IL RISORGIMENTO VISTO DA MICHELE CAMMARANO, PITTORE SOLDATO, PENNELLO NAPOLETANO

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    Un viaggio attraverso l”attività di uno dei più celebri pittori del Risorgimento italiano, il napoletano Michele Cammarano che sposò appieno la causa patriottica nella vita e nell”attività artistica.

    Quando il vorticoso vento liberale europeo iniziò a soffiare verso la penisola italiana si innescò un cambiamento epocale per la “nave sanza nocchiere in gran tempesta”, come Dante aveva abilmente apostrofato la nostra terra, da secoli preda delle mire di tutto l’Occidente. E con la maturazione delle condizioni ideali per la formazione di uno Stato nazionale e sovrano, anche l’ Italia giunse, attraverso tre sanguinose Guerre d’indipendenza , alla creazione del Regno d’Italia (14marzo 1861).

    La vicenda risorgimentale ebbe ovviamente una gestazione lunga e sofferta, macchiata dal sangue di migliaia di patrioti immolatisi per un ideale condiviso. Poeti, intellettuali ed artisti abbracciarono la causa comune, promuovendo la crescita e la maturazione di un sentimento nazionale finora soffocato dal dominio austriaco. Un progetto agognato da intellettuali come Giuseppe Mazzini e Massimo d’Azeglio, orchestrato dalla regia di lungimiranti uomini politici come Camillo Benso, conte di Cavour e messo in essere da fieri condottieri come Giuseppe Garibaldi e che concretizzava l’esortazione machiavelliana di “pigliar l’Italia e liberarla dalle mani dei barbari”.
    Sono questi gli anni in cui l’Italia ha visto la fioritura del romanzo storico, che attraverso reminiscenze di un passato remoto, assumeva le tinte di una cronaca feroce contro l’oppressione, spronando alla resistenza e alla lotta contro lo straniero.

    È questo il denso panorama che abbraccia e si svolge anche attraverso la pittura del tempo, non meno “impegnata” rispetto alla prosa nella celebrazione di antiche virtù italiche, un passato che si fa vivida metafora di affinità con il diffuso sentimento patriottico italiano; ecco, quindi, accanto al maestro incontrastato dell’Ottocento italiano, Francesco Hayez, “capo della Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclamava”, come scrisse di lui Mazzini, una nuova generazione di “pittori soldati”, lucidi testimoni oculari di quei tragici momenti di sanguinosa reazione all’oppressore, provenienti dalle zone allora più avanzate del paese – Lombardia, Toscana, Napoli – come Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini e il “nostro” Michele Cammarano (Napoli 1835-1920).

    Il napoletano, inizialmente iniziato alla pittura all’accademia di Napoli, dove entrò poco meno che ventenne e dove fu allievo dello Smargiassi, trovò decisivo indirizzamento attraverso lo schietto naturalismo della scuola di Posillipo, felice parentesi della pittura partenopea improntata al rinnovamento della tradizione accademica e del vedutismo di stampo neoclassico che attingeva dalla geografia campana un vasto repertorio di immagini.

    Amico di Bernardo Celentano e di Domenico Morelli, si recò con loro a Firenze nel 1861 per la prima esposizione nazionale italiana e poté cosi conoscere i macchiaioli del caffè Michelangelo con la loro proposta innovatrice della macchia in opposizione alla forma; di certo, il giovane Cammarano restò positivamente impressionato dalla lezione della pittura fiorentina che ricostruiva la realtà per masse grevi di colore (d’altro canto l’attenzione alle vicende artistiche contemporanee è confermata dal viaggio che nel marzo del 1870 lo porterà a Parigi, dove si recherà per conoscere il realismo di Courbet e dove rimarrà profondamente conquistato dalle opere dei “dioscuri” del Romanticismo Gericault e Delacroix). Ma sono questi, soprattutto, gli anni di una militanza patriottica attiva che terrà impegnato il pittore almeno per un decennio: anni in cui compie esperienze umane e professionali decisive per la sua formazione, come l’appassionata e sincera adesione alle campagne garibaldine.

    Michele Cammarano diventa acuto testimone di quegli eventi, attraverso una pittura esatta e fedele, capace di coniugare la strenua caparbietà e la forza dei martiri della patria con un’attenzione al pathos e al dramma dei risvolti umani di quelle pagine di storia. Patriota nel quotidiano, soldato pittore lo fu anche quando, deposti moschetto e spada, impugnò il pennello per rendere vivacemente la tragedia della guerra e, fuggendo da sterili pleonasmi, fotografò la cronaca degli eventi, soprattutto evidenziando, senza futile retorica, la forza onorevole del sacrificio, quasi svelando uno strato di dissimulata tristezza per il sangue versato, male necessario per amor di patria. Capolavoro assoluto dell’artista napoletano, La Carica dei Bersaglieri alle mura di Roma, il cui titolo originale era Savoia, Savoia! (foto), fu realizzata nel 1871 e raffigura l’assalto delle truppe nazionali durante la conquista di Roma avvenuta il 20 settembre di quell’anno.

    Tripudio di carne e polvere, l’inarrestabile avanzata dei militari sembra coinvolgere l’osservatore che, nonostante sia quasi travolto dalla veemenza visiva della marcia trionfante, non può non immedesimarsi nel gorgo umano che sopravanza, sentendosi rapire da fremito patriottico.

    Adottando una posa suggerita dalla conoscenza delle nuove conquiste fotografiche, Cammarano sperimenta una soluzione ardita e innovativa nel suo genere, prediligendo infatti la visione frontale per focalizzare la carica dei bersaglieri, piuttosto che ricorrere alla tradizionale scena bellica con i due eserciti schierati e pronti alla battaglia: il massimo di carica emotiva e pittorica per rappresentare la foga durante la carica di assalto, finalizzata alla presa di Roma.
    (Fonte foto: Rete Internet)