Un caffè con…Annarita De Simone

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Annarita De Simone

Unica eletta di Forza Italia – e dunque capogruppo – nel consiglio comunale di Sant’Anastasia, medico chirurgo specializzato in Ortopedia, si definisce una liberale democratica.

Indipendenza, libertà, impegno mirato al raggiungimento degli obiettivi che di volta in volta si prefissa e  che – sottolinea lei – raggiunge sempre. Sono le cifre peculiari di una donna che ha dovuto, come racconta, confrontarsi molto presto con le responsabilità. Figlia di quella che un tempo era considerata la «borghesia» anastasiana, ha respirato la politica prestissimo, vivendo già da piccola gli anni in cui l’impegno civico nella cittadina ai piedi del Monte Somma era sentito, vivo, pregnante. Come viva era la stessa Sant’Anastasia. Ha studiato, si è laureata, scegliendo la professione medica – e una specializzazione che ancora oggi poche donne privilegiano in quel campo – ha raggiunto un suo equilibrio scartando spesso opportunità di carriera più appetibili con il solo scopo di restare nella sua terra e, soltanto molto più tardi, ha deciso di scendere in campo quasi – parole sue – per ripercorrere le orme paterne. Nella politica, alla quale si è poi appassionata concretamente e che ora fa parte della sua vita. Come di consueto, in coda all’intervista è allegata – per chi crede nell’influenza degli astri sul carattere di ciascuno – la sua carta natale: Annarita De Simone è una cuspide, una Bilancia con molti tratti del segno successivo, lo Scorpione. Il suo ascendente cade nel segno dei Gemelli. Un mix di Aria/Aria che non tollera le costrizioni e che, anche se non parrebbe, la porta ad essere più che anticonvenzionale.

Annarita sei nata, cresciuta e vissuta a Sant’Anastasia, in una famiglia grande, numerosa. Quanto contano i legami parentali per te?
«Tanto, e sono ancora importantissimi. Come lo è il legame alla città: siamo tutti nati e cresciuti qui e io sono l’ultima di parecchi figli. Mio padre Antonio era un commerciante di tessuti, mia madre Angela stava a casa con noi sei, saremmo stati in otto se le mie sorelle gemelle, Luisa e Immacolata, fossero vissute più di tre mesi. Una grande famiglia patriarcale come si usava un tempo e noi figli sentiamo ancora forte il senso di appartenenza, il legame di sangue. Mio fratello Francesco era il primo, è mancato pochi mesi fa e la sua assenza mi pesa, la sento forte. Avevamo un rapporto quasi da padre – figlia, con sedici anni di differenza è stato il mio punto di riferimento. Mi ha protetto, coccolato, era quasi una simbiosi pure se negli anni ho acquisito la mia autonomia. Stretto è il rapporto anche con gli altri fratelli: Rosina, Maria, Enzo e Luigi. La famiglia è cresciuta negli anni, sono al momento zia di sedici nipoti che hanno a loro volta avuto dodici figli».

Che ricordi hai dei tuoi genitori?
«Rammento che mio padre, scherzando su di me che ero l’ultima nata, raccontava che ero venuta al mondo una sera di pioggia, un venerdì. Sorridendo, ripeteva un vecchio proverbio: “’A mala notte e ‘a figlia femmena”. Per il resto, a parte i loro volti, il calore della mamma e l’affetto che sentivo forte, ho ricordi vaghi perché sono entrambi mancati quando ero giovanissima, avevo poco più di venti anni. Per tantissimo tempo ho rimosso questa cosa, non ricordavo davvero nulla. Oggi ogni tanto riaffiora qualche frammento che mi riporta a quel senso di sicurezza e mi fa star bene».

Com’è stato crescere e affrontare le responsabilità da sola?
«Non me ne sono resa conto, non ho realizzato. Ero talmente presa da tutto quel che la vita mi imponeva, che non ho avuto davvero il tempo di metabolizzare la perdita. Dovevo studiare, mandare avanti la casa, lavorare. Ho finito gli studi caparbiamente, laureandomi con un paio d’anni di ritardo proprio perché durante il percorso i miei si ammalarono. Prima la laurea, nel 1984, e poi la specializzazione in Ortopedia».

Perché hai scelto di fare il medico?
«L’ho trovata una strada naturale, innata, quasi una predestinazione. Mi sono sempre pensata medico, come se fosse una via già segnata, quelle scelte che sai di dover fare perché non potresti fare null’altro. La branca dell’Ortopedia non so, credo abbia pesato almeno un po’ voler seguire le orme di mio fratello Francesco. Mi piaceva la chirurgia e dunque mi ci sono dedicata anima e corpo. Ho fatto la volontaria in clinica medica al Policlinico, poi al Cardarelli finché non ho vinto il concorso per l’Ospedale Apicella di Pollena Trocchia e lì sono rimasta. Ho voluto restarvi, tenacemente, anche se forse potevo inseguire una carriera brillante, tentare altro – sono stata per esempio tre anni al Pellegrini in chirurgia della mano – ma alla fine tornavo sempre, la sentivo casa mia. Come se fosse un legame al territorio, al tipo di lavoro, il contatto quasi fisico, naturale, con l’ambiente ristretto, il clima umano verso i pazienti e tra noi medici. Non ho mai aspirato a grandi ospedali né alla notorietà».

Sei rimasta all’Apicella che c’è ancora, certo. Ma svuotato. Come hai vissuto la sottrazione di reparti, quasi lo smantellamento della struttura sanitaria che era punto di riferimento nel vesuviano?
«In maniera traumatica, sofferta. Anche perché era il periodo in cui avevo funzioni di primario, reggevo il reparto e l’ho fatto per tre anni. La sentivo una sfida personale che purtroppo abbiamo perso. Ora ci sono ancora quasi tutti gli ambulatori, il reparto di medicina, il Day Surgery, un primo soccorso. Sì, è vero, è stato svuotato ed è una cosa di cui tutti i cittadini stanno pagando le conseguenze, prima quasi nessuno si rendeva conto che fosse una struttura importantissima. Ci siamo battuti per evitare lo smantellamento anche da Sant’Anastasia, l’allora sindaco Carmine Esposito delegò me e seguì comunque di persona la vicenda, ma non c’è stato nulla da fare. Facevo anche parte attivamente, all’epoca, dell’associazione Tribunale del Malato, ora ne sono socia onoraria. Una bella, bellissima, esperienza con convegni in altre città italiane, con studi su malattie oncologiche e riabilitazione. L’Apicella di Pollena Trocchia aveva le sue pecche, come tutti gli ospedali, ma vi si sopperiva con l’umanità dalla quale il paziente veniva avvolto. Ora se ne parla tanto dell’umanizzazione dei pazienti. Noi l’abbiamo sempre messa in pratica».

Secondo te, oggi, ha ancora senso, parlare di ceti sociali? Per esempio, credo ci sia stata una sorta di livellamento nel tessuto, in quelle che un tempo erano definite classi, quasi caste. Un “borghese”, il termine che indicava chi viveva nel borgo, nel centro della città, praticando un libero mestiere che poteva essere legato al commercio, alla medicina, all’arte, chi è oggi? Che contributo può dare alla nostra società?
«Le forti differenze non ci sono più, questo è positivo. Ma oggi quel che è rimasto della cosiddetta borghesia è assente in città, si occupa poco di politica, cosa invece auspicabile. Perché potrebbe dare tanto, fare da trait d’union tra fasce sociali».

Ecco, la politica. Quando hai iniziato a interessartene?
«Io ho vissuto sentendo parlare di politica. Mio padre è stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana a Sant’Anastasia e da lì è poi nato l’impegno di altri rami della famiglia De Simone. Papà era un attivista, un passionale, ricordo vagamente gli scontri dell’epoca e il suo passaggio di testimone, quando ha iniziato a star male, a suo nipote Giovannino. In seguito anche mio fratello Francesco è stato impegnato in battaglie civiche e politiche con grande successo, da consigliere e da assessore. A un certo punto della mia vita è stato naturale spendere le mie energie per la città ed esplicitare questa passione che avevo dentro da sempre. Così come lo è stato per mio nipote Antonio (Totti) Sbrescia, oggi coordinatore cittadino di Forza Italia. Noi siamo orgogliosi del nostro passato e della scelta di un partito con valori liberali e democratici, prima Forza Italia, poi Pdl, oggi di nuovo Forza Italia».

Però hai iniziato l’impegno, diciamo così “attivo”, solo nel 2010.
«Un po’ prima, con un gruppo di giovani ai quali mio fratello Luigi ha fatto da guida. Io ero ancora forse troppo occupata nella realizzazione professionale, l’ortopedia è un ramo difficile dove di donne ve ne sono poche e, quando lavori in un piccolo ospedale, non puoi sfuggire, sei lì e devi risolvere i problemi che ti trovi di fronte ogni giorno. Ma poi un po’ di tempo per la mia passione politica me lo sono concesso e quella del 2010 è stata la mia prima candidatura. A dire il vero ci pensavo da un bel po’ perché credevo, e credo ancora, che la politica possa cambiare. Penso che un sindaco, anche un consigliere, possa davvero mutare il volto di un paese se si mette d’impegno e fa squadra. Ci sono esempi a noi molto vicini, in tal senso: Lello Russo a Pomigliano d’Arco e il compianto Ferdinando Allocca a Somma Vesuviana. Sono la dimostrazione che se persone di buona volontà e competenza si mettono insieme, i risultati arrivano. Con la tenacia, con le idee».

Hai scelto due esempi singolari: Russo è un sindaco decisionista, che dirige la squadra con polso fermo. Allocca aveva più o meno lo stesso carattere. Dunque credi che un sindaco debba avere una forte personalità e una guida salda, ferma, senza compromessi?
«Certamente sì. Ma sono anche democratica però. Sindaco forte di sicuro, ma non despota. Le decisioni vanno prese insieme e non lasciate lì a decantare. Anche quelle serie, di peso, quelle che possono davvero cambiare il volto di un paese, di una città».

Come nacque la tua candidatura a sostegno di Carmine Esposito?
«Me lo propose lui, credo dopo aver parlato con altre persone, perciò sapeva già che mi sarebbe piaciuto impegnarmi. Del resto eravamo stati legatissimi, compagni di scuola per tutto il liceo e molto amici, mi erano rimasti ricordi piacevoli, non conoscevo l’Esposito politico».

Un ricordo piacevole di quella esperienza ce l’hai?
«Tanti, l’entusiasmo della campagna elettorale che vissi come un’avventura. La fiducia della gente, tant’è che fui la più votata nel Pdl, ossia la più votata nella lista più votata. All’inizio ero piena di belle intenzioni, volevo partecipare, rendermi utile, essere sempre presente».

Dunque credi che un consigliere comunale, come accade e vediamo spesso, debba stare da mane a sera in municipio? Non credi che il ruolo di rappresentanza dato dal popolo sia diverso?
«Ma non intendevo presente in questo senso, assolutamente no. Anzi. Noi siamo rappresentanti del popolo, ma la gestione è demandata a sindaco e giunta. Che ci debbano coinvolgere è implicito ma abbiamo anche un lavoro, la struttura della macchina comunale va resa snella. Non c’è alcun bisogno di star lì a farsi vedere o magari a perdere tempo o, peggio, a ricevere persone intenzionate a “chiedere” qualcosa: la politica deve dare le direttive, queste devono poi essere messe in pratica dai funzionari. Anche le leggi ormai vanno in questo senso: a chi ha un lavoro dipendente si danno permessi solo per le poche ore di una commissione o per i consigli comunali. Il modello del politico che sta lì a ricevere, a maggior ragione se è un consigliere e non un sindaco o un assessore, è tramontato da tempo».

Qual è il tuo contributo a quella consiliatura che ritieni più importante?
«Un bellissimo progetto che feci realizzare e affidai nelle mani del sindaco: l’Olivella Eden Park. Poteva essere un ottimo volano per Sant’Anastasia, ci credevo davvero che, trasformando una parte della nostra montagna in un parco sullo stile di “Le Mortelle” di Ischia ma ancor più bello grazie alla conformazione strutturale del Monte Somma, con un anfiteatro, giardini giapponesi, salvaguardia delle specie arboree e sentieri realizzati da un architetto di giardini, si potesse imprimere una svolta. L’abbinamento con il turismo religioso e il Santuario, la creazione di due percorsi incrociati: così potevamo davvero aspirare ad essere un polo turistico. Ma quella idea fu chiusa in un cassetto e lì è rimasta, anche perché intervennero contrasti politici insanabili tra l’allora gruppo del Pdl e lo stesso sindaco».

Caratteri incompatibili?
«No, non c’entra. Sfrondando da tutti gli episodi che possono far pensare questo, i motivi del contrasto furono sul serio squisitamente politici. In pratica una mattina noi consiglieri del Pdl ci svegliammo e ci accorgemmo, leggendo i giornali, che il sindaco Esposito non solo aveva deciso di uscire dal partito ma aveva ingaggiato una vera querelle con il partito stesso, senza che ne avessimo avuto il minimo sentore. Chiaramente ci fu un attimo di smarrimento ma non pensammo subito di lasciare la maggioranza, anzi chiedemmo una riflessione, un chiarimento che non ci fu mai. Il fatto è che a quel punto per me la maggioranza non era più la stessa, diventava altro, perché ritengo l’appartenenza al mio partito fondamentale, gli sono sempre stata fedele anche nei momenti più bui: quando tutti hanno cominciato a cavalcare l’antipolitica io ho scelto di lottare dall’interno. Tutto qui. Non credere sia facile passare all’opposizione di un sindaco che mi aveva scelta e al quale avevo dato il mio appoggio con entusiasmo».

Lo rifaresti? Se potessi tornare indietro, ti ricandideresti con quel sindaco e quella coalizione?
«Si, certo».

 L’anno scorso invece, con le elezioni anticipate, hai scelto di stare altrove, di guidare Forza Italia riavvicinandola all’Udc con Paolo Esposito candidato sindaco. Anche quella è una scelta che rifaresti ancora?
«No, sinceramente non più. Avevo creduto moltissimo, e tutto il mio partito lo aveva fatto, in quella alleanza, nella ricostruzione del centrodestra come dovrebbe essere. Ma fu solo un’unione di simboli, le anime erano molto diverse e ce ne si è resi conto già in campagna elettorale. Quando un progetto fallisce non lo si ripropone e lì il candidato sindaco non ha intercettato la voglia di cambiamento, i suoi trent’anni di storia politica hanno pesato. Con il senno di poi era una strada obbligata e noi aspiriamo ancora a ricostruire il centrodestra a Sant’Anastasia. Tieni conto, peraltro, che abbiamo fatto tutto in tre settimane, mentre l’attuale sindaco Abete aveva una squadra già rodata. Forza Italia, con i suoi 1700 voti dei quali 333 andati a me pur con amici e parenti in lista, è andata sopra la coalizione»

Cosa è oggi Forza Italia, chi rappresenta?
«Rappresenta i liberali moderati che in Italia sono ancora la maggioranza delle persone. Possono cambiare i leader, ma quella fetta di popolazione esisterà sempre».

Berlusconi lo senti tuttora come leader carismatico?
«Sì, lo è ancora».

Le ultime regionali, a Sant’Anastasia hanno sancito una cosa: Forza Italia è ancora il primo partito in città.
«Lo avevano già sancito le Europee. Ora però sono stati eletti entrambi i candidati che abbiamo sostenuto, io per prima: Armando Cesaro e Maria Grazia Di Scala. Armando è tra l’altro il più votato».

Perché la scelta di sostenere Armando Cesaro? Solo in virtù della tua nota amicizia con il papà Luigi?
«No, assolutamente. Per noi Armando non è solo “il figlio di”, nonostante ci sia affetto verso il padre. Lui è un ragazzo valido, competente, che si è fatto le ossa nel movimento giovanile e si merita tutto quel che si sta conquistando».

 Tu sei l’unica consigliera di Forza Italia e siedi all’opposizione, da capogruppo. Ma, se nella passata consiliatura era palese una coesione tra le forze di minoranza, ora sembrate slegati. Come se quella unità fosse stata “contro” qualcuno, non per qualcosa. Vero?
«Non si può negare che la collaborazione sia nata così, come opposizione strenua a un clima di tensione. Abbiamo passato momenti brutti e l’uscita dalla maggioranza non è certo stata facile».

Te lo chiedo perché nelle ultime settimane è circolata sui social una foto che ti ritrae insieme all’ex sindaco di Sant’Anastasia in un brindisi per festeggiare l’elezione di Armando Cesaro, appunto. Hai recuperato il rapporto personale con Esposito?
«Sì. In fondo la politica è una cosa e l’amicizia di tanti anni è un’altra. Entrambi abbiamo metabolizzato le vicissitudini, quella sorta di sbornia, quell’accanimento che contribuì a spaccare il paese in fazioni. Tutto il negativo è rientrato. Le persone intelligenti sanno andare avanti, solo gli stupidi serbano rancore».

Come giudichi invece il lavoro del sindaco attuale, pensi di poter fare un bilancio di un anno del governo Abete?
«Un anno è davvero troppo poco per dare un giudizio serio su un’amministrazione. Da consigliera di opposizione, come da cittadina, mi aspetto che Lello Abete faccia qualcosa, che metta in pratica i progetti. Speriamo nel futuro, per il paese ovviamente».

La maggioranza è composta da liste civiche, ma non si può negare abbia una cifra di centrodestra. C’è margine di collaborazione? Penseresti alla possibilità di aderire al progetto della coalizione di governo?
«Non credo, ma occorrerebbero serie valutazioni, il vaglio delle possibilità. Tutto è opinabile».

Di cosa avrebbe bisogno Sant’Anastasia?
«Il paese è a terra, il centro è morente, il commercio anche. Se non ci fosse Madonna dell’Arco saremmo una città dormitorio. Occorre una svolta, una sferzata importante, la valorizzazione di ricchezze che finora non si è riusciti a mettere a frutto. Tutti i sindaci dicono sistematicamente che il Santuario dovrebbe essere il volano dell’economia ma poi non fanno nulla, magari nessuno ci ha creduto davvero. Ci sono risorse non sfruttate, riscosse, percepite. I commercianti oggi hanno bisogno di  chi li sostenga, di chi proponga loro incentivi e riduzioni delle tasse. La questione del mercato ortofrutticolo, per esempio, non è per nulla chiusa: a luglio i concessionari dovrebbero acquisire i suoli, ma non è detto che tutti possano farlo, che ne abbiano la possibilità. Avevo proposto, in merito, un consorzio pubblico privato, proposta che è stata accantonata ancor prima di valutarla. In sintesi, il primo obiettivo di un’amministrazione comunale che voglia veramente venire incontro alle necessità del mondo del commercio, è quello di migliorare l’ambiente urbano. Tenere in ordine le strade, provvedere ad una efficiente illuminazione, scegliere l’arredo più funzionale e gradevole. Rendere la città più attrattiva significa automaticamente dare una spinta propulsiva al terziario. Soprattutto in questo periodo in cui il piccolo commercio soffre non solo della crisi, ma anche della spietata concorrenza dei centri commerciali, frequentati non solo come posti in cui “si acquista qualcosa”, ma anche come luoghi in cui si trascorre il tempo libero. Personalmente sono anni che conduco la mia personale battaglia per rendere più bella e dignitosa la nostra città, con proposte precise e circostanziate».

Dovrebbe essere ordinaria amministrazione, questa.
«Lo è, l’amministrazione della giunta Abete è molto ordinaria».

Il futuro del paese invece qual è, in tre parole?
«Turismo, commercio, agricoltura. Una discussione seria non si è mai fatta, qui non c’è laboratorio di idee».

Ricordo una tua interrogazione sull’abbattimento delle barriere architettoniche, preparata con il supporto di Gianluca Di Matola, esponente di Rifondazione Comunista che l’argomento lo conosce bene perché lo vive sulla sua pelle. Risposte?
«Nessuna, zero. Eppure con piccole cose e poca spesa si sarebbe dato un segnale positivo. Perché in questo paese non è che ci siano barriere, Sant’Anastasia è di per sé una grande, enorme, barriera architettonica. Un percorso a ostacoli. Trovo disumano che chi è su una sedia a rotelle non abbia mai potuto aver accesso all’aula consiliare per assistere ad un consiglio comunale. Ma è solo un esempio, le strade e i marciapiedi sono una tragedia per i normodotati, figurarsi per chi anche solo deve camminare con un bastone».

Ma la battaglia contro i vincoli stringenti della zona rossa, la condividevi?
«Certo, è stata anche molto fraintesa. Il punto nodale era il recupero, l’abbattimento e la ricostruzione di immobili fatiscenti. Abbiamo un sacco di ruderi dall’aria decrepita. Il Vesuvio esiste, è un rischio che non dobbiamo dimenticare ma nel frattempo qui vogliamo viverci e le condizioni non possono essere quelle attuali».

Magari la svolta la darà, se riesce a insediarsi, il governatore De Luca.
«Onore a lui se lo fa. Bisognerà vedere cosa diranno i Verdi dagli scranni di maggioranza, magari dal di dentro le cose cambiano, chissà. Non me ne meraviglierei».

Da consigliera hai operato con soli due sindaci, Esposito e Abete. Mi descrivi la differenza in due parole?
«Lavorare accanto a Carmine Esposito era difficile ma non mancava l’operatività, lui seguiva le cose in prima persona, con tenacia, non si arrendeva finché non le aveva ottenute. Credo sia più semplice avere a che fare con Lello Abete, c’è più dialogo. Manca però l’operatività, appunto. In ogni caso, non si vede».

Sant’Anastasia sarebbe pronta per un sindaco donna? Magari potresti essere tu?
«Credo che lo sia. Quanto a me, mi candiderei se ci fossero le condizioni, con un cartello di centrodestra e non solo civico. Le donne possono fare sempre meglio degli uomini, sono dotate di una sensibilità e della giusta concretezza per affrontare i problemi. Non siamo pari, siamo meglio».

Cosa pensi delle quote rosa?
«Le giudico una sorta di riserva indiana, non è un escamotage che mi piaccia. Purtroppo erano necessarie per dare equilibrio alla presenza femminile nei consigli, nelle giunte, nei consigli di amministrazione, nelle aziende partecipate. Quando l’Italia sarà abbastanza matura per bilanciare automaticamente le presenze di genere, questa legge potrà anche essere abrogata».

Chi è stato, a tuo parere, il miglior sindaco di Sant’Anastasia?
«Non vorrei sembrare presuntuosa, ma non ne ricordo nessuno che possa essere definito il “migliore”».

Quale caratteristica dovrebbe avere un sindaco perché tu possa definirlo tale?
«Dovrebbe intercettare il volere dei cittadini, essere il sindaco di tutti non solo a chiacchiere. Io ho visto solo sindaci di una parte e persone che – se non amiche – non potevano nemmeno avvicinarsi al municipio».

Come pensi stia lavorando il governo con Renzi premier?
«Tutto chiacchiere e distintivo. Pochi fatti. Volutamente non riesce ad andare al nocciolo delle questioni, nemmeno quando le soluzioni sono sotto gli occhi di tutti».

A Sant’Anastasia c’è molta povertà, uno dei punti del tuo programma di campagna elettorale per le comunali, l’anno scorso, era il reddito di cittadinanza, un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Cosa pensi di Grillo?
«Certo, è un cavallo di battaglia che appartiene anche a me, qui la soglia della povertà si è innalzata di parecchio e molti non arrivano a fine mese, non riescono nemmeno a mangiare. Quanto a Grillo, ne penso tutto il male possibile. Non così dei grillini, tra loro ci sono persone in gamba».

Chi è il personaggio politico che hai amato o ami di più?
«Sono due, nel passato sicuramente Alcide De Gasperi. Lui è stato il politico che mi piacerebbe essere, con le sue infinite sfaccettature, con i suoi valori alti. Il secondo, quello del presente, è Silvio Berlusconi. Lui ha dato operatività alla politica, ha offerto speranza alla classe dei liberali moderati e ha fatto intravedere la rivoluzione liberale in cui abbiamo creduto e crediamo tuttora. Incompiuta, certo. Ma non è detta l’ultima parola».

Tra gli alti valori degasperiani di cui parli c’è la cristianità. Tu sei cattolica?
«Certo, sono valori che ho respirato fin dall’infanzia e che mi sono stati inculcati e che poi ho fatto miei, sviluppandoli. Sono praticante, forse più in alcuni momenti che in altri. Dipende dai bisogni che ciascuno di noi ha in periodi più o meno lunghi della vita. Ma credo sinceramente e sono fiera dei miei valori. Portarli anche in politica ti aiuta a rendere peculiare l’impegno, indirizzarlo verso la strada giusta».

Cosa pensi di Papa Francesco?
«Che è un pontefice popolare. Forse un tantino populista, anche. Mi aspetto che alle parole segua la concretezza dei fatti. Il mio modello di religioso è San Francesco, non potrei vederla diversamente. Un santo rivoluzionario capace di fare le cose che pensa e che dice».

Un amore di famiglia? Tuo fratello Luigi ha curato prefazione e traduzione di un libro su San Francesco di Abel Bonnard.
«Sì, anche mio padre era francescano, lo è mia sorella. Siamo tutti cresciuti ammirando la sua figura, tentando di ripercorrerne i valori. Io vado ad Assisi ogni anno, così come a Lourdes. Ad Assisi per ritemprare la mente, una tappa di rigenerazione durante la quale trovo sempre risposte. A Lourdes per immergermi tra l’umanità dolente e verificare che la speranza, tuttavia, esiste».

Immagino frequenterai la chiesa di Sant’Antonio, a Sant’Anastasia, i francescani.
«Non particolarmente, preferisco il Santuario di Madonna dell’Arco. La chiesa francescana è più intima, ti ritrovi tra tante persone. A Madonna dell’Arco posso pregare in solitudine, come mi piace fare».

Hai scelto di stare sola anche nella vita, del resto.
«Si, sono una single felice. Non ho mai sentito il bisogno di legarmi con il matrimonio o di avere dei figli. Sono nata e rimasta una ribelle, le convenzioni non fanno per me e non sono mai stata materna. Mi piace stare con i nipotini poco tempo, poi li lascio ai genitori e io torno a casa serena e libera da preoccupazioni».

Perciò non ti sei mai innamorata?
«Altroché, sempre. Sono stata anche varie volte sul punto di sposarmi».

E cosa hai fatto, sei scappata sull’altare?
«Non proprio, ma quasi. Non fa per me».

Sei d’accordo con l’istituzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso?
«Sì, meno con l’adozione perché sono ancora legata alla famiglia tradizionale, una mamma e un papà. Per il resto io non rinuncerei mai alla mia libertà, a fare quel che voglio, e non pretenderei certo che debbano farlo gli altri».

Se dovessi descrivermi un uomo che ti piace?
«Se parliamo di uomini famosi, mi piaceva molto un attore: Franco Nero. Se invece ti riferisci ad un prototipo di uomo per così dire “ideale”, le mie amiche ironizzano sostenendo che tendo inconsciamente sempre alla stessa tipologia di persona: deve essere un po’ più basso di me, deve avere gli occhiali e un tempo anche i baffi che ora, però, non mi piacciono più».

Le amiche sono importanti per te?
«Sì, ne ho molte, fin dai banchi dell’asilo e di scuola. Amicizie trentennali che porto avanti da sempre. Capita anche di non vederci per mesi ma poi riprendiamo da dove abbiamo lasciato, andiamo in viaggio insieme, al ristorante, in palestra. Stiamo bene, l’amicizia è un valore pari all’amore e alla famiglia, un sentimento intenso».

E nella tua vita intensa hai ancora tempo per la lettura?
«Certo, leggo di tutto. Dai libri di medicina, perché devo aggiornarmi costantemente, ai romanzi. Ne sto leggendo due contemporaneamente ora, l’ultimo di Oriana Fallaci, “Un cappello pieno di ciliegie” e “La Sanfelice” di Alexandre Dumas».

Quello che invece ti ha segnato di più e rileggeresti sempre?
«I Promessi Sposi, credo di averlo letto almeno quattro volte. Mi piace, di Manzoni, la narrazione descrittiva, la forma».

Non dirlo a me, l’ho studiato al ginnasio con un professore che ce l’ha fatto amare, tuo fratello Luigi.
«Infatti, è importante che la letteratura sia veicolata e trasmessa nel modo giusto. Il gusto di ripercorrere quelle pagine, così, resta tutta la vita».

Il cinema ti piace?
«No, non riesco a star chiusa in una sala, seduta per tanto tempo. Qualche film lo guardo ma preferisco la tv, a casa mia è sempre accesa e sintonizzata sui talk show politici o su telefilm».

L’opera d’arte che ami di più?
«Ho provato sensazioni fortissime al Louvre, ammirando La Gioconda di Leonardo Da Vinci. L’avevo vista sui libri, certo. Ma l’emozione che ti dà guardarla dal vivo non si può spiegare a parole».

C’è un luogo nel mondo in cui vorresti andare?
«Io viaggio molto, mi piace conoscere nuove culture e amo particolarmente la Cina. Lì tornerei con gioia. Le mie amiche scherzano dicendo che c’è una cinese dentro di me, è che proprio mi affascina la loro cultura, la cerimoniosità, l’ospitalità, l’attenzione, la cura dei dettagli, la differenza con il mondo occidentale. Amo anche il cibo e i vestiti orientali».

Hai un hobby, collezioni oggetti?
«Colleziono porcellane della Royal Copenaghen e porto sempre a casa oggetti dai miei viaggi. Non ho hobby particolari perché non sono così costante, mi piace cambiare a seconda del periodo, dei miei interessi del momento».

Che ruolo hanno i social network nella tua giornata?
«Sono utili, se usati nella maniera giusta. Anche dal punto di vista politico consentono magari di far passare idee e messaggi, sentimenti. Certo si deve saperlo fare, perché è un mezzo che porta spesso a fraintendersi. Ma ora, per esempio, da quando ho il profilo facebook, molte più persone conoscono lati di me che non sospettavano e ovviamente vale anche per gli altri. La modernità, il progresso, questa rivoluzione copernicana della tecnologia e il mondo che cambia in fretta mi affascinano. Anzi, penso che oggi i giovani siano molto più preparati, più vivaci, con più stimoli.

Mi dici se c’è qualcosa che vuoi assolutamente fare, nella tua vita?
«Gli obiettivi che mi ero prefissa li ho raggiunti tutti. Volevo laurearmi, diventare chirurgo, vivere libera e indipendente. Poi si vedrà».

Quell’atteggiamento che mostri, duro all’apparenza, nasconde un po’ di timidezza?
«Sembro dura, severa, introversa, ne sono cosciente. Mi sono creata una corazza, negli anni. In fondo è vero, sono un po’ timida e anche ipersensibile, dolce, affettuosa. Chi mi conosce bene lo sa».

Qualcuno ti ha mai fatto del male?
«Se è accaduto non me ne sono resa conto. Le delusioni sì, ce ne sono state, tante. Ma io non serbo mai rancore, non mi attardo sulle cose e non ci penso di continuo, sono tutte esperienze della vita. Mi scivolano addosso. Posso contare su grandi amicizie, capita che le persone mi vogliano bene sul serio o mi odino. Di solito, non suscito indifferenza».

Un tuo pregio e un tuo difetto?
«Il difetto è semplice: sono molto permalosa. Il pregio forse – ma dovrebbero dirlo gli altri – è l’altruismo. Sono generosa con il mio tempo, con tutto quel che posso dare, se so che qualcuno ha bisogno di me».

Fai conto di dover stare un po’ di tempo da sola e di poter tenere con te solo pochi oggetti. Cosa scegli?
«No, io devo parlare, stare in compagnia. Sto sola se ne ho bisogno e per scelta, ma in genere amo circondarmi di persone. Se proprio fossi costretta: il mio cellulare, un libro e  un po’ di trucco per stare in ordine».

Cos’è che ti fa ridere?
«Le persone allegre, ironiche, argute, intelligenti».

La tua canzone preferita?
«Ancora, di Eduardo De Crescenzo».

Se fossi stata un animale?
«Sicuramente un gatto. Indipendente, non appiccicoso, non morboso. Ma con quella sensazione di calore che non infastidisce».

Per finire, ti descrivi in poche parole dicendomi cosa cambieresti di te?
«Sono una passionale, tenace se devo perseguire un obiettivo e un risultato. Ma una volta che l’ho ottenuto passo al prossimo. La mia vita è una serie di sfide e sono tanto esigente con me stessa. Se potessi cambiare qualcosa di me diventerei di sicuro più razionale, perché credo che il mio modo di essere possa dare fastidio e trasmettere agli altri un’immagine che non corrisponde poi alla realtà. Ecco, se imparassi a contare fino a cento prima di parlare, forse otterrei risultati migliori».

annarita de simone carta natale