Il divorzio dei suoi, la droga come unica ancora di salvezza. A soli 14 anni Marco entra in un tunnel senza via d’uscita, se non la morte. Ma l’epilogo sarebbe potuto essere diverso? Lo abbiamo chiesto all’esperta.
La disperazione non lascia scampo. Non ha remore, non si piega di fronte ad un sorriso o un abbraccio. E’ più forte. Si impadronisce di te, annientando tutto ciò che ti circonda. Ti rende sordo e cieco cosicchè riesci a rimanere indifferente anche alle più insistenti richieste d’affetto.
Pensieri tramutati in certezze quando ho incontrato Carolina. La testa bassa, lo sguardo fisso su quella foto. Quasi mi è sembrato di invadere uno spazio che non prevedeva la presenza di estranei. In quella casa tutto sapeva di dolore. L’amarezza del lutto si percepiva persino nella predisposizione dei mobili. E quasi avevo l’impressione che la mia gioia di vivere turbasse la sacralità di quella tristezza.
“Accomodati”, per un attimo Carolina sollevò lo sguardo verso di me. “Qui avrà avuto undici anni”, mi disse accennando un sorriso e mi mostrò quella foto che gelosamente stringeva tra le mani.
Un attimo di silenzio, un forte sospiro, quasi come volesse riprendere fiato, riordinare i pensieri. “E’ stato uno degli ultimi pomeriggi felici che abbiamo trascorso insieme. Quel giorno si festeggiava la comunione di mio nipote, Marco era legatissimo a lui. Passarono tutto il pomeriggio a rincorrersi, e noi mamme tentavamo invano di stargli dietro. Cosa pagherei per poter rivivere quei momenti:”
La voce tradiva commozione, mi versò una tazza di caffè per smorzare il pianto e prima che continuasse il racconto le chiesi:
“Cosa è successo a tuo figlio Marco? Cosa l’ha trasformato da bambino felice a ragazzo ribelle?
“Credo che a turbarlo sia stato il divorzio tra me e suo padre. Era poco più che adolescente, un’età sin troppo delicata per un ragazzino. Ho cercato in tutti i modi di non fargli pesare la situazione, lo coccolavo come potevo, anzi forse anche troppo. Credo che colmassi il senso di colpa ricoprendolo di regali. Lo scooter a 14 anni, soldi ogni volta che me li chiedeva, scarpe e vestiti firmati. In fondo lavoravo e potevo permettermelo. Poi Marco era l’unico affetto che mi era rimasto. Ma forse è stato proprio questo mio comportamento a rovinarlo:”
Cosa intendi?
“Un adolescente che ha una certa disponibilità economica diventa facile preda di “ragazzacci senza scrupoli”. Marco iniziava a tornare sempre più tardi la sera, a scuola era un disastro e qualsiasi cosa io gli dicessi per distoglierlo da quel tipo di vita, era un pretesto per l’ennesimo litigio. O forse era solo una scusa per lui per uscire di nuovo. Fu in quel periodo che cominciò a drogarsi”.
Come hai saputo che faceva uso di stupefacenti? Quand’è che i tuoi sospetti sono diventati certezze?
“Era da tempo che qualcosa mi diceva che quell’aggressività non era normale. Un pomeriggio decisi di frugargli nelle tasche. Qualche spiccio, la foto di suo padre ed una bustina di polvere bianca. Rimasi allibita, la realtà era più cruda di quanto avevo immaginato. Pensavo, o forse speravo che si limitasse a qualche >spinello con gli amici, ed invece no. Rimisi tutto in ordine ed attesi il suo ritorno. Pranzammo insieme, lui teneva la testa bassa. Lo scrutavo, cercavo il modo giusto per parlargli. Alla fine tuonai: “Da quant’è che ti droghi? Mi guardò stupefatto, cercò di negare, ma non gliene diedi modo. Si chiuse in camera sua, alzò lo stereo e per l’intera giornata non ne uscii. L’indomani quando mi alzai era già uscito:”.
Cosa accadde nei giorni seguenti?
“Niente di più di quanto non fosse già accaduto. Io mi rivolsi ad un’amica psicologa, per chiederle aiuto. Ma mio figlio continuava a sfuggirmi. Entrava ed usciva di casa quando gli pareva, e sebbene lo seguissi a volte in auto, sebbene passassi le notti fuori i locali che frequentava, non sono riuscita ad impedire il peggio:”.
Ti va di parlarmi di quel pomeriggio?
“I medici, gli amici, ancora oggi cercano di convincermi che si è trattato di una fatalità, ma io sono certa che mio figlio abbia cercato la morte. E forse fu quel biglietto che trovai in cucina quella mattina a rendermi consapevole della verità. “Mamma tu non c’entri, ti voglio bene e te ne vorrò sempre”. Nonostante il messaggio positivo di quelle poche righe, non riuscivo a stare tranquilla. Continuavo a chiamarlo al cellulare, ma non mi rispondeva. Stavo per mettermi in macchina, quando i carabinieri bussarono alla mia porta. “Suo figlio ha avuto un incidente, purtroppo non c’è stato nulla da fare”. Mi si gelò il sangue nelle vene, non poteva essere vero. Quando lo raggiunsi in ospedale era già troppo tardi”.
Ed oggi come si svolge la tua vita?
Nei giorni successivi ho vissuto per inerzia, ma da qualche mese ho cercato di attivarmi nel sociale, prestando aiuto e soccorso a ragazzi e madri alle prese con la droga. Non sono riuscita a salvare Marco, ma faccio almeno in modo che il suo sacrificio non resti vano :”.
Una storia da brividi, che purtroppo non è un caso isolato. Sempre più giovani si avvicinano alla droga,spesso senza alcuna via d’uscita. Ma quali sono i motivi che spingono gli adolescenti a far uso di stupefacenti, e in che modo un genitore può accorgersi che il figlio ha iniziato a drogarsi, evitando il peggio?
Abbiamo deciso di vederci chiaro, rivolgendo queste domande alla dott.ssa Diamante Iannicelli, psicologa / psicoterapeuta, collaboratrice del CIPPS , Centro Italiano di Psicologia e Psicoterapia Strategica di Salerno.
“>I motivi che possono spingere un giovane a drogarsi possono essere svariati. Alla base credo ci sia comunque una grande mancanza, una grande privazione, che ha radici profonde e a volte lontane.
Credo che sia più opportuno chiederci come fare ad evitare che un ragazzo cominci a drogarsi, ragionando in un’ ottica di prevenzione, più che il perchè ci si droghi. Ci si droga perchè si ha una ferita troppo grande che opprime, che deprime, perchè non ci si sente adeguati, ci si sente schiacciati da una società che corre troppo in fretta lasciando poco spazio all’essenzialità delle cose, perchè i genitori ricoprono i figli di regali negando loro la possibilità di desiderare qualcosa perchè ormai hanno tutto, ma soprattutto negando loro l’affetto, un bene non commercializzabile.
Lei mi chiede perchè ci si droga, bene, io le rispondo che i motivi che sembrano scatenanti possono essere infiniti, ma l’unico che credo sia davvero la causa è l’assenza emotiva della famiglia. Se fin da piccoli i ragazzi fossero educati all’emotività, a sentire le proprie emozioni e condividerle senza esserne sopraffatti, ad avere la certezza che qualcuno ti sta accanto anche se sei triste e che la tristezza non deve far paura perchè è un’emozione che va vissuta, come la rabbia, come il dolore allo stesso modo del piacere, della gioia e della felicità, allora quel ragazzo non avrà più motivo di drogarsi.
Se ci riflettiamo un attimo, in fondo, perchè ci si droga? Per sperimentare emozioni forti, per sentirsi invincibili, per spegnere la mente, ma se un ragazzo è stato educato all’emotività, non ha paura di sentire che ha paura, o che è triste perchè sa che passerà perchè qualcuno glielo ha insegnato, se un ragazzo è già capace di essere felice anche solo cantando una canzone a squarciagola su una spiaggia di notte insieme al suo migliore amico, allora è un ragazzo che si è salvato, è un ragazzo che è stato abituato ad usufruire della più potente delle droghe che è la vita, insieme alla gioia e al coraggio di viverla, che ha sviluppato la capacità di produrre endorfine, che sono droghe naturali che il nostro stesso organismo produce in situazioni emotive forti, come un bacio agognato per tanto tempo e finalmente arrivato, e che sono molto più soddisfacenti. Allora è da questo che bisogna partire, da un’educazione familiare all’emotività, dal costruire un buon rapporto con i propri figli, dal trasmettergli la propria disponibilità all’ascolto, un ascolto attivo, proficuo dove un ragazzo sente che il proprio genitore riesce a sentire le sue stesse emozioni, e a dargli un nome, e a contenerle permettendogli di provarle senza temerle.
Il caso di Marco è un caso drammatico, il più delle volte è la droga ad uccidere, qui credo ci siano state molte più variabili. Un lutto non elaborato (la separazione dei genitori), una depressione in atto molto profonda, un dolore muto che nemmeno la droga è stata capace di spegnere e allora nessuna via d’uscita se non la morte!
Come accorgersi che il proprio figlio si droga? Mi scusi ma questa domanda, molto comune, sottolinea ancora una volta la disattenzione e l’assenza. Io mi chiederei invece come si fa a non accorgersi che il proprio figlio si droga? Partiamo da lì. E allora ancora una volta mi sento di richiamare l’attenzione sulla necessità di un’ educazione all’emotività. Vicinanza, ascolto, dialogo sono tutti beni non commercializzabili, quindi evitiamo di comprare la scarpa all’ultimo grido, i “no” sono istruttivi, ma non neghiamo la nostra presenza“.
(>Fonte foto: Rete internet)