L”Etiopia prima e la Libia poi rappresentarono la nuova America per l”Italia di Mussolini. Si trasformarono ben presto in una triste e fallimentare vicenda.
Di Ciro Raia
Dopo un anno e dopo alterne vicende, si conclude la guerra in Etiopia. Nel 1936, infatti, le truppe del generale Pietro Badoglio –chiamato a sostituire il generale De Bono- entrano trionfalmente in Addis Abeba. Il re Vittorio Emanuele III piange di gioia alla notizia della vittoria e non esita a concedere al duce la più alta onorificenza militare italiana: “Ministro delle forze armate preparò, condusse e vinse la più grande guerra coloniale che la storia ricordi, guerra che egli, capo del governo del re, intuì e volle per il prestigio, la vita, la grandezza della patria fascista”.
Nell”immaginario collettivo degli Italiani l”Etiopia, terra precedentemente del tutto sconosciuta, diventa una sorta di nuova America, ricca di risorse e di opportunità di lavoro. Così, a conclusione di una conquista velocissima, la vittoria appare essere –più che del fascismo- dell”intero popolo italiano, che si inebria per l”annuncio di Mussolini: “l”impero è tornato sui colli fatali di Roma”.
L”Italia, purtroppo, tarda a rendersi conto di aver conquistata una terra irta di montagne, brulla e riarsa! Così l”entusiasmo si rivela pari alla delusione. L”Etiopia non è in grado di risolvere la domanda di disoccupazione di decine di migliaia di Italiani. La richiesta di manodopera è occasionale ed è legata alla costruzione di edifici e di strade: l”Etiopia, alla fine, più che una fonte di ricchezza è un pozzo di assorbimento delle già scarne energie italiane.
Non va meglio nemmeno l”avventura della colonizzazione della Libia (con le regioni della Cirenaica e della Tripolitania), terra che, secondo il governo italiano, deve diventare la “quarta sponda”. Per quel lembo di terra africana è prevista la partenza di circa due milioni di persone, per cui sono costruiti villaggi e case coloniche. Tutti quelli che ricevono un podere ed una casa devono essere bravi nei lavori agricoli, avere una famiglia numerosa e, soprattutto, essere iscritti al PNF. Nonostante gli sforzi ed i progetti, però, di integrare la popolazione libica con quella italiana, resta una diffidenza di fondo, in quanto gli agricoltori fascisti hanno sottratto innumerevoli possedimenti agli indigeni.
Così, l”ossessione della costruzione di un impero si trasforma, tutto al più, in una specie di spirito missionario di derivazione cattolica. E dell”enfasi delle partenze, nel 1938, dei piroscafi italiani per la Libia resta solo una descrizione roboante e folcloristica: “Le famiglie rurali, ordinatissime, hanno salutato alla voce il Re Imperatore e il Duce. Sui moli, sulle calate del porto e lungo le vie prospicienti, le organizzazioni del regime e la popolazione hanno assistito alla partenza di questo convoglio veramente eccezionale con visibile commozione e hanno salutato i partenti con altissime, entusiastiche acclamazioni al Duce”. Il seguito è solo una vicenda fallimentare.