La figura più recente dell’Uomo Italico della Provvidenza è uscita di scena sabato scorso. Ma già ha promesso di tornare: un Cincinnato dei giorni nostri. Di Carmine Cimmino
Viviamo in un’epoca in cui non si crede in niente, neanche nei prestigiatori (J. Cocteau)
“ Sarò la tua Claretta Petacci “ (l’on. Barbara Mannucci all’on. Berlusconi (letto sulla Rete )
In “Autunno di un patriarca“ di Gabriel Garcia Màrquez i cittadini di una repubblica sudamericana, governata da un patriarca-dittatore, non sanno che faccia egli abbia, e da quando eserciti il potere, e se sia ancora vivo. Fin dall’infanzia sono stati abituati a credere che egli esistesse veramente, solo perché qualcuno raccontava di aver visto accendersi i lampioncini del palazzo presidenziale in una notte di festa, e perché un cantore girovago giurava di aver recitato in sua presenza i versi di Ruben Darìo e di essere stato pagato con un’oncia d’oro: ma il cantore era cieco, e dunque non poteva garantire di aver visto veramente il patriarca – dittatore- presidente.
Ma una sera di gennaio agli occhi dei cittadini si presenta una scena stupefacente: una vacca sta affacciata al balcone centrale della casa del patriarca – dittatore e tranquilla contempla il tramonto: “una vacca sul balcone della patria, che iniquità si devono mai vedere, che paese di merda…”, e come ha fatto ad arrivare fin lassù? ha dovuto arrampicarsi per le scale, ha calpestato i preziosi tappeti, e nessuno se ne è accorto, nessuno l’ha fermata? Ma abbiamo visto bene, era proprio una vacca, affacciata a quel balcone? Infine, spinti da un improvviso moto di coraggio, i cittadini si azzardano a entrare nel palazzo presidenziale: lo stupore cresce ad ogni passo: le stanze sono vuote e silenziose: qua e là si vedono solo i segni polverosi di un passato assai remoto.
Il patriarca-tiranno può essere morto anche da un secolo: e nessuno se ne é accorto. Quando sabato sera il telecomando, bloccandosi, mi ha costretto a sentire, uno dietro l’altro, il sig. Giuliano Ferrara e il sig. Bersani che diceva: “Berlusconi l’abbiamo mandato via noi del PD“, sono andato di corsa a rileggermi le prime 20 pagine del romanzo di Màrquez : sono una meraviglia letteraria, e risultano un ottimo rimedio naturale contro i contorcimenti di stomaco che di questi tempi vengono scatenati dai blablabla televisivi.
L’Uomo della Provvidenza è il personaggio mitologico più importante della storia degli Italiani, che, come è noto, sono profondamente cattolici, soprattutto di domenica, e dunque credono nei disegni della Provvidenza, e, godendo da sempre della benedizione particolare dei Papi, sono da sempre convinti di occupare un posto speciale in quei disegni: d’essere, insomma, dei raccomandati. Perciò, quando le cose si ingarbugliano, noi non ci preoccupiamo più di tanto: anzi, ci facciamo una bella risata: verrà l’Uomo della Provvidenza e metterà tutto a posto. Verrà da dove la Provvidenza ha deciso che venga: dall’ Italia, dalla Padania, o anche dall’estero. Ufficialmente, il primo Uomo Italico della Provvidenza fu Carlo VIII, re di Francia.
Lo chiamarono in Italia gli Stati in cui allora l’Italia era divisa, perché mandasse via da Napoli gli Aragonesi, che stavano sullo stomaco a tutti, soprattutto ad Alessandro VI Borgia, il Papa papà di Lucrezia e del duca Valentino. Fu una marcia trionfale: le città si aprivano, i popoli si inginocchiavano davanti alle bandiere di Carlo su cui campeggiava il motto missus a deo, mandato da Dio, e, per non perdere tempo, i francesi segnavano col gesso le case requisite per la truppa: e “guerra del gesso“ fu chiamato questo viaggio di liberazione. Nel febbraio del 1495 Napoli accolse l’Uomo della Provvidenza con la tradizionale sobrietà napoletana: il popolo tutto gli andò incontro, esultando e piangendo per la gioia, sventolando rami d’olivo e intonando il Te Deum laudamus.
Tutti gli intellettuali italici, che, come si sa, sono stati, sono e saranno sempre immuni da ogni forma di servilismo, fecero a gara nell’inneggiare a Carlo “iustissimo et pio / che ci ha de man de Faraoni cavati / d’amor, di libertà ci ha coronati.”. Carlo come Mosè. Ma poiché è difficile, anche per gli Uomini della Provvidenza, dire di sì a tutte le richieste, pochi mesi dopo Carlo da Mosè divenne Faraone: un barbaro venuto a saccheggiare l’Italia con la sue bande di malfattori, un vaso pieno zeppo di ogni possibile vizio: per di più era anche brutto, “era – scriveva un cronista – lo più scontrafatto homo che viddi alli dì miei.”. Barbaro, storto e incline, troppo, ai piaceri di Venere: preparandosi a fuggir via da Napoli il re non dimenticò di infilare nel bagaglio un album con le immagini delle più belle donne italiane.
Intanto i napoletani battezzavano come “morbo gallico“ la sifilide, che i francesi chiamavano “morbo napoletano“. I signori italiani, che avevano invitato il re a venire in Italia, andarono ad affrontarlo in campo aperto a Fornovo. Era il 6 luglio del 1495: lungo le rive del Taro ingrossato dalle piogge si combatté una battaglia che è la perfetta “battaglia italiana“, un monumento definitivo al carattere nazionale. Ne parleremo.
L’Uomo Italico della Provvidenza è Uno, ma ogni volta che entra sulla scena della storia ha una maschera diversa. Il patriarca-dittatore di Màrquez viene proclamato dagli adulatori “impavidi“ “correttore dei terremoti, delle eclissi, degli anni bisestili e degli altri errori di Dio“ e dispone che l’orologio del campanile batta mezzogiorno non a mezzogiorno, ma alle due, così la vita sembra più lunga: tuttavia non è capace di costruire un cosmo immaginario e di far credere alle masse che sia reale. Quale che sia la maschera, l’Uomo Italico della Provvidenza è sempre un prestigiatore inimitabile.
La “figura“ più recente di tale Uomo è uscita di scena sabato. Con poca gloria, ovviamente. Non so se sia un’uscita definitiva: credo che ci sarà un rientro, per un ultimo “a solo“. Tornerà, l’Uomo Italico della Provvidenza, nei panni del Vecchio saggio, i capelli bianchi, una maschera di rughe eleganti, l’espressione forte e vigorosa: un Cincinnato, insomma. Non andrà nel salotto di Vespa, ma nei programmi di cucina, decreterà il bando per i piatti troppo sofisticati, che non si addicono a un tempo di crisi, promuoverà le zuppe e le minestre di una volta, e difenderà l’aglio e la cipolla. Non dirà barzellette, se non quelle previste ufficialmente dal Programma Secolare: combattere i privilegi, combattere le caste, combattere le mafie, combattere l’evasione fiscale, combattere gli sprechi. Eccetera, eccetera.
Poi si sveglierà dal sonno, scosso da una voce che dalla strada gli grida: “Te ne devi andare. Ti chiedo scusa. Lo prevede il gioco.”. Allora l’Uomo chiamerà gli amici, gli amici veri, e sceglierà, come prevede il gioco, quelli che lo devono tradire. Perché il gioco continui. L’Uomo della Provvidenza, nell’allontanarsi dalla scena, vedrà venirgli incontro una gentile fanciulla, che appassionata gli griderà: Voglio essere la tua Claretta Petacci. L’Uomo la saluterà con fredda cortesia, e intanto spingerà la mano nel fondo più fondo della tasca dei pantaloni, a macchinare il più antico segno di scongiuro.
Ma chi è questa? Ma che Petacci? Ma non ha capito niente? Alberto Sordi avrebbe detto: Pussa via.
(Foto: Quadro di J.Ensor, Le strane maschere, 1892)