“DIGITAL NATIVES” E “DIGITAL IMMIGRANTS”

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    La mutazione antropologica dei nostri giovani comporta che la scuola dovrebbe andare a: scuola. Prosegue il dibattito semivero su quale lingua italiana insegnare ai giovani.
    Di Giovanni Ariola

    “Ma vi rendete conto che ci troviamo di fronte ad una mutazione antropologica. È cambiata la forma mentis dei nostri ragazzi che sono stati definiti digital natives”.
    Con queste parole terminava il dialogo di 15 giorni fa. Lo riprendiamo da dove ci siamo fermati: il digital natives (IL DIALOGO PRECEDENTE).

    La solita anglomania – lo interrompe visibilmente infastidito e con una punta di lieve sarcasmo il prof. Eligio – chi sarebbero questi digital natives?
    Così definisce lo scrittore americano Marc Prensky (New York, 1946), in un suo articolo del 2001, i ragazzi di quest”ultima generazione che sono nati e cresciuti nel nuovo contesto tecnologico e che hanno avuto, tra i primi giocattoli, cellulari e telecomandi, e che usano con facilità e naturalezza tutti gli strumenti tecnologici che hanno invaso le nostre case in questi ultimi venti trent”anni, dalla playstation e dai videogiochi al computer, ad internet, ai telefoni cellulari con la relativa messaggistica, all” MP3 ecc.
    Ormai tutti o quasi tutti hanno imparato ad usarli questi strumenti: – osserva ironico il prof. Eligio.

    C” è una profonda differenza – ribatte convinto il prof. Piermario – tra le nuove generazioni, i digital natives appunto, e quelle precedenti, che il Presky chiama digital immigrants, ossia immigranti nel mondo digitale, e nel dire precedenti non mi riferisco soltanto a lei e al prof. Carlo qui presente, ma anche alla generazione nostra, mia e di Michele, dicevo che è cambiata la forma mentis dei nati tra la fine del secondo millennio e l”inizio del terzo. Voglio leggervi un passo da questa rivista che ho trovato nella scuola dove insegno:

    “Secondo l”approccio psico-tecnico di Derrik de Derckhove, erede intellettuale di Marshall McLuhan, le tecnologie di elaborazione delle informazioni “configurerebbero” i nostri emisferi celebrali delineando sostanziali modifiche neuronali, fisiologiche, cognitive e creando le cornici che circoscrivono le modalità con cui intendiamo il mondo e reagiamo ad esso. La frattura tra genitori e figli non sarebbe perciò soltanto culturale, ossia relativa alla comunicazione e condivisione dei valori, ma anche cognitiva, psicologica ed emotiva, il che spiegherebbe la distanza e la disaffezione degli studenti di oggi per la trasmissione alfabetica del sapere. Infatti, nel tempo libero e nei diversi contesti della vita sociale essi interagiscono senza sforzo con i nuovi media e le odierne tecnologie, ma in aula sono annoiati e demotivati dall”approccio “libresco”, preferito invece dai “nativi analogici” che transitano nella società informazionale da migrantes”. (Filippo Cancellieri, “Nativi digitali: tra mito e realtà”, in “Dirigere la scuola”, A. 9, n. 12, 2009, p. 7).

    Insomma noi ci siamo adattati alla nuova strumentazione della comunicazione elettronica ma conserviamo la forma mentis della precedente educazione alfabetica.
    Il pericolo anche abbastanza serio è che ci si convinca che la nuova strumentazione tecnologica sia la panacea dei mali che affliggono la scuola, non solo ma che su questa base si fondi un atteggiamento che incoraggi i ragazzi ad abbandonare la lettura del libro – osserva ancora, stavolta con tono serio e preoccupato il prof. Eligio.
    Il rischio maggiore – interviene il dottorino – è, secondo me,che possa verificarsi nel ragazzo una web-dipendenza:

    Sono rischi reali e l”autore dell”articolo che ho citato poco fa li sottolinea ma lo stesso avverte, citando le parole di F.Pedrò, responsabile del progetto “New Millennium Learners”, che nella scuola dobbiamo sentire il “dovere di attrezzarci per conoscere quello che sta avvenendo nell”universo giovanile. Se non capiamo i ragazzi e il loro mondo non riusciremo in alcun modo ad educarli. Non basta :aggiungere nuovi linguaggi modernizzanti a quelli verbali e iconici della tradizione didattica pre-digitale:vanno esplorate le possibilità cognitive degli strumenti ipermediali:integrando la logica sequenziale con quella simultanea e reticolare”. (Ib. p. 9)

    Sono pienamente d”accordo – interviene il prof. Carlo, rimasto in silenzio ma nel contempo in ascolto attento – con quest”ultima affermazione anche se condivido le preoccupazioni espresse da Eligio e da Michele. Sono tuttavia molto fiducioso che si troverà una soluzione e si sceglierà il percorso giusto da seguire. So che numerosi studiosi, pedagogisti ed esperti delle varie scienze dell”educazione continuano tenaci, nonostante le condizioni avverse in cui viviamo, il loro lavoro di ricerca e forniranno indicazioni preziose.

    Bisogna riflettere anche sulla proposta dello studioso di cui parlavo prima, di Marc Prensky, che ha scritto in proposito due libri molto interessanti, l”uno nel 2006: “Dont bother me, mom. I”m learning: How computer and videogames are preparing your kids for twenty first century success“, tradotto in Italia dalla casa editrice Multiplayer nel 2008 con il titolo “Non mi rompere, mamma. Sto imparando“, un altro: “Digital game – based Learning“, pubblicato nel 2007 e non ancora tradotto in Italia. La proposta dello studioso statunitense, provocatoria ma significativa, è quella di strutturare l”apprendimento fondandolo sui giochi che utilizzino tutte le tecnologie multimediali e che siano capaci di incontrare gli interessi dei ragazzi e di motivarli al raggiungimento delle mete formative.

    Ritengo sbagliato – osserva scettico il prof. Eligio – questo comportamento da parte degli adulti, eccessivamente protettivo e impegnato ad assecondare e soddisfare i desideri dei ragazzi piuttosto che ad educarli all”osservanza dei loro doveri. Risultato? Io vedo nella maggior parte dei giovani di oggi e ancora di più in quelli di domani, che qualcuno ha a ragione definito “bamboccioni”, i nuovi marchesini Eufemio, cresciuti nella bambagia e spesso ignoranti.
    Ah, ah! Il marchesino del grande Giuseppe Gioachino Belli “:con ferma voce e signoril coraggio – cita il prof. Carlo – senza libri provò che paggio e maggio/ scrivonsi con due g come cugino”.
    “E finalmente il marchesino Eufemio –
    continua il prof Eligio con tono alquanto stentoreo – latinizzando esercito distrutto,/ disse exercitus lardi ed ebbe il premio”.

    No, per favore, – sbotta il prof. Piermario, visibilmente indignato, come si evince dal colore rosso del suo viso – non è più tempo di latinorum e di stereotipi postmodernisti. È vero, i ragazzi vanno svegliati se dormono o, se non dormono già, fare di tutto per tenerli svegli. Ma noi adulti dobbiamo fare la nostra parte. Resistere contro le forze retrive, conservatrici, anacronistiche. Io continuerò a litigare con i miei colleghi perchè prendano coscienza dei tempi nuovi che stiamo vivendo e diventino essi stessi artefici di svecchiamento senza aspettare che le riforme piovano dall”alto, specialmente quando dall”alto piovono proposte risibili che di riforme hanno, per pura e riprovevole millanteria, solo il nome.