Somma Vesuviana, quel terribile 1° ottobre del 1943

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1933
G. Canò - Strada Trivio in fiamme

Il 1° ottobre del 1943, all’avvicinarsi degli Eserciti liberatori Anglo – americani, la soldataglia tedesca si abbandonò nella città di Somma Vesuviana ad atti di inaudito terrorismo, distruggendo con la dinamite e con incendi i numerosi beni patrimoniali di non pochi cittadini, che rimasero senza tetto e nella disperazione. Come se ciò non bastasse, furono mitragliati tre cittadini.

L’artista sommese Giuseppe Canò, sulla scorta della documentazione e dei vecchi ricordi, ha voluto ricostruire fedelmente – nelle due foto pubblicate –  alcuni episodi accaduti a Somma Vesuviana quel giorno. La Comunità parrocchiale S. Michele Arcangelo e San Giorgio ricorderà i morti civili del 1943 con una Santa Messa in suffragio, che sarà celebrata nella Chiesa di San Giorgio Martire alle ore 9:00 di stamattina, 1° ottobre, da Don Nicola De Sena. Oltretutto, lunedì 3 ottobre alle ore 10:00 presso il Teatro Summarte, la Scuola Media Statale San Giovanni Bosco – Summa Villa ricorderà quei tremendi giorni con la rassegna Il sacrificio per la libertà. Tra gli ospiti sarà presente la signora Camela Alvino, nipote dell’operaio Ciro Giannoli, trucidato dai tedeschi, e la signora Luisa Merone, maternità Teresa D’Amato.

In paese, all’epoca dei fatti, operava già da tempo una sorta di comitato di liberazione. Era il Partito d’Azione composto dai notabili locali: Francesco De Martino, Gino Auriemma, Vincenzo Angrisani, Raffaele Arfé, Francesco Milano, Giovanni Carotenuto, Ernesto Coppola, Umberto Bellatalla, Luigi Bianco. In piazza Tre Novembre, attuale San Giuseppe Moscati, le signorine De Martino, Anna e Maria, intervennero con la loro dolcezza femminea a bloccare due tedeschi armati, salvando la vita ad un vecchio prigioniero ferito, come afferma lo studioso locale Angelo Di Mauro. Per le strade, quei quattro o cinque tedeschi, con i propri mitra, rappresentavano un pericolo costante per coloro che circolavano in paese. La cittadina era scossa dal frastuono metallico dei carri armati. Gli alleati inglesi, intanto, avevano raggiunto rione Macedonio. I tedeschi erano pronti a far saltare il ponte in via Fosso dei Leoni. L’occasione si presentò all’arrivo degli inglesi: una mina, posta nel selciato, esplose sotto la jeep, provocando la morte dei tre uomini. Avvolti in coperte di fortuna, vennero inumati nel vicino podere Angrisani, già cimitero tedesco. Saltò, parzialmente, anche la cabina elettrica della stazione della Circumvesuviana. Il paese era ormai silenzioso, privo di vita e abbandonato, le case vuote, chiusi i locali: tutti i cittadini, le autorità civili, militari e politiche – racconta il  compianto prof. Enrico Di Lorenzo – si erano rifugiate sulla montagna, avevano tratto riparo nella chiesa di Castello, nel palazzo de Curtis, nei cunicoli e nelle campagne.  Il palazzo Cito – Vitolo (foto 2), in piazzetta Tre Novembre, bruciò con le sue bellezze artistiche e la sua stupenda biblioteca. L’attuale strada Gramsci fu avvolta dalle fiamme (foto 1). Due tedeschi salirono al quartiere Casamale, percorrendo la vecchia cupa San Giorgio. Era la mattina del 1° ottobre. I due nazisti evitarono, in questo modo, l’agguato che alcuni cittadini, appostati sulle mura dei giardini di via San Pietro, stavano tramando contro di loro. Un tedesco, comunque, fu ferito al volto, secondo le testimonianze delle sorelle De Martino.

foto 2. G. Canò – Il palazzo Cito Vitolo in fiamme

Un altro tedesco, invece, si diresse verso la villa Di Lorenzo al civico 48 sulla toppa fuori Porta Terra. Giuseppe Di Lorenzo, agricoltore e cacciatore, dissuase la madre Raffaella, della famiglia Rippa, a non aprire il portone di casa al militare armato di mitraglia che insistentemente bussava per entrare. In quella proprietà si erano rifugiate una ventina di persone, tra cui una famiglia sfollata di San Giovanni a Teduccio: i Giannoli. Il tedesco, ritenuto impossibile penetrare nel palazzo e avendo studiato bene la struttura dell’edificio e la posizione del luogo, si era portato nell’alveo Cavone e durante il tragitto aveva ferito Giuseppe Merone, un operaio, che si trovava per strada per andare nella sua vicina casa. Giunto nell’alveo, il tedesco si era arrampicato sul muro ed era penetrato nel giardino della proprietà. Armato, lungo il viale, procedette lentamente verso la casa ed era quasi a 10 metri dai locali e dalla tettoia, quando vide due persone poste al centro della tettoia armati di bastone e ronca. Il giovane con la ronca era Ciro Giannoli (1913 – 1943), figlio di Salvatore e Anna Campagna, che fu mitragliato e ucciso, mentre il padre Salvatore fu gravemente ferito. In quell’ attimo, Giuseppe Di Lorenzo, nascosto dietro un muretto a destra, della tettoia, sparò un solo colpo di fucile, centrando sulla fronte il tedesco. Due ore dopo, un altro tedesco, entrando nel giardino attraverso l’alveo, caricò sulle spalle il commilitone morto e andò via senza usare violenza. Sarà proprio la figlia maggiore di Giuseppe Merone, Margherita (1914 – 1998), a testimoniare l’efferata morte dell’operaio napoletano al comandante dei Carabinieri di Somma Vesuviana, maresciallo maggiore Ernesto Matarazzo, il 15 giugno del 1945. La reazione tedesca non si fece attendere. Michele Muoio (1865 – 1943) di Domenico e Concetta Sorrentino, vedovo e panettiere, mentre si trovava nella sua abitazione in via Roma al civico 41, con minacce di morte fu fatto scendere nella via e ucciso con un colpo di fucile mitragliatore (verbale d’interrogatorio del sarto Sodano Aniello in data 15 giugno del 1945). Sembra che l’ anziano Muoio avesse un fucile in spalla per impedire ai tedeschi di poter entrare in casa. Sia nell’avviso di morte – ricevuto dall’Ufficiale di Stato Civile dal comandante della Compagnia dei Reali Carabinieri – sia nel registro cimiteriale, viene attestato l’orario, 16:40, della morte. Adagiato su una madia (contenitore in legno rettangolare in cui veniva impastato il pane), si tentò di portarlo al cimitero, ma fu lasciato in un primo momento per terra in un fuggi fuggi generale.

Palazzo centrale dei Di Lorenzo sulla toppa

Luisa Granato (1916 – 1943) di Francesco e Raia Maria Teresa, in via Casaraia al civico 29, fu raggiunta, anche essa, da tre colpi di fucile mitragliatore. Due tedeschi armati all’incrocio di via Roma e via Casaraia sparavano senza esitazioni su chiunque vedevano. La signora non aveva voluto ascoltare gli inviti di alcune persone a lasciare il posto e, mentre si accingeva ad aprire la porta, fu freddata da una scarica di mitragliatrice, restando a terra in un bagno di sangue. La tragedia fu testimoniata, anch’essa, due anni dopo, il 15 luglio del 1945, dal vicino di casa Beniamino Di Palma. La donna, in compagnia della figlia Giuseppina, era ritornata incautamente in paese dalla località Castello –  dove si era rifugiata – per racimolare un po’ di pane per l’altra figlioletta Teresa. Era ancora viva quando si accasciò al suolo. Morì alle ore 16:50, dopo tante ore di agonia.

Testimonianza di Giuseppina            D’Amato, figlia di Luisa Granato

Il ponte dell’alveo Purgatorio, intanto, non riuscì a saltare, grazie a tale Pasquale Eccitato, che non solo sparò e uccise proprio quel tedesco che era sceso dalla proprietà di Lorenzo, ma ne fece prigioniero un altro, come riferiscono le testimonianze del tempo. Una jeep portò via il cadavere. Quando arrivarono gli inglesi, Pasquale consegnò il prigioniero. Arrivati a Mercato Vecchio, i tedeschi assaltarono anche la casa del console Gerardo Troianiello, che li affrontò spavaldo insieme al maresciallo dell’esercito, Casolaro. I due, però, in fuga, furono raggiunti di striscio da due proiettili in giardino. I tedeschi, intanto, raggiunsero il vicino ponte Spirito Santo per farlo saltare. In un basso della proprietà di Aniello Tuorto fu Donato in via Spirito Santo vi era una postazione composta da sette tedeschi, che ricevettero l’ordine di minare proprio l’ultimo ponte sommese vicino al suo possedimento. I componenti della famiglia erano nascosti sul monte nella località Ammendolara. Aniello e il suo giovanissimo nipote Donato, nascosti nell’alveo tra le verdi fronde e in pancia in giù, riuscirono in parte a disinnescare una delle due mine poste ai pilastri del ponte. L’azione fu decisiva, perché la proprietà era salva. Il basso, però, fu incendiato. Alle 17:30, l’ avv. Paolino Angrisani, il marchese Camillo de Curtis, Gioacchino Mosca e Francesco De Martino annunciarono finalmente il ritiro dei tedeschi. Somma Vesuviana si liberò dall’apnea nazista tra fumi e macerie. Le campane iniziarono a suonare a festa, mentre la popolazione ritornava frettolosa e muta in quelle poche mura che erano rimaste.