L”Osservatorio sulla camorra. Uno sguardo “diverso” sulla vera natura di un fenomeno che investe l”economia, l”impresa, le pubbliche amministrazioni, la politica, e che non si riduce alle storie criminali di piccoli e grandi delinquenti.
Oggi fanno trenta anni da quando l’Osservatorio sulla camorra è nato presso la Fondazione Colasanto della Cisl. Nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutti gli ostracismi, nonostante tutti i “chi te lo fa fare?”, l’attività è proseguita grazie al sostegno e all’entusiasmo di tanti giovani che hanno fatto ricerca sul territorio, anche rischiando in prima persona, sempre gratuitamente, anzi pagandosi anche le spese di spostamento. Come gratuitamente ha sempre lavorato l’ideatore e il direttore dell’Osservatorio sulla camorra, subendo anche minacce e intimidazioni che sono solo servite a moltiplicare l’impegno e la presenza sul territorio.
Oggi l’Osservatorio sulla camorra cerca una nuova sede che possa rendere disponibile il materiale di ricerca accumulato negli anni a giovani studiosi ma anche a studenti e scuole che volessero approfondire la conoscenza di un fenomeno che strangola l’economia delle imprese e la vita dei cittadini sul nostro territorio. Per meglio comprendere le finalità che si propone l’Osservatorio pubblichiamo le linee guida che ne hanno, dal 1981, animato l’attività e l’impegno .
Il fenomeno della "camorra", (intesa, secondo Pizzorno, come mediazione violenta, finalizzata a mettere in contatto le realtà locali con quelle esterne, rappresentate dallo Stato, dalla città, dal mercato), agli inizi degli anni ’80, anche ad opera degli interventi post-terremoto, aveva assunto, almeno dal mio punto di vista, dimensioni – di ordine sociale, economico e politico – tali da non poter essere più affrontata solo con gli strumenti repressivi della magistratura e delle forze dell’ordine.
Come scriveva Thomas Belmonte, un antropologo americano che per dieci mesi aveva vissuto come osservatore partecipante nei Quartieri, all’inizio degli anni ’80, a Napoli, la gente dei quartieri, “stava affrontando forti cambiamenti nell’economia urbana, come l’espansione delle municipalizzate e del terziario. In altre parole più sinecure e più sfruttamento….sui beni immobiliari urbani si sviluppava la pressione di ogni classe sociale. L’ansia di avere una casa era pari solo alla paura della disoccupazione. I mercati di quartiere si erano atrofizzati. In meno di dieci anni, la presenza, la vendita e l’uso di stupefacenti erano diventati un tratto onnipresente della vita ai Quartieri… Non solo gli antichi picari e gli scippatori erano ora numerosi e armati, ma il crimine organizzato riempiva il vuoto politico ed imprenditoriale, creato dal fallimento delle istituzioni civili”.
Questa consapevolezza, delle trasformazioni tumultuose in atto nella società napoletana, ancora poco socializzata e condivisa dall’opinione pubblica e dalle forze politiche e sociali, negli anni ’80, sta alla base della decisione di dar vita ad una struttura permanente di osservazione, studio, ricerca e promozione di iniziative di approfondimento, discussione e dibattito pubblico, cui fu dato il nome di “Osservatorio sulla camorra” e che trovò sede presso la Fondazione “Domenico Colasanto” della CISL Regionale. In Campania, soprattutto nel sindacato, la riflessione aveva fatto registrare livelli significativi di approfondimento, a partire dall’affermazione che la pericolosità sociale della "camorra" risiede:
-nelle distorsioni che la stessa introduce nel tessuto sociale;
-nella erosione del potere e della legittimità delle istituzioni;
-nella capacità di controllo che essa progressivamente acquisisce – attraverso le attività apparentemente legali- dell’apparato economico e finanziario della regione.
Queste affermazioni imposero una linea propositiva fondata sulla convinzione della necessità dell’elaborazione di una strategia di intervento attenta agli aspetti sociali del radicamento sul territorio delle organizzazioni criminali e ai collegamenti semi-istituzionalizzati che esse realizzano con le strutture amministrative, di governo e di controllo, delle autonomie locali.
La convinzione era che della «camorra» bisognava cominciare a parlare liberandosi degli stereotipi della pubblicistica, soprattutto giornalistica e letteraria, che riducono il fenomeno ad una sola delle sue dimensioni, quella criminale, del "controllo" violento del territorio e dei mercati illegali. Si ignorava, praticamente del tutto, l’aspirazione costante al "governo" del territorio e della sua economia e, in particolare, al controllo dei flussi della spesa pubblica, realizzato attraverso il condizionamento e la corruzione delle pubbliche amministrazioni. Sarebbe stato, in altri termini, opportuno distinguere tre diversi tipi di criminalità che spesso sono genericamente accomunati sotto l’etichetta di criminalità organizzata di tipo mafioso: quella che nasce dall’ampia area dell’economia dell’illegalità; quella più ristretta dell’economia della violenza; e quella che si caratterizza per il controllo sulla spesa pubblica e per un potere economico fortemente intrecciato col potere politico.
Quest’ultima usa la presenza della criminalità organizzata di tipo predatorio, in determinati territori, per ottenere credibilità e legittimazione, senza tuttavia identificarsi con essa.
Non si tratta, quindi, di assumere soltanto che il crimine organizzato sia contemporaneamente impegnato in attività illegali e legali, quanto di prendere piuttosto atto che si tratta di livelli criminali da tenere distinti, anche quando si intrecciano in nodi apparentemente inestricabili. Soprattutto di tener presente che il controllo delle pubbliche amministrazioni è essenziale per le organizzazioni criminali:
a) per realizzare quella che si potrebbe definire una signoria politica sulla comunità;
b) per appropriarsi del governo dell’amministrazione, della gestione dei fondi pubblici che transitano attraverso l’Ente, e di tutte le opportunità in termini di autorizzazioni, benefici, assunzioni, opportunità di vita e di impresa, che dipendono direttamente dall’amministrazione stessa;
c) per realizzare quella accumulazione di denaro, di credibilità, di "capitale sociale", che permette alle imprese- criminali di installarsi a pieno titolo, e di operare, con tutte le credenziali necessarie, nel mercato legale. (continua -1)
(Fonte foto: Rita Chiliberti)
LA RUBRICA DEL PROF. AMATO LAMBERTI