“’A scarola mbuttunata”, un “piatto” filosofico già nei tempi in cui i Napoletani erano ancora “mangiafoglia”…

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Il valore filosofico – la filosofia politica- del piatto me lo illustrò un consigliere comunale di Ottaviano in quegli anni ’80 del ‘900, in cui la storia di Ottaviano e del Vesuviano è stata un capitolo assai importante della storia d’Italia. Il libro di Emilio Sereni sui “Napoletani mangiafoglia”, e le citazioni  degli scrittori del ‘600. I versi di Giulio Cesare Cortese. Ancora a metà dell’’800 molti  Napoletani  erano costretti a restare “mangiafoglia”.

 

Ingredienti :4 cespi di scarole; 1 spicchio d’aglio;  gr.40 uvetta; gr. 50 pinoli; gr. 50 olive nere denocciolate; 1 cucchiaio di capperi; 2  acciughe sott’olio; gr. 30 di pecorino; prezzemolo, olio, pepe, pangrattato, sale fino. Pulite la scarola eliminando le foglie più esterne ed il suo torsolo, quindi stringete ogni cespo con dello spago. Sbollentate per qualche minuto le scarole in una casseruola con abbondante acqua bollente. Imbiondite l’aglio in padella con l’olio e le acciughe ed aggiungete poi i capperi dissalati, olive, uvetta, prezzemolo, sale e pepe e mescolate. Trasferite quindi il tutto in una ciotolina in cui metterete il pecorino grattugiato e lasciate intiepidire. Dopo aver fatto sgocciolare e raffreddare un po’ la scarola, apritela con delicatezza nel mezzo ed aggiungete un po’ del composto precedentemente preparato. Richiudete la scarola e posizionatela in una pirofila oliata. Ricoprite con un filo d’olio e pangrattato e cuocete in forno già caldo a 250 °C per circa 10 minuti. La vostra scarola imbottita è pronta per essere portata in tavola (la ricetta è pubblicata sul blog di Misya).

 

Emilio Sereni dedicò un libro di notevole interesse alla storia della “tavola” dei Napoletani, e, in particolare, al momento in cui da “mangiafoglia” essi divennero “mangiamaccheroni”. Già il Pulci, che venne a Napoli nel 1471, ricordava in un sonetto che la “foglia” era uno dei vanti della città, e Antonio Abbondanti da Imola in un’opera del 1629, dopo aver proclamato che Napoli era più importante di ogni città “del nostro mondo”, cantava la bellezza di questo “luogo” dove “par che la natura signoreggi “ e che sempre “april verdeggi / fra cavoli torzuti e foglia molla/ e fra quei gran signor de’ sette seggi”.  Sette anni dopo, in quello che si può considerare il primo libro di cultura gastronomica pubblicato in Italia, la scarola era indicata dall’autore napoletano come ingrediente di due “minestre”, “minestra di scarola guarnita con salami e cacio” e “minestra di scarola con verrinia e cacio”, e anche come “frutto” nell’ “insalata di scarole bianche con cetrioli e cipollette”. Nel “Contrasto curioso tra Venezia e Napoli”, che secondo Croce venne composto nel 1663, Venezia stessa riconosce la gloria di Partenope e ne canta la ricchezza “di broccoli, di foglia e petrosino..”.I forestieri confermavano ciò che il grande poeta napoletano, Giulio Cesare Cortese, aveva scritto, nel 1621, nel suo capolavoro “Il Viaggio di Parnaso”: “…foglia mia! Fenice di sapore,/ chi dice lo contrario, che s’appicca, / ommo privo di ncigno e di descurzo, / che n’ha provato mai che cosa è Turzo”. E potremmo citare lo Sgruttendio e G. B. Basile, ma ce li riserviamo per un altro articolo, in cui diremo della splendida ricerca che sul lessico “napoletano” del Seicento è stata condotta dalla prof.ssa Carolina Stromboli, che tiene cattedra all’ Università di Salerno e che ha frequentato il Liceo Classico “A. Diaz” di Ottaviano.Del resto, abbiamo già fatto notare che molti Napoletani ancora a metà del sec. XIX erano costretti a restare “mangiafoglia”: tra il 1848 e il 1850 nel Vesuviano i muratori manovali guadagnavano da 12 a 25 grana al giorno, quando trovavano lavoro, e i braccianti tra 15 e 18 grana: un rotolo- circa 900 grammi -di maccheroni fini di semola di saragolla costava 8 grana, e la “pasta da ingegno”, cioè fatta a macchina, 7 grana.

Il nome “scarola” accende in me il ricordo ancora assai vivo delle dotte discussioni che mia madre e le sue amiche ingaggiavano con la “verdummara” Chiarina, sarnese, sulla freschezza delle scarole “paparegne”, destinate a farcire la pizza – la mitica “pizza con la scarola” di Zia Speranza – e sulla robustezza delle foglie delle “cicoregne”, le più adatte ad essere “mbuttunate”, a patto però che nel forno non si stracciassero. Leggendo quello che scrisse, nel 1777, un medico napoletano, e cioè che “la scarola apre le ostruzioni”, mi sono ricordato di un consigliere comunale che nei primi anni ’80 del ‘900 paragonò l’amministrazione comunale di Ottaviano, da poco insediata, a una “scarola mbuttunata”: pare un “piatto” di poco valore, ma dentro porta le “stuzzicarie”, dentro, “se teniamo la mano esperta”, ci possiamo mettere quello che vogliamo. E poi ricordatevi che la scarola pare “,na cosa terra terra”, ma alla fine è proprio la scarola che tiene tutto insieme, e se proprio vogliamo dire la verità, è il suo sapore che domina il “piatto”….Una lezione che non ho mai dimenticato: mi aiutò a capire da “dentro”, dalla “mbuttunatura”, la storia di Ottaviano degli anni ’80, che fu un capitolo importante della storia italiana, e su cui sono state scritte molte amenità, molti “cuoppi” che sembrano, dall’esterno, roba da grande rosticceria, ma, vai a vedere, e dentro non c’è niente, “manco nu piezzo ‘e panzarotte”.

(fonte foto:rete internet)