Per avviare un ragionamento bisogna partire dallo Stato, la cui presenza nella società meridionale si è configurata come debole fin dall”unificazione.
Di Amato Lamberti
Dopo 25 interventi sulla fenomenologia dei rapporti tra politica e camorra si pone l”esigenza di capire il perchè delle situazioni evidenziate. Un ragionamento più teorico mi sembra necessario, anche perchè un po” di teoria serve anche per inquadrare i problemi sollevati dalla cronaca quotidiana.
Dobbiamo partire non dalla camorra ma dallo Stato, perchè, per molte ragioni la presenza dello Stato nella società meridionale si è fin dalla unificazione configurata come debole.
Tanto è vero che le modalità del rapporto tra Stato e Mezzogiorno sembrano definite da tre ordini di difficoltà o di debolezze: carenza di legittimazione, basso livello di penetrazione, assenza vistosa di integrazione. Sono proprio queste debolezze a determinare, e via via allargare, una vera e propria discrasia tra le proteste di regolamentazione e di intervento da parte dello Stato e la sua concreta incapacità di rendere credibili ed operanti queste pretese attraverso una amministrazione efficace e una capacità di progettazione e direzione dello sviluppo. In una situazione di questo tipo è normale che, qui come altrove, si creino spazi consistenti per la sostituzione dei poteri privati al potere dello Stato.
Le funzioni pubbliche sono assunte, a più livelli, da gruppi privati che, ad esempio attraverso lo scambio clientelare, attraverso il monopolio delle funzioni di mediazione sociale, si assumono il compito di garanti della fiducia nei rapporti fra privati e fra pubblico e privati. Ma si può arrivare anche all”appropriazione della funzione di esercizio della violenza, attraverso l”organizzazione di forme di controllo, monopolistico o quasi, della violenza privata, come accade con le organizzazioni mafiose e camorristiche. Il sistema politico meridionale, nella sua concreta configurazione, è la realizzazione esemplare del modello esposto, con tutte le sue conseguenze, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra interessi organizzati, sistema dei partiti e pubblica amministrazione.
Nel Mezzogiorno l”organizzazione degli interessi è relativamente debole per la scarsa presenza e il basso peso delle associazioni secondarie di organizzazione degli interessi e per la costante e diffusa utilizzazione, come risorsa da spendere sul piano politico, dei reticoli di azioni clientelari, parentali e familiari. Proprio il sistema clientelare –che comporta la frantumazione degli interessi in una miriade di domande individuali e/o microcollettive- determina, nei centri pubblici di decisione e di spesa, una forte concorrenza tra soggetti con funzione politica e soggetti con funzione amministrativa, perchè entrambi aspirano al massimo del potere discrezionale e perchè, inoltre, molto spesso, sono o tendono ad entrare in rapporto d”affari o di scambio con interessi organizzati.
Bisogna anche tenere presente la collocazione che partiti politici e apparati statali hanno nel Mezzogiorno all”interno della dinamica sociale. I partiti politici non possono, nel contesto meridionale, essere descritti come strumenti della rappresentanza e del potere politico in contrapposizione a poteri e istituzioni proprie della società civile, perchè si registra, tra partiti politici e società civile, una quasi totale coincidenza. Le macchine politica e amministrativa diventano così predominanti rispetto alle classi, ai sindacati, ai ceti professionali, ai gruppi economici e possono tranquillamente lavorare per la realizzazione di una società dove il compromesso e la mediazione sono la regola e dove l”esercizio della politica o dell”amministrazione si traduce immediatamente in rendita di potere, di prestigio sociale, di posizione economica.
Il controllo delle posizioni-chiave delle istituzioni si è tradotto nel controllo dell”economia, impedendo anche ogni tentativo di diversificazione socio-economica che avrebbe introdotto fattori di cambiamento e modifica della situazione con conseguente perdita di centralità e potere. Il monopolio dei tre mercati fondamentali –del credito, dell”edilizia pubblica e privata, del lavoro- ha non solo consentito di solidificare il potere dei partiti, ma li ha sganciati dallo stesso bisogno del consenso degli elettori, perchè esso stesso è finito, per così dire, monetizzato: è diventato una merce di scambio.
Una pratica politica e amministrativa fondata largamente sull”illegalità non poteva che favorire il consolidamento e l”allargamento di comportamenti e pratiche illegali nella società e nell”economia, soprattutto in situazioni in cui alcune funzioni peculiari dello Stato, come quelle della legittimazione dell”ordine esistente, della mediazione sociale, del controllo della violenza privata erano delegate a gruppi privati e gestite in forme clientelari e/o criminali.
In Campania, l”esistenza “storica” di organizzazioni criminali, sostenuta da una diffusa cultura della violenza e dell”illegalità, ha costretto fin dall”inizio i poteri politici e amministrativi a fare i conti e a venire a patti con esse, stante la comunicazione di interessi e l”incapacità di fronteggiarne le pressioni e ridurne la presenza e il peso in determinati territori e contesti sociali. Anche in questo caso ha funzionato il meccanismo dello scambio politico: in cambio del controllo di alcune zone di conflittualità sociale e della raccolta di consenso, si sono concessi privilegi e qualche libertà di movimento.
Finchè le organizzazioni, o meglio i gruppi criminali, erano scarsamente numerosi, avevano basse pretese, agivano su territori limitati ed operavano prevalentemente sulle intermediazioni tra città e campagna, il potere politico e amministrativo non ha avuto grossi problemi ma ha, anzi, lucrato, intermini di consenso sociale ed elettorale, più di quanto non sia stato costretto a cedere o a pagare. Quando le organizzazioni criminali sono diventate delle vere e proprie holding economico-criminali con pretese di egemonia economica e di governo delle decisioni e degli investimenti, le “macchine” politico-amministrative sono state costrette a prendere atto di una trasformazione che investiva la loro stessa sopravvivenza oltre che la loro egemonia.
La risposta “forte” dello Stato, così come si è scritto su tutti i giornali, con i maxi-processi di Napoli e con le decine di analoghe, sia pure ridotte, iniziative della magistratura e delle forze dell”ordine, trova una spiegazione di ordine più generale proprio nella necessità di ristabilire un rapporto di supremazia delle “macchine politiche” rispetto alle lobby mafiose e camorristiche. Un obiettivo che in Campania sembra realizzarsi più facilmente e più rapidamente di quanto non avvenga in Sicilia, dove probabilmente il radicamento consolidato delle organizzazioni mafiose fin dentro la “macchina politica” pone anche il problema di una riconquista delle posizioni di potere politico e amministrativo cedute o sottratte.
In Campania il rapporto tra mercato politico e holding criminali si configura diversamente proprio perchè le organizzazioni criminali, mentre si sono evolute fino a diventare delle vere e proprie holding economico-criminali, ancora non sono riuscite –se non in qualche situazione dell”area nolana- a costituire delle lobby economico-politico-criminali.