ci si ricorda solo di questa. (- continua -2) (Fonte foto: photocommunity.qtp.it)

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