Vesuvio 1906, la drammatica cronaca americana di devastazione e di morte

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La sperimentazione in Italia dell’ It – Alert, grazie ad un messaggio di preallarme sui telefoni delle persone, ha fornito finalmente un sistema innovativo che salverebbe tante vite umane nel caso di una eventuale calamità naturale. Il 4 aprile del 1906, non fu così: la tremenda eruzione, le cui conseguenze furono documentate sul giornale americano Tribune di New York (New York [NY]) del 10 aprile 1906, portò alla morte 216 persone. Uno scenario, anche se spesso impreciso nei dati, accuratamente descritto dal corrispondente americano.

New York Tribune

Naples, April 9, 1906 – Reports of fatalities consequent the eruption of Mount Vesuvius are coming in. According to information received late tonight probably five hundred lives were lost. It is said that more than two hundred perished in the district of San Giuseppe Vesuviano, while from the ruins of a church which collapsed, owing to the weight of ashes on the roof, forty-nine bodies were extricated.[…]

Da Napoli, infatti, stavano arrivando notizie di vittime in seguito all’eruzione. Le informazioni, pervenute nella tarda serata del 8 aprile, erano tragiche: sarebbero morte cinquecento persone [in realtà sarebbero state 216]. Più di duecento perirono tra Ottajano e nella contrada di San Giuseppe Vesuviano, dove dai ruderi di una chiesa crollata [chiesetta dell’oratorio dello Spirito Santo – cit. L. Iroso], per il peso delle ceneri sul tetto, furono districati addirittura i primi quarantanove corpi. A San Giuseppe Vesuviano morirono ancora altre trentasette persone per la caduta di case. Un convoglio ferroviario diretto a Napoli fu sbalzato dai binari da una pioggia di sassi provenienti dal cratere. La cavalleria, venuta in soccorso degli abitanti, non riuscì a fare alcun progresso: la pioggia di cenere caduta aveva generato uno spessore di trenta centimetri, rendendo impossibile il movimento dei cavalli. Il mare era molto agitato. Il cielo si era schiarito, ma pesanti nubi iniziavano ad incombere a est, minacciando ulteriori acquazzoni. I flussi di lava erano quasi stazionari. Le truppe stavano erigendo barriere in direzione di Pompei per evitare ulteriori pericoli in quella zona.

1906- Prof. Matteucci

Il professor Raffaele Vittorio Matteucci, direttore del Regio Osservatorio, per l’occasione inviò il seguente messaggio:

L’attività esplosiva del Vesuvio, che ieri era molto intensa ed accompagnata da scariche elettriche molto potenti, è diminuita. Ieri sera e durante la notte cessò l’espulsione delle rocce, ma aumentò l’emissione della sabbia, che mi avvolse completamente e formò un letto profondo più di dieci centimetri, che portò la desolazione in questa regione elevata. Masse di sabbia che scivolavano lungo la terra creavano un’oscurità completa fino alle 7. Diversi blocchi di pietra hanno rotto le finestre dell’osservatorio. Le scosse di terremoto di ieri notte sono state più forti e frequenti rispetto a ieri e hanno spostato l’apparato sismico. Ieri pomeriggio e stamattina sono caduti torrenti di sabbia. Mentre telegrafo, dal cratere allargato e dai nuovi crepacci si sollevano senza rimbombo parecchi gomitoli di copertone.

1906 – lava a Boscotrecase

Oltre alla devastazione operata dalla lava, il danno causato dalla cenere fu colossale, tantoché San Giuseppe Vesuviano, paese di seimila abitanti, pagò un notevole tributo di morte. L’unica cosa rimasta in piedi nella chiesetta fu la statua di Sant’Anna, la cui conservazione dalla distruzione fu vista come un miracolo e come una promessa di liberazione dal pericolo. Ad Ottaviano, cinque chiese e dieci case caddero sotto il peso della cenere. Nella caduta degli edifici morirono circa dodici persone e molte rimasero ferite più o meno gravemente. La cittadina era interamente deserta. I rapporti che arrivavano dalla costa e dalle città dell’entroterra raccontarono di terribili devastazioni. San Giorgio a Cremano, Portici, Resina e Torre del Greco furono quasi del tutto abbandonate. Gli abitanti di Torre Annunziata, appena avvisati,  furono pronti a partire. Somma Vesuviana fu un altro paese che soffrì molto. La maggior parte degli edifici nei villaggi vesuviani erano di costruzione fragile e con tetti piani, incapaci di sopportare il peso della cenere. Si scoprirà, in seguito, che un numero considerevole di persone erano morte a causa del crollo delle loro case. Il corrispondente dell’Associated Press, fece un giro tra i villaggi minacciati. I binari della ferrovia e del tram erano a pochi centimetri di profondità sotto le ceneri vulcaniche, e lo stesso materiale rendeva le strade impraticabili per i cavalli, così che un’automobile era l’unico mezzo con cui si poteva effettuare l’ispezione del paese devastato. La scena era di miseria e di terrore. Fumo e cenere rendevano difficile la respirazione. Si sentivano lievi tremori della terra e frequenti lampi di fulmini. L’oscurità arrivò a intervalli molto prima del calare della notte. Nelle strade delle città deserte, gli unici rumori che si udivano erano il tonfo dei mucchi di cenere che cadevano sui tetti e lo sbuffo delle automobili. Nei paesi dove ancora c’era gente, le case erano tutte chiuse e gli abitanti vagavano sconsolati per le strade, cercando di trovare conforto possibile dai carabinieri e dai soldati. Questi furono gli eroi del momento, in quanto, per niente stanchi, sembrava che non dormissero mai, e dove c’era pericolo erano freddi, forti e vigili.

Nel corso del viaggio si raggiunse un punto da cui si poteva vedere il Vesuvio sotto la sua nuvola di fumo. L’alto cono del vulcano era scomparso quasi interamente, essendo stato inghiottito, tanto che l’altezza della montagna era quasi seicento piedi inferiore a quella di prima. Sul versante nord della montagna si erano formati nuovi crateri.

1906 – Duca d’Aosta

I profughi, dai villaggi minacciati o distrutti, si riversarono a Napoli a migliaia, arrivando con ogni mezzo di trasporto e a piedi. Le strade erano affollate di cortei di uomini e donne che innalzavano croci e piangevano pietosamente. Treni speciali, navi da guerra e piroscafi vennero impiegati per trasportare i senzatetto dalle loro località a Napoli, Roma e Castellammare, mentre un gran numero di persone fuggiva via terra in direzione di Caserta. Non meno di quindicimila profughi raggiunsero Castellamare, dove fu ancorato il piroscafo Princess Mafalda.

Il re Vittorio Emanuele e la regina Elena, con la loro attività a favore delle vittime dell’eruzione, si prodigarono con grandi sforzi per alleviare gli indigenti. Il re e la consorte, con il loro seguito, arrivarono ​​a Napoli da Roma. Quando il treno reale raggiunse la stazione, l’eruzione del vulcano era quasi al suo culmine, ma sia il re che la regina insistettero per partire immediatamente per Torre Annunziata. Sua Maestà pronunziò queste lapidarie parole: Se Torre Annunziata è in pericolo è mio dovere essere lì. In automobile, con tanta difficoltà, gli ospiti reali partirono senza indugio per le contrade colpite.

Il corteo reale fu accolto con toccanti manifestazioni di gratitudine, tra applausi e pianti, espressioni di ringraziamento e frenetiche azioni di gioia. Per ordine del re non vi fu alcun tentativo di tenere la gente lontana da lui. Le donne baciarono la mano del re e l’abito della regina, esclamando: Dio ti ha mandato a noi. Una delle donne, rivolgendosi al re, gridò: Se tu sei il nostro Re, ordina al vulcano di fermarsi! I sovrani visitarono Sant’Anastasia, Cercola e Somma Vesuviana [piazzetta sotto al campanile di San Domenico]. Ad un certo punto, il corteo reale incontrò un piccolo ciclone di ceneri, che in parte li accecò, soffocò e li fermò. Il re e il suo seguito scesero e proseguirono a piedi. Nel tardo pomeriggio il corteo reale ritornò a Napoli e visitò gli alloggi temporanei predisposti per i fuggitivi.

1906 – treno reale

Le condizioni a Torre Annunziata e Pompei, intanto, erano migliorate a causa del cambiamento della direzione assunta dalla colata lavica. La città di Nola, antica cittadina di quindicimila abitanti, a ventidue miglia da Napoli, soffrì gravemente per la caduta delle ceneri, portate dal vento fino al mare Adriatico. Qui e altrove avevano cercato rifugio numerosi profughi provenienti dal comprensorio vesuviano. Nella caserma dei Granili di Napoli furono alloggiate quattromila persone. La colata di lava che minacciava Torre Annunziata rimase stazionaria, tanto che il pericolo che la località venisse travolta sembrava passato. La quantità di cenere, sollevata dal Vesuvio, fu senza precedenti. In molti luoghi la gente era presa dal panico e regnava uno stato di grande confusione. Alcuni parroci si rifiutarono di aprire le loro chiese alle persone che cercavano di entrare, temendo che un terremoto avrebbe distrutto gli edifici pieni di gente.

1906 – processione a Napoli

Folle di donne, allora, abbatterono le porte delle chiese e si impossessarono delle immagini e delle statue dei santi, che portavano con sé come protezione contro la morte. Molte persone si accamparono lungo le strade e nei campi fuori Torre Annunziata e Ottaviano, dove credevano di essere più sicuri che nei paesi, benché quasi accecati dalla cenere, bagnati fino alle ossa dalla pioggia e terrorizzati dalla gigantesca massa in fiamme. Dei 32.000 abitanti di Torre Annunziata, solo circa duemila osarono restare nel paese, pattugliato dalle truppe. Questo, insomma, fu lo scenario accuratamente descritto dal corrispondente del giornale Tribune di New York, all’indomani della più tremenda eruzione del XX secolo.

1906 – sgombero binari