Il prof. Domenico Parisi, membro del Centro studi dell’Archivio storico cittadino, traccia un curioso e dettagliato ritratto del famigerato Sabatiello di Palma alias ‘o scansone. Molte notizie sono tratte da «Il mondo illustrato», Anno IV n. 49 del 7 Dicembre 1861, nella rubrica «Tipi e scene del brigantaggio», ad opera di un non meglio identificato redattore.
«Poniamo fine ai ritratti ed ai quadri più drammatici offertici dal brigantaggio napoletano, con quel di un uomo meno degli altri scellerato ed il quale è oramai in via di compiuta riabilitazione. Ciò non toglie nulla alla singolarità di codesto tipo».
Sabato di Palma nacque a Somma in strada San Sossio il 7 ottobre del 1831 da Raffaele, di condizione contadino, e da Mariantonia Marzano. Cominciò a rendersi noto alla legge all’età di 25 anni, nel 1856, quando fece fuori un uomo per gelosia d’amore. Il colpevole, quantunque si era sempre dichiarato innocente, aveva sempre asserito che nulla poteva essere così falso come l’accusa di omicidio datagli dalla unanime testimonianza del suo paese natale. Vera o falsa la pubblica voce e la sua indiscutibile fama di omicida, venne condannato a trent’anni di galera.
Prof. Parisi, che accadde a Sabato di Palma dopo l’omicidio?
“Sabato fu molto astuto: malgrado la sua pretesa innocenza di presentarsi al giudizio, si lasciò condannare in contumacia e, dopo la sentenza, si rifugiò nei boschi della provincia di Avellino, procurandosi viveri e munizioni in un podere abitato da alcuni suoi parenti. Un piccolo intrigo amoroso, stavolta, non solo prese ben grandi proporzioni, ma pose un po’di piacevole varietà nella sua agitata esistenza. Il parente avellinese aveva una figlia molto graziosa, di appena 16 anni, che si innamorò del fuorilegge. Il fortunato Sabato, ogni notte, dopo essersi ben bene approvvigionato, faceva finta, d’accordo con il suo parente, di ritornarsene nelle boscaglie, ed invece tornava al podere per raggiungere la finestra della stanza dell’adorata fanciulla. E li, in quella camera, trascorreva felicemente le lunghe notti fino al canto del gallo. La tresca durò vari mesi, fino a quando il governo borbonico, nei suoi strani modi di fare giustizia, non potendolo aver nelle mani, arrestò tutta la sua famiglia e la tenne prigioniera per molti anni. Sabato conosceva bene i suoi polli. Egli sapeva bene che se fosse andato volontariamente a mettersi in gabbia, secondo ogni probabilità, non avrebbe giovato a liberare i suoi parenti, perché poveri e senza amici; perciò, facendo tacere ogni stimolo di generosità e d’abnegazione, proseguì a viver nei boschi più selvaggio, più romito e più ramingo che mai”.
Sabatiello ritornò a Somma?
“I nuovi eventi del 1860 permisero a Sabato di tornare finalmente a Somma nella sua casa paterna. Da quel momento, da brigante e fuorilegge, diventò un patriota sui generis, utile alla causa della Nazione. Il suo primo atto fu di far entrare suo fratello, caporale dell’esercito borbonico in Sicilia, fra i volontari di Garibaldi. In quanto a lui, come riferisce il non meglio identificato redattore, si pose al servizio della Guardia nazionale, scortandola come esploratore solerte, intelligente e specchiato. A tal riguardo, non era un iscritto; infatti, quando non collaborava con la Guardia nazionale, agiva per proprio conto, andandosene, solo soletto, a perlustrare la campagna e le boscaglie dei dintorni, da lui conosciuti a perfezione. Il fratello Domenico, invece, nato nel 1837, era un componente della Guardia nazionale. Il 4 gennaio del 1861 si segnalò con un atto degno degli antichi paladini che tenevano da soli fronte ad un intero esercito, sventando un ricatto ai danni del cav. Sersale, ricco benestante di Sant’Anastasia, e arrestando i colpevoli. Un mese dopo, il 20 febbraio, nella casa di tale Lucia Capasso, operò la cattura di altri cinque ladri. Il 6 aprile, insieme con la Guardia nazionale, eseguì l’arresto di alcuni reazionari a Castello di Cisterna”.
Quale fu il ruolo del di Palma con i piemontesi?
“Quando i bersaglieri piemontesi si insediarono a Somma, Sabatiello fu sempre il primo a marciare innanzi ai plotoni, a qualunque ora del giorno e della notte. Nella spedizione importantissima del 24 agosto del 1861, di cui i giornali diedero dettagliate informazioni, guidò i bersaglieri sulla montagna di Sant’Anastasia in un attacco contro una banda di circa cento briganti: ne uccise parecchi e ne ferì altri. Sette giorni dopo, chiamato di nuovo dai bersaglieri, ne ammazzò quattro. Nei fatti posteriori a quelli di Somma, Sabato di Palma condusse la sua attività, sempre e dappertutto, col massimo coraggio. Ad onta di tutto ciò era sempre sotto il peso d’una condanna di trent’anni di galera. Il governo italiano nelle provincie napoletane, perdette talmente la bussola, che consimili irregolarità erano all’epoca frequentissime. Persone su cui pesavano condanne infamanti ed alle quali furono attribuiti delitti che nulla hanno a che fare con la politica, partecipavano alla vita governativa in termini di grande intimità ed amicizia. Così avvenne per Sabatiello di Palma, il quale da anni era stato impiegato a nome e per conto della legge a reprimere il brigantaggio”.
A tal riguardo, come fu il rapporto con il popolo sommese dopo il passaggio con i bersaglieri?
“La grazia gli fu promessa. Gli abitanti di Somma, che cinque anni addietro lo volevano giustiziato, indirizzarono al Re una petizione, coperta dai nomi delle persone più influenti del paese, in cui si reclamava oblio, amnistia e riabilitazione per Sabato Di Palma. Il 19 gennaio del 1862, insieme con i Carabinieri in provincia di Avellino, arrestò di notte tre sbandati. L’11 giugno successivo, all’una di notte, nella Masseria San Giorgio di Somma, uccise in uno scontro a fuoco il brigante Alfonso Aliperta alias malacciso. Nel 1863, per l’opera prestata nella repressione, gli fu conferita la medaglia d’argento al valor civile e 100 ducati di premio. Dopo essere entrato meritatamente nelle guardie campestri di Somma, il 28 luglio del 1891 convolò a nozze (matr. parte civile) con la quarantacinquenne Luisa Mosca. Cinque anni dopo, il 16 dicembre del 1896, morì in Strada Santa Croce all’età di sessantasei anni con i gradi di capo delle guardie. Il Consiglio municipale, con verbale del 12 gennaio 1897, approvò una pensione per la vedova Mosca. Nel 1935, la Commissione toponomastica, istituita con decisione podestarile del 29 aprile 1935, propose di intitolargli la strada, che dall’alveo del Bosco si dirigeva verso sud – est per terminare dopo milletrecento metri nelle selve demaniali del Comune (dal Scarico al Demanio). La proposta rimase, comunque, incompiuta come tante altre”.