Negli anni ’40 dell’’800 incomincia a delinearsi la necessità di “immegliare “ i vini vesuviani e di farli conoscere in tutta la regione. Grava sui contadini il potere dei bottai che vendono le botti a credito, ma a prezzo doppio, e inoltre sono anche sensali, e dunque hanno in mano l’economia del territorio: così scrive in una sua relazione del 1845 il sindaco di Ottajano, usando, primo tra i sindaci della città, la parola “camorra”.
Nemmeno nel ‘700 la viticultura vesuviana e la produzione del vino divennero dei sistemi razionali, in cui confluissero competenza, rigore, coscienza della possibilità di ” immegliamento ” del prodotto. Scrisse G.B.M. Jannucci che i signori napoletani consideravano ” ignobile ” un pranzo in cui non si servissero vini e liquori stranieri: “ Godono costoro più di essere ingannati con bere gli esteri per lo più misturati o pure falsati, e adattati quelli del Regno al sapore degli stranieri che di bere i puri e delicati vini paesani, perché quali sono tali si appellano. So ben’io che un tal Pompilio, tenendo seco uno straniero versato nella fabbrica dei vini e mescolanza delle uve, nella stagione propria della vendemmia portavasi in Ottajano a comporre i vini a guisa dei stranieri e per tali li faceva vendere al pubblico. E pure dei vini di tal luogo sinceramente dir si può per la di loro robustezza, vigore e calore quel che scrisse Redi nel suo ditirambo: il sangue che lacrima il Vesuvio.”. Luigi de’ Medici, che possedeva i vigneti del Mauro, aveva nella cantina della casa napoletana, esaminata dagli esecutori testamentari nel 1830, solo bottiglie di vino straniero, e tra queste, ” 48 bottiglie di Porto, 150 di Stella, 282 di Madera, 30 di Bordeaux, 17 di Sotterno, 45 di Champagne, ma di seconda qualità.”. Il nipote Giuseppe, erede universale dello statista, non trovò nella cantina nemmeno una bottiglia del vino delle terre dei Medici e proprio allora, forse, decise che avrebbe dedicato ingegno e capitali all’ ” immegliamento ” del vino vesuviano: operazione resa difficilissima da un groviglio di vincoli e di norme. Il commercio del vino era in sostanza bloccato da balzelli e tributi che ogni Comune imponeva sui vini provenienti da altri Comuni. Nel luglio del ’45 riprese violentissima la guerra, che già si combatteva da decenni, contro la “camorra dei bottari” diventata intollerabile in quei Comuni, Ottajano, Somma, Boscotrecase, in cui la produzione e il commercio del vino erano le attività dominanti. ” L’unico prodotto che offre il Comune – scriveva all’Intendente il Sindaco di Ottajano Carlo Saverio Bifulco, nell’autunno del 1845 – è il vino. Di là la sussistenza delle famiglie, i mezzi ai braccianti per occupare le loro persone, il pagamento delle contribuzioni dello Stato e dei pesi civici, la esistenza morale di 20000 persone: tutto insomma da quell’unica fonte si riflette. Il suolo improduttivo di altro per la qualità dei suoi terreni vulcanici, la posizione topografica che rende incommerciabile il Comune stesso, la lontananza di una marina, la mancanza positiva di acque correnti animatrici di fabbriche e di stabilimenti di industria procurano un languore manifesto alla vita attiva di questo pubblico che rivolge tutte le sue cure al vino. “. Era intollerabile, concludeva il sindaco, vedere che gli uomini “scientemente gravavano” per i loro interessi una “risorsa” già esposta alle eruzioni del Vesuvio. La costruzione “del bottame” era ridotta a una privativa di fatto: pochi costruttori ” somministrano a forzato credito le botti”, a un prezzo doppio del loro valore: i contadini non possono ribellarsi, perché i bottai sono anche sensali del vino e dunque controllano di fatto l’economia del territorio. I cinque bottai di Ottajano, a detta del sindaco, erano i veri padroni del paese: ” guai a coloro che osano lagnarsene.. guai ai pubblici finanziari che la legge amministrativa vuole dalla classe dei proprietari, se non facciano servire alle loro private passioni la cosa pubblica”. Non c’era ” galantuomo ” che non avesse ” deferenti riguardi per questa classe anche in pregiudizio per il giusto e per l’onesto.”. E non per caso nella relazione del sindaco ricorre per la prima volta in un pubblico documento delle amministrazioni di Ottajano la parola “camorra”.Lui, il sindaco, costituiva ovviamente l’eccezione: ma non sappiamo fino a che punto, dal momento che egli, concludendo la sua filippica, propose di risolvere il problema trasformando la privativa di fatto in privativa di diritto. Continuassero pure i bottai a esercitare il loro monopolio, ma pagassero al Comune una congrua tassa sui loro smisurati guadagni: questo introito avrebbe consentito inoltre di eliminare l’intollerabile peso di “grana 10 a tomolo di farina” : con grande sollievo dei poveri. La camorra dei mugnai…..