La legge “svuotacarceri” è in vigore, ma agli addetti ai lavori sembra una legge-beffa; un fuoco di paglia buono solo per gettare fumo negli occhi. Di Simona Carandente
Se ne parla ormai ovunque, in rete, sui giornali, nelle aule di giustizia e tra gli addetti ai lavori: grande attesa per un provvedimento che, quantomeno nelle intenzioni, costituirebbe un primo ed importante punto di partenza verso la risoluzione del sovraffollamento carcerario, vera e propria emergenza dello Stato italiano e macchia nera nell’attuale sistema penitenziario.
Da oggi la legge "svuotacarceri" è ufficialmente in vigore, ma non cessa di alimentare polemiche, alla luce delle numerose lacune del testo legislativo nonché, aspetto più grave, delle enormi e concrete difficoltà connesse alla sua applicazione concreta.
In un convegno organizzato dalla Camera Penale di Napoli, in collaborazione con la Onlus "Il Carcere Possibile" ed il Tribunale di sorveglianza di Napoli, avvocati e magistrati si sono confrontati tra loro su quella che, è inutile dirlo, sembra già suonare come una legge-beffa, con l’unico effetto di gettare fumo negli occhi delle già disinformate masse.
La concessione del beneficio, grazie al quale poter scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di carcere, non è assolutamente automatica, essendo rimessa alla sussistenza di taluni parametri di legge nonché, in taluni casi, alla valutazione dello stesso magistrato di sorveglianza.
Attraverso una prima stima, si è evidenziato che solo 2000 detenuti in tutta Italia (400 in Campania) potrebbero beneficiare della nuova disposizione, tenuto conto dell’ammissibilità della loro domanda. Il primo, grosso limite alla concessione del beneficio starebbe, in prima istanza, proprio nel requisito della cd. "idoneità del domicilio", tassativamente previsto dalla norma.
In mancanza di parametri dettati dal legislatore, verrà rimessa ai già gravati uffici dell’UEPE (esecuzione penale esterna), il compito di valutare tale idoneità, attraverso la redazione di una sorta di verbale motivato, corredato da un accesso sul posto e dalla verifica dell’immobile e della messa in sicurezza generale di quest’ultimo.
La valutazione dei parametri soggettivi, invece, viene rimessa al magistrato di sorveglianza, al quale è devoluta una complessa valutazione della singola posizione detentiva, ivi compresa la possibilità che il beneficiario si dia alla fuga, o che possa commettere altri delitti ostativi alla concessione del beneficio stesso. Il tutto attraverso un giudizio, certamente prognostico, ma motivato e da emettere caso per caso.
Ristretto il campo di applicazione del beneficio, non breve il tempo necessario per istruire la pratica, corredarla della documentazione necessaria, presentarla in sorveglianza e far sì che si avviino tutte le valutazioni del caso, il tutto condito da pressioni ed inevitabili malumori dell’opinione pubblica e dei beneficiari "in fieri", convinti che la legge rappresenti la panacea di tutti i mali.
Ancora una volta sarà l’esperienza concreta a poter consentire un bilancio: tuttavia, date le premesse, il rischio dell’ennesimo fuoco di paglia è più che mai reale. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)