Quando si tratta di scuola tutti, ma proprio tutti, si sentono padroni di dire qualche cosa e di dare consigli. In particolare i non addetti ai lavori.
Caro Direttore,
tempo fa, un noto giornalista televisivo conduceva una trasmissione sui problemi della città. Nel suo studio si avvicendavano donne e uomini della politica, dello sport, delle professioni e delle arti. Io ero molto amico di quel giornalista e, avendolo un giorno incontrato, mi venne naturale chiedergli quando intendesse invitarmi nel suo talk-show. Con molta disinvoltura mi rispose: “quando si parlerà di cose in cui potrai metterci lingua”. Confesso che, sul momento, ci rimasi male, perchè intendevo quel salotto più una vetrina che un luogo di confronto; poi, riflettendoci, capii il senso della risposta e la coerente professionalità di chi me l”aveva data.
Il senso del decadimento delle cose emerge proprio quando tutti pensano di potersi ergere a Soloni, di poter parlare con presunta competenza, di poter confezionare ricette per ogni salsa. Per cui, poi, capita che si genera una grande confusione di ruoli e nessuno è riconosciuto per quello che è. Agli innumerevoli dottori Guido Tersilli (Il medico della mutua portato sullo schermo da Sordi, nel 1968, e tratto dall”omonimo romanzo di Giuseppe D”Agata), per esempio, i pazienti sono soliti richiedere la prescrizione di un farmaco senza sottoporsi alla diagnosi.
Deriva, forse, tutto dall”eccessiva democratizzazione della figura del medico di base, che, ovviamente, nell”esercizio quotidiano della sua professione è abituato ad un rapporto aperto, paritario, quasi volgarizzato con l”assistito. E, di converso, quest”ultimo crede di avere competenza nel richiedere la prescrizione dei medicinali oltre che “degli analisi” (come dicono anche molti dotti), che non sono mai superflui. Se si va, invece, nello studio di un luminare, le situazione si sovvertono. Silenzio, ossequio, timore, osservanza scrupolosa delle prescrizioni.
Caro Direttore, (l”ho fatta un po” lunga, lo so) uguale sorte del medico di base è riservata agli insegnanti. La mala intesa democratizzazione della scuola ha disegnato i nuovi contorni di una istituzione nella quale tutti si sentono in diritto di spendere parole, assumere posizioni e indirizzare percorsi. Sì, sì, parlo proprio di percorsi didattici! Oggi, chiunque non addetto ai lavori varchi la soglia di un”istituzione scolastica si sente investito di responsabilità, che sfociano anche in una presunta competenza didattica.
Si sentono, oramai, quotidianamente, frasi del tipo: “ma non sarebbe meglio assegnare la storia sul libro piuttosto che richiedere lettura di documenti?”, “non mi piace come si insegna la matematica”, “il compito non è stato ben valutato, bisogna capire il travaglio psicologico di chi scrive”. Qualche giorno fa, un genitore di mia conoscenza chiedeva che ci fosse una sorte di controllore in classe, perchè, a suo dire, il maestro, correggendo i compiti assegnati a casa, aveva valutato il “metodo confuso” e non la correttezza dei risultati.
Sì, perchè, in fondo, alla quasi totalità dei genitori interessano poco o niente l”acquisizione di un metodo o l”abitudine al ragionamento; per la quasi totalità dei genitori sono importanti i risultati, comunque conseguiti. Anzi, per questi genitori serve solo la scuola che insegna a dare le risposte ma non a fare le domande. “Sono stato convocato in presidenza. Adesso è il turno del mio registro. “Più interrogazioni” mi ha esortato il preside, “vedo un solo voto per allievo: qui si batte la fiacca:Li incalzi questi giovani, li talloni. Una domandina e tre subito, senza discutere. Per il loro bene. E per il nostro”:Ora vago per scale e corridoi, in una scuola che sta tra la sezione del tribunale dell”inquisizione e un lazzaretto nel pieno della pestilenza”, (Domenico Starnone, “Ex cattedra”, Edizioni Rossoscuola, 1987).
Spesso, poi, accade che molti genitori, attraverso i figli, si sentano essi stessi valutati, giudicati. Sono quei genitori, un po” frustrati, oppressivi, pieni di sensi di colpa, che si siedono a tavolino e fanno i compiti al posto dei figli, perchè questi ultimi devono prendere un buon voto e fare bella figura. Per questo motivo il marito della mia collega di Groppello Cairoli, la settimana scorsa, si è incazzato da matti con la figlia, solo perchè l”innocente Bibi aveva preso 6 e mezzo alla verifica di storia! “Ma guarda che è sufficienza piena! E, poi, se la verifica significa accertare quando si è combattuta la battaglia di Canne (216 a. C.) o quando si è celebrato il I Concilio ecumenico di Nicea (325 d.C.):”. Niente da fare. Ancora più incazzato ha replicato: “Ha fatto schifo. Ma che figura ci faccio? Mia figlia che non prende almeno otto, dopo che sono stato con lei un”intera serata a ripetere la storia? “.
A chi lo dici, Direttore, che la pedagogia e la didattica sono radicalmente cambiate? Così come è radicalmente mutato il mondo dell”infanzia, che è profondamente solo, pericolosamente abbandonato alla moda del superfluo, inutilmente educato a una falsa modernità, un po” spaccona e un po” becera.
“Insomma nella tua scuola in che cosa consiste la sperimentazione? Non so che dire. I miei giovani colleghi parlano sempre di quello che vorrebbero fare, meno di quello che fanno realmente. Su quest”ultimo argomento sono molto discreti, quasi misteriosi:Ho cercato di sollecitare qualcuno a parlarmi del “nuovo modello di apprendimento”, ma devo dire che da una parte mi sembra notare un disinteresse e uno scetticismo che mi dispiace, dall”altra sento lo sforzo malamente dissimulato di ottenerne e conservarne una specie di brevetto, che mi piace ancor meno”., (Vittoria Ronchey, “Figlioli miei, marxisti immaginari”, Rizzoli, 1975).
E il guaio maggiore è che ci sono moltissimi pedagogisti d”assalto, titolari di cattedra, saggisti, che si ispirano alle leggi del mercato ed a quelli dei pessimi ministri della Pubblica Istruzione. Tanto che, per giustificare sciagurate e costose sperimentazioni, molti cosiddetti esperti si inventano processi di innovazione imposti da riforme “politiche” (di facciata) e riguardanti, per lo più, modifiche strutturali-organizzative più che didattiche.
Tali modifiche, dettate da una impostazione aziendalistico-industriale del servizio scolastico, trovano, poi, difficoltà di traduzione in un territorio abituato a pensare alla scuola pubblica come ad un servizio da offrire alla persona nella sua globalità. Dalle nostre parti, la scuola pubblica resta ancora – e meno male- un luogo ed un nodo cruciale di una società complessa, lontano dall”immagine di unica agenzia formativa ed ispirata ad un sistema educativo policentrico ed articolato.
Direttore, tu che dici, è un fatto che riguarda la cultura o la politica? Intanto, per capire come la cultura politica guarda alla scuola, basta l”ultima circolare del Ministro del Tesoro, che riconosce aumenti stipendiali solo ai professori di religione. Ammonterebbero, si dice, a circa 220 euro in più al mese! E si dice anche che per il rinnovo del contratto degli insegnanti (tutti gli altri che non insegnano religione), i sindacati avrebbero chiesto 200 euro di aumento mensili. Ma il Ministro della Pubblica Amministrazione ne avrebbe messo a disposizione solo 20. Ma si sa, Direttore, in questo nostro felicissimo Paese si dicono tantissime cose! Vai a capire, poi, quali sono quelle veramente vere!
(Fonte foto: Rete Internet)