A Louise Colet, la “musa” di “Madame Bovary”, piacevano i gelati di Napoli e Garibaldi

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Salvatore Candido - Napoli, Santa Lucia

Louise Colet (1810- 1876), pseudonimo di Louise Révoli, poetessa, scrittrice di teatro, di storia e di romanzi, visse un’intensa e tempestosa relazione con Flaubert e si vantò d’avergli ispirato “Madame Bovary”.

Fu amica di Cavour, di Carlo Poerio, di Manzoni e strinse un appassionato rapporto con Garibaldi, rapporto documentato da lettere e da scintillanti pagine autobiografiche, in cui la Colet parla anche della sua passione per i gelati di Napoli, “i migliori al mondo”.

Perché questi gelati i forestieri li chiamavano “pezze dure”. Correda l’articolo l’immagine del quadro “Napoli, via Santa Lucia” che Salvatore Candido dipinse nel 1840.

La scrittrice Louise Colet amava Napoli, prima ancora di conoscere la città, di cui le aveva a lungo parlato il padre. A Torino conobbe Carlo Poerio, a Milano si incontrò con Manzoni, e a Napoli si recò nel 1860, con l’intenzione di conoscere Garibaldi.

Nel libro “L’Italia degli Italiani” la Colet racconta che, appena arrivata a Napoli, si sistemò, presso il Largo del Castello, nell’ “hotel de Genève”, che era gestito dalla madre dello scrittore Marc Monnier.

Fu una scelta infelice, perché dalle stanze dell’hotel non si vedevano né il golfo, né le isole, né il Vesuvio: inoltre tra l’hotel e Palazzo Gravina i rigattieri napoletani appendevano ogni giorno “all’aria aperta, a porte e finestre, i vestiti usati dell’intera città, dagli abiti gallonati dei componenti della deposta Corte fino ai cenci dei lazzaroni: era una parata di abiti immondi”.

La Colet nel dicembre del 1860 avrebbe preso una stanza all’ hotel “de Rome”: ma le “belle camere a terrazzo, da dove avrei potuto abbracciare tutta l’ampiezza del golfo” erano già occupate, e perciò dovette accontentarsi di una “fredda stanza”, la cui finestra si apriva sul “movimento e sul chiasso assordante di Santa Lucia”, la strada centrale di Napoli “ che tutte le carrozze della città attraversano almeno una volta al giorno”. Il primo giorno la signora si trovò in compagnia di cento garibaldini, tutti in camicia rossa, e aprì subito la conversazione con un ufficiale, “la cui figura, espressiva e malinconica, porta il segno di lunghe sofferenze.

“Ogni mattina scorgo, al risveglio, questo scoglio ovale” – il Castel dell’Ovo – “squarciato da cavità profonde che i cavalloni riempiono di spuma dorata…Ogni sera, quando una bianca luna sale dai merli alle stelle, mi sembra di vedere la grande ombra di Tommaso Campanella scendere vendicatrice sopra la prigione, dove l’innocente filosofo ha subito 48 volte la tortura”.  Non era facile muoversi lungo via Toledo, tra carrozze, “asini carichi di pesi, pecore capre, e anche qualche vacca che porta il proprio latte a domicilio… e piramidi  di fichi, di uve, di arance, di fiori e i banchi colorati degli “acquafrescai” e quelli dove si accatastano giornali, venduti da piccoli straccioni.

Ma la sera Louise Colet faceva fermare la carrozza davanti al “caffè d’Europa” – il luogo più affollato e chiassoso di via Toledo – e un garzone spiritoso e chiacchierone le portava “una di queste “pezze dure”, che sono i più deliziosi gelati del mondo”.

Si chiamavano “pezze dure” questi gelati, perché, come ci spiega Ippolito Cavalcanti, “ la “neve” ne era la base, e veniva irrorata con un “liquore” in cui entravano il “giulebbe”, la cannella, la vainiglia e l’ingrediente che dava nome al gelato: Cavalcanti ne cita 18 tipi, dal gelato “di percoche e di portogallo” al gelato “di castagne, di cioccolata e di mela rosa”.

L’11 settembre Colet poté incontrare Garibaldi – che era entrato in Napoli il giorno 7 – grazie a una lunga lettera di presentazione che Cavour, anche lui amico della scrittrice, scrisse al marchese di Villamarina, il quale organizzò l’incontro nel palazzo d’ Angri a via Toledo, al quarto piano dove alloggiava il generale: “quel giorno i suoi soldati affollavano il cortile, le scale e le anticamere.

Tutti quelli cui mi rivolsi mi accompagnarono con squisita gentilezza fino alla modesta camera del Dittatore. Era in piedi, un po’ stanco, appoggiato a uno dei supporti del letto di ferro. – Sono molto felice di vedervi- mi disse in francese Garibaldi”.

La scrittrice racconta che,  nell’osservarlo, lo immaginò mentre cavalcava alla testa dei suoi con la spada e lo “vide” come San Michele. L’amicizia tra i due divenne sempre più stretta, come dimostrano le lettere che la Colet scrisse al generale negli anni successivi e la visita che gli fece a Caprera: fu facile per gli amici e i nemici di Garibaldi dire che tra i due c’era stata una storia d’amore: una storia che il passato e la libertà di comportamenti della scrittrice rendevano assolutamente credibile.

Questa libertà di sentimenti e di idee Louise Colet la esercitò con grande coerenza in ogni circostanza: quando visitò i Campi Flegrei non nascose la sua avversione per i frati cappuccini di Pozzuoli che si dichiaravano testimoni delle apparizioni dei diavoli venuti su dalle grotte del lago d’Averno e disse di essere favorevole all’apertura, in questi luoghi “ diabolici” di “fabbriche di allume e di zolfo”, perché “l’industria moderna esorcizzava le apparizioni dei diavoli”.