Lo sviluppo delle nostre terre è frenato dalla criminalità organizzata, che detta l”agenda a politica ed economia e ha messo in crisi la democrazia italiana. Ma non tutto è perduto!
Di Don Aniello Tortora
È stato pubblicato, di recente, un nuovo documento della Chiesa italiana sulla “questione meridionale”, mai risolta, ritornata, anzi, prepotentemente alla ribalta.
I vescovi italiani denunciano, ancora una volta, i mali atavici del Sud: la disoccupazione, il lavoro nero, la povertà delle famiglie, l”emigrazione dei giovani, il familismo e l”omertà, il “cancro” delle mafie, l”inadeguatezza delle classi dirigenti, il dissesto ambientale. Questi problemi drammatici, aggravati dalla crisi economica e dall””egoismo individuale e corporativo” cresciuto in tutto il Paese, rischiano “di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo”.
“Ma non è del male l”ultima parola. Nella Chiesa e nella società del Sud ci sono risorse di socialità, cultura, spiritualità, che alimentano la speranza del riscatto oltre “ogni forma di rassegnazione e fatalismo”.
Ed è proprio con un invito “al coraggio e alla speranza” che si conclude il documento della Cei “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, che riprende “la riflessione sul cammino della solidarietà nel nostro Paese” a vent”anni dalla pubblicazione del documento “Sviluppo nella solidarietà” (1989).
I vescovi constatano il “perdurare del problema meridionale” che oggi, come vent”anni fa, chiama la Chiesa italiana agli “ineludibili doveri della solidarietà sociale e della comunione ecclesiale”. Le “genti del Sud” devono essere “le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere della solidarietà l”intera nazione”, disse Wojtyla nel 1995 al Convegno ecclesiale di Palermo.
Il documento passa in rassegna, a questo punto, i cambiamenti avvenuti in questi ultimi venti anni: la geografia politica, il venir meno del sistema delle partecipazioni statali, la fine dell”intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno, il sistema di rappresentanza nel governo degli enti locali, l”avvio della privatizzazione delle imprese pubbliche, i tanti migranti giunti dall”Africa, dall”Asia, dall”Est Europa che hanno trovato nel Sud “il primo approdo della speranza”.
La realtà del Sud, scrivono, ancora, i vescovi, è quella di uno “sviluppo bloccato” dove gli aiuti che arrivano non sempre sono ben utilizzati; dove l”elezione diretta degli amministratori locali “non ha scardinato meccanismi perversi o semplicemente malsani nell”amministrazione della cosa pubblica”; dove la condizione femminile soffre ancora emarginazione e discriminazioni, dove ecomafie, crisi dell”agricoltura, fragilità del territorio e dell”economia pongono ulteriori impedimenti al vero riscatto e impediscono al Sud di assumere il protagonismo che gli compete nel cuore del Mediterraneo e in Europa. Queste emergenze invocano un “federalismo solidale, realistico e unitario” capace di responsabilizzare il Sud rafforzando l”unità del Paese: un orizzonte cruciale, nell”imminenza “del 150° anniversario dell”unità nazionale”.
A questo punto i vescovi denunciano il vero problema, che impedisce lo sviluppo del Sud: la criminalità organizzata.
Essa, ormai ramificata in tutto il Paese, “non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell”economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese”. “Le mafie sono la configurazione più drammatica del male e del peccato”, scrivono i vescovi: non mera “espressione di una religiosità distorta” bensì “strutture di peccato”, “forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione”.
Nella società e nella Chiesa ci sono risorse culturali e spirituali per il cammino del riscatto. La Chiesa, in particolare, sta con “quanti combattono in prima linea per la giustizia sulle orme del Vangelo e operano per far sorgere”, come chiese Benedetto XVI il 7 settembre 2008 a Cagliari, “una nuova generazione di laici cristiani” al servizio del bene comune. Consapevole di essere “fattore di sviluppo e di coesione” sociale, la Chiesa si sente chiamata alla sfida educativa e alla trasformazione delle coscienze, testimoniando lo stile della condivisione e della comunione anzitutto al proprio interno. Il problema della sviluppo non è solo economico: è “etico, culturale, antropologico”.
Perciò la Chiesa si impegna ad “alimentare costantemente le risorse umane e spirituali” da investire nella “cultura del bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell”illegalità”.
Dunque: “L”esigenza di investire in legalità e fiducia sollecita un”azione pastorale che miri a cancellare la divaricazione tra pratica religiosa e vita civile e spinga a una conoscenza più approfondita dell”insegnamento sociale della Chiesa, che aiuti a coniugare l”annuncio del Vangelo con la testimonianza delle opere di giustizia e di solidarietà”.
È questo il grande compito cui siamo tutti chiamati, uomini e donne del Sud, ma particolarmente noi cristiani. Essere, cioè, credibili testimoni di legalità e di solidarietà. Il Sud ci appartiene e tutti dobbiamo diventare protagonisti del suo sviluppo che è “di tutto l”uomo e di tutti gli uomini”.
(Fonte foto: Rete Internet)