ATENE E LE NOSTRE MISERE CITTÁ DELLA BELLEZZA

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I nostri Enti Locali pensano che le gare di bellezza siano progetti culturali. In realtà, a spese dei contribuenti, inebetiscono i giovani con quanto di peggio offre la TV.

Il cuore profumato della città, spazio sacro di tutta la grecità è l’Acropoli, spianata dall’intelligenza e dal fervore per ingraziarsi gli dei.
Atene rappresenta, da quando il tempo è diventato la misura della creatività umana, l’archetipo della bellezza, intessuta dalle trame dei racconti mitici e dalle tradizioni epiche dell’ulivo sacro ad Atena.

Nell’elenco delle città invisibili la città di Pericle rappresenta il sogno di una democrazia partecipata, che governa l’aspirazione alla bellezza, cioè alla profonda propensione umana a percepire come bello ciò che è giusto. Infatti per i Greci la kalokagathìa è una parola che condensa insieme il bello e il buono. La bellezza e l’armonia, che ne è il suo risultato, migliorano il mondo e quindi sono giuste, anzi definiscono la giustizia. La visione estetica della vita è indissolubilmente legata alla visione etica; non a caso Dostoevskij attribuisce alla bellezza l’incarico di salvare il mondo dalla turpitudine del male.

Dalle vette del dibattito, così vivo nella nostra società, passiamo alle depressioni stagnanti e putride delle nostre città visibili, in cui la bellezza è tramite di ambiguità e di perdita del senso del divino in noi.
A Somma, a Sant’Anastasia e in altri paesi, per esempio, la progettualità cosiddetta “culturale”, a spese dei contribuenti, pensa che aiutare i giovani a maturare la dimensione estetica, sia organizzare gare di bellezza: le selezioni del più bello d’Italia e della Miss Italia, la proposta dei momenti peggiori di trasmissioni televisive, vergognose speculazioni diseducative, che hanno come scopo l’applauso di una folla omologata e sprovvista di strumenti culturali.

Il mercato di corpi, le allusioni volgari, le atmosfere ambigue e goderecce vengono contrabbandate come legittima aspirazione di ragazzi e ragazze, per i quali l’unico scopo della vita è assomigliare a questo o a quel modello diffuso dallo scemenzario televisivo.
L’aspetto grave della situazione è che il disegno di inebetire le giovani generazioni viene proprio dagli enti locali, a volte dagli istituti scolastici, i quali si vantano di imprimere alle comunità un moto di rinnovamento giovanile. Il tutto immerso nello sfasciume urbanistico e nell’abbandono dei luoghi, dei monumenti, delle scuole della città che maggiormente avrebbero bisogno di essere curati.

Come si vede, educare alla bellezza non si esprime nell’educare al bene e al giusto, ma semplicemente nel perpetuare un inganno modaiolo ai danni della gioventù. Sono pochi i giovani che si accorgono del tentativo in atto di inquinare il loro immaginario, per i più tali povere iniziative rappresentano un’occasione di sentirsi vivi, mostrandosi.
E quale peggiore ingiustizia è quella di chi, avendo il compito di restituire ad una comunità la sua dignità morale ed estetica, la obbliga ad alimentare la nequizia dell’idiotismo becero e vacuo della velina di turno?