Siamo realmente convinti che le nuove modifiche al piano d’emergenza vesuviano abbiano come reale intenzione quella della gestione del rischio vulcanico o l’unico pericolo che si affronterà sarà quello dell’aumento della speculazione edilizia?
Quando si parla di Vesuvio accade un qualcosa che, a Napoli, verrebbe ben definita con l’espressione >‘e se regnere a vocca! Sì, perchè se ne fa di certo un gran parlare, ci si fregia del vessillo, quello del suo inconfondibile profilo ma poi, spesso, non si fa altro che diffondere un luogo comune, senza sapere di cosa si stia parlando. Fin qui, poco male, chiunque è libero di dare libero sfogo alla sua immaginazione e interpretare il Vulcano per eccellenza così come si vuole, salvo assumersene la responsabilità quando si fa prevalere allarmismo o disinformazione. Il problema maggiore però non è tanto quello della cattiva informazione, quella ci sarà sempre come del resto quella buona, ma soprattutto è da temere quello di una cattiva cultura del rischio e quello ben peggiore di una cattiva politica del territorio che ad essa si associa.
Da mesi non si fa altro che parlare del piano d’emergenza per il rischio vulcanico e per decenni (13 anni per l’esattezza) si è portato avanti un piano d’evacuazione fantasioso e soprattutto col forte dubbio di aver tenuto in conto più gli interessi di palazzo che quelli reali, quelli di un inerme quanto assopita popolazione. Infatti, mentre si esaltano i nuovi gemellaggi tra i comuni vesuviani e le regioni italiane, inseriti anche nelle procedure del precedente piano ma con mete diverse (link foto1 e 2), si dimentica di leggere tra le righe e di capire che, ancora una volta, c’è il rischio che a prevalere siano più gli interessi di parte che quelli comuni.
Infatti come già qualcuno ha fatto opportunamente notare (http://rischiovesuvio.blogspot.it/2013/05/vesuvionuova-zona-rossa.html), anche stavolta, i problemi nascono dalla perimetrazione della cosiddetta Zona Rossa ovvero quell’area all’interno della quale potrebbero abbattersi i terribilmente distruttivi flussi piroclastici, nonchè le tanto enfatizzate ma meno temibili colate laviche e ovviamente tutto quello che un eruzione può comportare. Ma, mentre prima, nel piano del 2001, ci si atteneva assurdamente ai confini amministrativi, ponendo ad esempio la fabbrica di San Pietro dell’Ospedale del Mare in Zona Gialla, per poterlo edificare a soli 8 chilometri dal Cratere, o creando un enclave gialla pomiglianese nella zona rossa si Sant’Anastasia, oggi stiamo punto e accapo! Sì perchè la smania edificatrice e cementifera della monocultura locale ha fatto sì che si creasse un nuovo inghippo nell’attuale riordino del piano d’emergenza.
Ora accadrà infatti che con l’innovativa linea Gurioli (dal nome della geofisica Lucia Gurioli, i cui studi sulla ricaduta delle ceneri delle eruzioni passate sono stati utilizzati dalla Protezione Civile e la Regione Campania per rideterminare la nuova zona rossa/R1) non avremo (almeno del tutto) una suddivisione amministrativa delle aree di rischio ma una che terrà presente le proporzioni di un evento eruttivo pari almeno a quello del 1631. Ne scaturisce quindi una Zona Rossa, R1, che racchiude i 18 comuni “storici”, quelli del precedente piano, più parte dei comuni di Scafati (SA), Pomigliano d’Arco, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e dei tre quartieri napoletani di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, portando a 25 i comuni della nuova Zona Rossa. In più è stata istituita la R2, la Zona Rossa 2, soggetta prevalentemente al rischio delle ceneri (alla ricaduta del materiale piroclastico). Ed è qui che casca l’asino o per meglio dire: qui gatta ci cova! Infatti, nei due unici comuni R2, Scafati (che pare voglia uscirne) e Poggiomarino, sarà possibile continuare a costruire, magari costruendo tetti a spiovente, per evitare cedimenti strutturali, o, più probabilmente, aumentando cubature se non di più.
Ma cosa accade? Accade che alcuni comuni della vecchia zona rossa, là dove non si dovrebbe costruire, sono attraversati anch’essi dalla linea Gurioli e confinano largamente con i due suddetti municipi R2, ma in questi R1, come non a caso a Boscoreale che si incunea nella R2, non è possibile costruire, mentre a Scafati, Poggiomarino e nei comuni della Zona Gialla e in quei nuovi comuni “rossi” attraversati solo parzialmente dalla linea nera della Gurioli (Palma Campania, Nola, e i tre quartieri di Napoli) sì, sarà possibile farlo, lasciando orfane del mattone le diciotto circoscrizioni della zona rossa propriamente detta (R1). Accade quindi che Boscoreale fa ricorso al TAR, e lo vince, creando in tal modo un pericoloso precedente per tutti coloro che vorranno acquisire l’edificabilità in Zona Rossa. Potrebbe essere il caso di Pompei, Somma Vesuviana o Sant’Anastasia (che gioia per qualcuno!) sta di fatto, che in un modo o nell’altro, all’ombra del Vesuvio non si fa altro che ragionare in termini di cemento e affini.
Il tutto andrà poi inquadrato nel già disastrato contesto vesuviano, là dove, in R1 l’abuso edilizio non è mai mancato, come purtroppo ovunque nei 25 comuni vesuviani, dove non si contano i casi di superfetazioni e abusi veri e propri, sottaciuti, tollerati o in certi casi sostenuti.
Noi abbiamo dalla parte nostra il tempo, che mai come stavolta è galantuomo ma non facciamocelo nemico. Mentre si discute su R1 ed R2, nel Vesuviano si continua a costruire abusivamente, mentre ci si bea dei gemellaggi, al mare o in montagna che siano, presso regioni che non sapranno e non organizzeranno mai nulla per accoglierci, così come in passato s’è fatto con i precedenti abbinamenti regionali, si sta delineando un nuovo scenario, ma con un piano che non sarà mai calibrato sull’immagine reale della zona di rischio vulcanico. Ma per quanto tempo ancora vivremo di questa rendita?