LA CAMORRA COME METODO

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    I fatti di cronaca di Napoli e Provincia denunciano che si è indebolita la distinzione tra comportamenti civici responsabili e pratiche illegali di sopravvivenza. È il trionfo della camorra “liquida”.
    Di Amato Lamberti

    Un ragazzo ammazzato a freddo a Poggiomarino mentre su una panchina nel centro della città parlava con la sua ragazza, rimasta anch”essa ferita. Tanta gente era in piazza: nessuno ha visto niente. Una banda di usurai, quattordici persone, in prevalenza donne, veri e propri “vampiri” che succhiavano il sangue delle loro vittime ricorrendo a violenze e torture anche in presenza dei familiari atterriti, è stata arrestata ad Ercolano (nella foto un arresto compiuto in quell”operazione). Molti sapevano ma nessuno aveva avuto il coraggio di denunciare.

    In un ospedale napoletano il racket del caro estinto imponeva ditte amiche ai familiari delle persone appena decedute, con la complicità di infermieri, barellieri, autisti di ambulanze, anche con minacce e violenze sulle salme prelevate a forza anche dalle bare in cui erano state sistemate. Sono state necessarie delle intercettazioni telefoniche per incastrare i responsabili.

    Uno “zingaro” rumeno, Petru Birladeanu, che con la sua fisarmonica si esibiva all”ingresso della stazione della Cumana a Montesanto, ammazzato per la bravata di un gruppo di manovali della camorra che scorazzavano in motocicletta nel quartiere sparando all”impazzata per dimostrare che erano loro a comandare la piazza.
    Molti potevano soccorrerlo e trasportarlo al vicinissimo ospedale dei Pellegrini, come dimostrano i filmati, ma tutti hanno preferito fuggire, per paura e per non farsi coinvolgere. Tutti episodi registrati nella stessa settimana.

    Si potrebbero aggiungere tanti altri fatti di violenza, usura, estorsioni, minacce, ferimenti, che scandiscono con una frequenza e una regolarità insopportabile la cronaca quotidiana della città e della provincia, e che si svolgono nella più assoluta indifferenza di casuali spettatori la cui unica preoccupazione sembra essere quella di far sparire le tracce di una presenza che potrebbe diventare compromettente, nel senso di farli entrare, come testimoni, nel processo di ricostruzione dei fatti e riconoscimento dei protagonisti.

    Nessuno, però, nè a livello politico, nè a livello di organi di informazione, si chiede che cosa mai stia succedendo. Come se tutto questo fosse normale; come se estorsioni, usura, violenze, ferimenti, uccisioni, fossero diventati fatti che possono produrre sì indignazione nell”opinione pubblica ma non impongono reazioni attive, partecipazione dei cittadini all”individuazione dei colpevoli, mobilitazione, senso civico. E, questi fatti, non meritano neppure uno straccio di analisi e di riflessione sulle possibili responsabilità.

    Non mi voglio addentrare in analisi sociologiche sulla condizione di anomia nella quale l”intera società sembra precipitata, ma non si può non prendere atto delle conseguenze dell”affievolirsi dei criteri di distinzione tra comportamenti civicamente responsabili e pratiche illegali di sopravvivenza. Certamente, l”insicurezza è diventata l”orizzonte insuperabile della condizione dell”uomo contemporaneo. L”incertezza del futuro come del presente e la consapevolezza del rischio incombente che sembrano caratterizzare la vita quotidiana di ogni individuo può servire a spiegare tanto la forzatura delle regole per il raggiungimento di obiettivi di quotidiana sopravvivenza, quanto il disinteresse per tutto ciò che non ci riguarda direttamente e nel quale non vogliamo comunque essere implicati per timore di conseguenze indesiderate.

    Ma non bastano a spiegare la tolleranza, se non l”acquiescenza, per comportamenti che minano le stesse basi della coesistenza sociale. La mia convinzione, come ho scritto in altra sede, è che anche la camorra, insieme alla società, sia diventata “liquida”, e abbia finito per penetrare, fin negli interstizi delle mentalità e dei comportamenti individuali, la società nella quale viviamo.

    Una società nella quale, per fare un esempio più generale, la corruzione pubblica costa alla collettività 100 miliardi di euro l”anno, come dimostra la Corte dei Conti, tocca quindi pesantemente le tasche di ciascuno, ma non solleva non dico un moto di rabbia ma nemmeno una reazione di giustificata preoccupazione.