Il 4 dicembre le Comunità parrocchiali di San Giovanni Battista e di San Lorenzo Martire rinnovano, in onore di Santa Barbara, la Festa di ringraziamento e la Memoria liturgica. La “prima volta” del nuovo parroco, don Salvatore Mungiello. La tradizione del rito venne rinnovata qualche anno fa da don Antonio Fasulo. Valore storico e significato sociale della manifestazione. Sergio Cabras e la nuova concezione di “agricoltura di sussistenza”. La Festa deve essere anche un momento di riflessione sui problemi del presente.
Anche quest’anno gli Ottavianesi ringrazieranno Santa Barbara per i frutti della terra e per la carismatica protezione che la Santa Martire da sempre concede al nostro territorio. “La Martire è la patrona dei pompieri e dei minatori e protegge dalla morte improvvisa e violenta: questo carisma viene rappresentato, nell’iconografia, dal fulmine. Che è anche segnale visibile della tempesta, della repentina “trobbèa”, dannosa per l’agricoltura: perciò il patronato della Santa si è esteso, soprattutto nel territorio vesuviano, anche ai contadini”. Questo raccontava, qualche anno fa, un articolo pubblicato sul nostro giornale Il rito ottavianese ha una tradizione antica, che lasciò segni e memorie nei documenti, soprattutto dopo l’eruzione del 1771 e dopo le “malattie” che attaccarono le viti e gli alberi da frutta nella seconda metà dell’’800. La tradizione venne ripresa e rinnovata, qualche anno fa, dal parroco don Antonio Fasulo: e l’ intreccio non casuale delle vicende della storia vuole che questa Memoria liturgica sia la prima organizzata da don Salvatore Mungiello, il parroco a cui gli uomini e la Provvidenza hanno affidato il compito, difficile e affascinante, di rinnovare i fasti della splendida storia religiosa e sociale delle Comunità parrocchiale di San Giovanni Battista e di San Lorenzo Martire.
Michele Ranieri, che fu sindaco di Ottajano tra il 1831 e il 1833, e che abitava proprio di fronte alla Chiesa di San Giovanni Battista, per anni festeggiò la vendemmia, prima attività degli Ottajanesi e fonte principale della ricchezza del Comune, organizzando, tra l’attuale via San Severino e la piazza antistante la Chiesa, una “sagra” dei prodotti della terra vesuviana e una gratuita “mescita” dei vini dei nostri vigneti: bisogna dire che i Medici di Ottajano, sebbene i loro rapporti con il Ranieri non fossero idilliaci, fornivano all’evento il generoso contributo di carni di maiale, di maccheroni e della “lacryma” dei vigneti di Terzigno. Nel 1835 la “sagra” si tenne il 4 dicembre, forse proprio per onorare Santa Barbara. Leggiamo la data nei documenti delle guardie comunali, che, nel giorno della “sagra” e della “mescita”, cingevano i confini di Ottajano con robusti posti di blocco per impedire ai forestieri di entrare nella città, di partecipare alla Festa, e di rovinarla con risse e smargiassate: a far danno bastavano, e avanzavano, gli “appiccichi” degli Ottajanesi.
Si spera che quest’anno partecipino alla Festa di ringraziamento i giovani: dicono gli economisti che l’Italia si salverà solo se i giovani torneranno a coltivare la terra e a condividere tutti i valori che da sempre l’agricoltura porta con sé, e che non sono solo i valori economici. Ha scritto qualche anno fa Sergio Cabras: “Credo che, prima di tutto, il concetto di “agricoltura di sussistenza” vada inteso in senso aggiornato, ovvero non parlando di “ritornare” ma di “reinventare”: a differenza di un tempo oggi chi vuol vivere come contadino lo fa per scelta e spesso è in grado di affiancare, se è necessario, per il suo sostentamento e per l’economia familiare, a una componente importante di autoproduzione, anche altre forme collaterali di reddito che possono essere anche extra-agricole e anche con livelli medio-alti di formazione e competenze. In realtà i contadini sono sempre stati anche un po’ artigiani, muratori, falegnami, maniscalchi, cantastorie o musicisti: oggi possono essere pure insegnanti, infermieri, artisti, programmatori, tecnici specializzati, professionisti part-time…ed è così, trovando forme miste di sussistenza rese possibili dal sostegno di autoproduzione e di riduzione dei consumi, che è possibile crearsi con la terra diminuendo al contempo la propria dipendenza dal sistema di mercato (anche del lavoro) fatto a misura delle multinazionali.”.
La Festa sia dunque anche un momento di riflessione su importanti questioni sociali e sul destino dell’agricoltura vesuviana.