COSA SI APPRESTA A DIVENTARE NAPOLI

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    La città di Napoli punta sull”innovazione sociale e guarda al futuro, vuole diventare una Smart City. Vediamo i diversi modelli di questo progetto. Di Amato Lamberti

    Il bando “Smart cities and communities and social innovation”, promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è scaduto il 30 aprile 2012. Il Comune di Napoli con uno sprint lodevole, dopo l’approvazione, lo scorso 8 marzo 2012, della delibera che ha lanciato il Progetto Napoli Smart City come una scelta strategica dell’Amministrazione, ha istituito un tavolo tecnico inter-assessoriale al quale hanno preso parte anche associazioni, università del territorio, enti di ricerca, imprese del settore. Da questi incontri sono state selezionate una serie di idee progettuali, inserite nel documento approvato in Giunta e che costituiscono i progetti che la città di Napoli presenta all’interno di questo primo finanziamento sul tema.

    “Il futuro di Napoli è quello di diventare una smart city, prospettiva questa che ha suscitato grande partecipazione ed entusiasmo da parte del mondo universitario, della ricerca, dell’imprenditoria, afferma il vicesindaco di Napoli Tommaso Sodano, che aggiunge: “il progetto di oggi dimostra che su temi come la mobilità sostenibile, le fonti rinnovabili, le nuove tecnologie applicate a settori come turismo e cultura esiste una voglia di investimento e un grande interesse. Si tratta, inoltre, di una strada che consente anche un’importante opportunità per i progetti di innovazione sociale destinati ai giovani”.

    È chiaro che la proposta del comune di Napoli lega il concetto di smart city a quello di innovazione sociale. Le smart city sono infatti le città che creano le condizioni di governo, infrastrutturali e tecnologiche per produrre innovazione sociale, per risolvere cioè problemi sociali legati alla crescita, all’inclusione e alla qualità della vita attraverso l’ascolto e il coinvolgimento dei diversi attori locali coinvolti: cittadini, imprese, associazioni. Comunque, a seconda della priorità data alle diverse forme di comunicazione e di partecipazione, si possono prevedere diversi modelli di smart city, come indicano i materiali preparatori del Forum PA.

    La città delle reti o “net city”. Le città sono centri flessibili in grado di relazionarsi sia alla propria popolazione sia ai flussi internazionali legati ai settori della finanza, dell’economia e della cultura con l’ambizione di fungere da collegamento tra globale e locale, di fare da cerniera di connessione fra la dimensione locale e quella globale. Da questa prospettiva, la città diventa lo strumento per mobilitare e valorizzare le risorse umane e le competenze che ospita ai fini della concorrenza globale. Per fare questo deve essere per prima cosa “accogliente” ed essere capace di attrarre il capitale umano della classe creativa in settori innovativi e di ricerca.

    La città aperta o “open city”. È la città che dà priorità alla trasparenza del suo operato. La comunicazione delle proprie attività non è mediata ma è diretta: pubblicazione online di tutti gli atti, trasmissione in diretta streaming delle sedute consiliari, accesso agli atti. È con l’adozione del modello degli open data che questo approccio ha trovato la massima espressione prima in alcuni paesi esteri e, recentemente, anche in Italia con le esperienze di Udine, Torino, Firenze.
    La città senziente o “sentient cities”. Finalizzata prioritariamente a migliorare l’efficienza operativa e la sostenibilità dello sviluppo, la città senziente crea le condizioni infrastrutturali per produrre e gestire le informazioni sul suo funzionamento negli ambiti prioritari delle sue funzioni come la mobilità, le risorse energetiche, la qualità dell’ambiente. Esempi di questo approccio, tra i tanti, sono il progetto “Trash Track e Live Singapore” del MIT e il progetto del Politecnico di Torino.

    La raccolta delle informazioni non è solo delegata al diffondersi di nuovi strumenti urbani sotto forma di sensori ma nuovi progetti coinvolgono i cittadini i quali da fruitori o beneficiari diventano soggetti attivi nel monitoraggio della città. Un esempio di questo tipo è la sperimentazione portata avanti nella città di San Francisco con la tecnologia Citysense che analizza i flussi dei movimenti urbani monitorando (in formato anonimo) i dati di posizionamento prodotti dai cellulari. Ancora più ambizioso il “Copenaghen Wheel project” che prevede, tramite uno speciale accessorio di trasformare normali biciclette in veicoli elettrici in grado di raccogliere informazioni sul sistema urbano: inquinamento, traffico, condizioni delle strade che vengono inviate ad un centro di controllo che le elabora e le redistribuisce in tempo reale.

    La città partecipata o “wiki city”. La comunicazione è orientata a favorire il coinvolgimento dei cittadini nella gestione della cosa pubblica. Dai primi esperimenti di e-democracy alle recenti esperienze di contest pubblici e wiki-government i cittadini sono chiamati a diventare parte attiva nelle decisioni che riguardano la città. Esempi concreti di questo approccio sono le esperienze di Bologna e Cagliari.
    La città neo-bohème o “città creativa”. È la città che dà spazio alla comunicazione che viene dal basso in formato di produzione artistica, creando così le condizioni per la riqualificazione di aree urbane. I quartieri neo-boheme sono laboratori di ricerca e sviluppo per la produzione dell’economia dell’entertainment, dei media, della pubblicità, dei lavori legati all’estetica.

    La città resiliente. Il 4 novembre, a seguito dell’emergenza causata dal nubifragio a Genova, Twitter è stato utilizzato dai cittadini stessi per dare informazioni di pubblica utilità e, a fronte delle difficoltà di sovraccarico della rete cellulare, per invitare le famiglie ad aprire l’accesso ai router wifi domestici così da mettere la comunicazione su internet a disposizione della popolazione in generale. L’ashtag utilizzato su twitter è stato rilanciato dalle TV, a cominciare da Rainews24, creando così una rete di comunicazione formale-informale a disposizione della cittadinanza. È stato un classico esempio di comunità resiliente in grado, cioè, di reagire ad una calamità esterna condividendo informazioni.

    Una città resiliente è quindi una città che aiuta i cittadini a meglio comprendere i rischi del proprio territorio, soprattutto legati ai cambiamenti climatici, tramite la formazione e la sensibilizzazione, e a condividere le informazioni in caso di eventi minacciosi.
    La città 2.0 È una amministrazione che si mette dalla parte dei cittadini e che, con gli stessi, stabilisce una relazione di comunicazione bidirezionale perché è consapevole che nessuno meglio di loro può valutare servizi e progetti, segnalare eventuali criticità, manifestare esigenze e bisogni e fare proposte per soddisfarli. Nella sua accezione più ampia i cittadini non vengono coinvolti solo tramite consultazione ma nella progettazione stessa dei servizi, è quello che comunemente viene chiamato il co-design dei servizi. Esempi sono le esperienze di Fixmystreet, Are you safe, e in Italia, del comune di Udine.

    La città come piattaforma o “cloud city”. Lo spazio urbano, con le sue strade, piazze, parchi è da sempre la precondizione per l’interazione sociale. Nella città come piattaforma la tecnologia diventa un elemento facilitatore dell’interazione, diventa software di connessione tra idee, iniziative, competenze ed esperienze diverse o, come dice Ben Cerveny, il sistema operativo della società civile in grado di “combine the reach of the cloud with the power of the crowd”. C’è chi denota questa caratteristica come MAAS, Municipality as a Service, prendendo a modello l’approccio portato avanti dalla città di New York che tra le prime città al mondo ha esplicitato il suo modello di sviluppo digitale tramite un piano di sviluppo, la Road Map for Digital City, finalizzato a “create an ecosystem that enables both transparency and also economic growth.

    Come si vede i modi di essere smart, per una città, possono essere diversi e complementari tra di loro. L’importante è fare delle scelte chiare a partire dalle esigenze giudicate prioritarie per la singola città e tenendo conto che le tecnologie devono servire, innanzitutto, a promuovere il capitale sociale e a sostenere una cittadinanza attiva, una smart communities, orientata a risolvere problemi condivisi e creare nuove opportunità sociali, economiche e culturali.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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