Sindaci e architetti con lo stesso cognome. L’ “eccesso” del sindaco De Rosa che controlla la regolarità dei lavori eseguiti dall’architetto De Rosa: il “miracolo” dello sdoppiamento. Ottaviano e il Vesuviano sono “luoghi” in cui la storia di ieri può ancora illuminare il presente. E’ un tema complesso, che cercherò di sviluppare in alcuni articoli. Parto da alcune notizie sulla gestione dei lavori pubblici a Ottajano, nell’Ottocento: i lavori pubblici sono parte notevole di quella “storia sociale” che Le Goff e Braudel hanno messo al centro dell’ attenzione della “nuova” storiografia.
Mi chiede un mio ex allievo, che fa, anzi è, ingegnere, a cosa serve oggi lo studio della storia. La risposta è lunga: tenterò di esprimere la mia opinione in tre articoli, nei quali parlerò anche della mia convinzione che Ottaviano e il Vesuviano sono “luoghi” in cui lo studio della storia, quella “vera”, di ieri e dell’altro ieri, può illuminarci anche sul presente. Ora, seguendo le indicazioni di Le Goff e di Braudel, esamino un importante aspetto della “storia sociale”, il ruolo che nell’ Ottocento venne svolto, a Ottajano, dal potere locale nella gestione dei lavori pubblici. Nel primo ventennio del secolo la “macchina” era controllata dall’architetto Domenico D’Avino, al quale nel 1822 il Comune assegnò 14 “perizie” sui lavori di apertura e di consolidamento delle strade comunali, e 7 “uffici” per la difesa degli interessi del Comune in cause contro privati. Nella seduta del Decurionato, e cioè del Consiglio Comunale, che si tenne il giorno di San Silvestro – proprio così- del 1823, i consiglieri approvarono all’unanimità la delibera di liquidazione delle spettanze per l’instancabile architetto, e lo ringraziarono a voce alta, perché si era accontentato di due ducati al giorno, invece dei tre che di solito prendevano i tecnici e i “periti”. Nella stessa seduta i consiglieri, generosissimi, -era forse l’effetto del Natale e delle pastiere – approvarono la proposta del sindaco di assegnare un premio – e che premio, 100 ducati – al capo delle guardie delle “selve comunali”. C’era un piccolo problema: l’architetto, come abbiamo visto, si chiamava D’Avino, e D’Avino, Paolo, si chiamava anche il capo delle guardie, e D’Avino, Vincenzo, era il nome del sindaco. L’Intendente (il Prefetto) della Provincia, che forse non si lasciava commuovere dallo spirito natalizio, sospese il D’Avino sindaco dalle sue funzioni: è utile far notare che l’Intendente era Michele de’ Medici, principe di Ottajano, e che nel 1823 l’uomo più potente del Regno era Luigi de’ Medici: tra l’altro, spentasi la stella dell’architetto Domenico D’Avino, incominciò a risplendere quella dell’ architetto Pasquale De Rosa, il cui nonno era stato il sarto dei “nobili” ottajanesi che facevano parte della “corte” dei Medici. La luce del De Rosa brillò a lungo: nel 1850 venne nominato sindaco di Ottajano.
Poche settimane dopo la nomina, il sindaco Pasquale De Rosa, scortato da un buon numero di decurioni, andò a controllare, ufficialmente, la regolarità dei lavori eseguiti l’anno prima lungo tutto l’alveo Rosario da un architetto che si chiamava Pasquale De Rosa, e non era un omonimo: era proprio lui: il De Rosa sindaco certificò che il De Rosa architetto aveva fatto i lavori, all’interno e all’esterno dell’alveo, “a regola d’arte” e dispose che il cassiere liquidasse le spettanze stabilite. Questa magia di sdoppiamento ricorre con frequenza nella storia della nostra città: e bisogna scoprirne le ragioni. Bisogna dire che il De Rosa era un esperto di alvei: nella seduta del 2 dicembre 1828, quando il sindaco Basilio Di Prisco, dichiarò che l’alluvione del 23 novembre 1827 era stata disastrosa “per gli abitanti degli Afflitti e dei Pettoloni” anche per l’incompetenza di Bartolomeo Grasso – era il Grasso uno dei più importanti architetti del Regno –, Pasquale De Rosa difese a spada tratta gli interventi sugli alvei ottajanesi progettati dal tecnico della Direzione di Ponti e Strade. Ma il consigliere Michele D’Ambrosio gli chiese di interrompere la recita: gli Ottajanesi tutti sapevano che il De Rosa e il Grasso facevano affari insieme, e che il Grasso con il danaro pubblico “aveva arginato e murato il Vallone dei Travi per fortificare in questo modo il vigneto di proprietà del De Rosa”. Il D’Ambrosio lo dichiarò non nei corridoi del Municipio, ma in seduta di consiglio, e le sue parole vennero fedelmente registrate. Tra il 1871 e il 1906 lo Stato investì una cospicua quantità di capitali nel Vesuviano interno, per l’ampliamento della rete stradale, per la bonifica degli alvei, per la costruzione dell’acquedotto e della linea ferroviaria Napoli – Ottajano. La fornitura di basoli, di sabbia vulcanica e di traversine di legno divenne un affare gigantesco: era fatale che nel nostro territorio si scatenasse una vera e propria guerra di camorra, di cui mi pare che nessuno studioso abbia ancora parlato. Centrale fu, tra il 1865 e il 1890, il ruolo di Giuseppe Bifulco, dei Bifulco di Terzigno, che, come consigliere e come sindaco, fu il capo del “partito” che cercava di bloccare il progetto per l’autonomia di San Giuseppe. Nella gestione dei lavori pubblici e nel ridisegnare il territorio egli si affidò al razionalismo pragmatico del fratello, l’architetto Ernesto, che possiamo indicare come un vero e proprio “filosofo” della funzione dell’Ufficio Tecnico nella riorganizzazione, avviata dal Governo a partire dal 1870, delle strutture dei Comuni. A domani.