Madre e detenuta: i diritti violati e le legittime aspettative

    0
    344

    In alcuni casi il Tribunale è costretto ad adottare misure drastiche come la sospensione e la decadenza dalla potestà genitoriale.

    Parlare del mondo della detenzione non è affatto semplice, visto che la maggioranza della gente comune, per propria fortuna, difficilmente nell’arco di una vita è destinata ad averci a che fare. Del resto, le numerose incognite che avvolgono il quotidiano tra le mura del carcere restano tali, sovente, anche per gli operatori del diritto, i quali ne vengono a contatto solo in misura limitata, negli spazi all’uopo riservati e per brevi sprazzi di tempo.
    La perdita della possibilità di coltivare i propri affetti, prerogativa principale della vita da recluso, subisce una vistosissima impennata nel caso in cui il detenuto sia di sesso femminile e madre: alla privazione della libertà, difatti, si aggiunge la costante preoccupazione per la vita dei propri figli “fuori”, nell’amara consapevolezza di perdere un pezzo importante della loro esistenza, che probabilmente non tornerà mai.

    Purtroppo, specie nei casi in cui la detenuta abbia figli minori, e sia priva di altri soggetti che possano occuparsene, il Tribunale è costretto ad adottare misure drastiche, ancorchè temporanee, sia di sospensione che di decadenza dalla potestà genitoriale, imposte dalla necessità di salvaguardare il diritto dei minorenni ad un’esistenza dignitosa, il più possibile serena e tale da consentire ai piccoli un adeguato sviluppo in termini psicofisici.
    La storia di P. ha a dir poco dell’incredibile: orfana di padre, ha cominciato sin da piccola a far uso di sostanze stupefacenti, rendendosi più volte responsabile di piccoli reati contro il patrimonio che le servivano a procurarsi denaro. Storie sentimentali malate, con uomini tossicodipendenti come lei, dai quali traeva la forza necessaria per alimentare una spirale di illegalità, droga ed incolmabile vuoto, destinati a segnare irrimediabilmente gli anni migliori della sua vita.

    Da una di queste relazioni nasce un bambino, G.: nei suoi primissimi mesi di vita P. si trova in regime di arresti domiciliari, per uno dei numerosi furti commessi, ma la sua instancabile madre riesce a prendersi cura di lei e del piccolo, visto che il padre naturale del bambino è a sua volta in carcere, e non ha neanche provveduto a riconoscerlo.
    La vita, purtroppo, non è mai stata troppo buona con P.
    La madre, sua unica fonte di sostentamento economico e morale, in una fredda mattina d’inverno, rimane vittima di un gravissimo incidente e combatte tra la vita e la morte: il Tribunale, in mancanza di valide figure genitoriali di riferimento, colloca il piccolo in casa famiglia ed apre una procedura di adottabilità, dichiarando la madre sospesa dalla potestà genitoriale.

    Da allora P.non ha più potuto vedere il piccolo: dalla casa famiglia le comunicazioni sono sempre stringate, concise, condizionate dagli eventi e comunque solo telefoniche. Il magistrato di sorveglianza le ha negato ogni diritto di visita, sulle indicazioni della casa famiglia. Il bambino, dal canto suo, sembra quasi più non riconoscere la madre, dalla quale fu strappato in tenerissima età e che, giorno dopo giorno, rischia di diventare per lui solo un’estranea.

    Il Tribunale per i minorenni, tuttavia, palesando un’evidente sensibilità, prima di decretare l’adottabilità del piccolo, ha disposto un’attenta valutazione delle capacità genitoriali di P., che nel frattempo si è recuperata, non fa più uso di sostanze, è vicina al suo fine pena e partecipa costantemente all’opera di rieducazione inframuraria: la speranza è che possa riabbracciare al più presto il piccolo, da libera, senza costrizioni o vincoli, pienamente restituita al suo ruolo di madre ed al diritto di crescere suo figlio e vederlo diventare grande.
    (Fonte Foto: Rete Internet)