C’era una volta la Campania Felix:

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Da Campania Felix a Terra dei fuochi: la triste storia di una regione avvelenata dalla camorra.

 C’era una volta la Campania Felix, quel territorio che nel periodo romano abbracciava Capua e i diversi comuni confinanti e che veniva così denominata per la particolare prosperità dei suoi terreni. Una fiaba dai risvolti drammatici quella di Napoli e dintorni, un territorio aggiogato dalla camorra e dalla corruzione di politici che per anni l’hanno amministrata gonfiando portafogli, anche a costo di annichilire la propria dignità, o meglio la propria morale.

Perché per troppo tempo le amministrazioni comunali di questa zona oggi nota come "Terra dei Fuochi", hanno strizzato l’occhio alla criminalità organizzata, permettendo ad essa di avvelenare i nostri terreni, i nostri prodotti e la stessa aria che respiriamo. Ma cosa più grave, hanno guardato con indifferenza alla morte di centinaia e centinaia di persone, fingendo di tanto in tanto di commuoversi nei casi in cui ad ammalarsi di cancro fossero bambini innocenti.

Eppure qualcosa è andato storto. Se per anni i clan camorristici di zona hanno stretto accordi che permettessero loro di trarre guadagno dalla trasformazione del "napoletano" e del "casertano" nella discarica d’Italia (ed in qualche caso anche d’Europa), oggi qualcuno si è svegliato dal torpore e vittima di qualche scrupolo di coscienza di troppo, o per semplice ripicca contro boss avversi, ha raccontato di anni ed anni di sversamento di rifiuti tossici in Campania, ha fatto nomi, ha fornito dati e cifre precisi, spazzando via i dubbi anche dei più scettici. E così il Ministero della Salute ha fatto due conti portando alla luce un’agghiacciante realtà: sono oltre 70 i comuni della provincia di Napoli e Caserta, fortemente a rischio per l’alto tasso di inquinamento ambientale.

Dati di fatto che hanno sconvolto cittadini condannati ad un probabile futuro di morte, e che continuano a mobilitarsi in manifestazioni e campagne di sensibilizzazione che scuotano l’opinione pubbliche. Cittadini dall’encomiabile voglia di riscatto, come Don Maurizio Patriciello, parroco e leader del comitato Fuochi, che continua a denunciare la strage di morti innocenti, quelle di bambini stroncati da cancro e leucemia. Una realtà che ha voluto testimoniare affiggendo intorno all’altare maggiore nella sua chiesa al parco Verde di Caivano, le fotografie delle piccole vittime della Terra dei Fuochi. Iniziative che non hanno lasciato indifferenti neppure volti noti del mondo dello spettacolo, che qualche tempo fa hanno adottato simbolicamente ogni singolo comune avvelenato dai rifiuti tossici, scongiurandone la morte.

Tra essi, qualcuno oggi ha fatto mea culpa. Dalle pagine del "Corriere del Mezzogiorno", il cantante dei Litfiba Piero Pelù, ha chiesto scusa alla Campania perché tra i rifiuti tossici smistati nelle viscere dei suoi terreni, ci sono anche quelli toscani: «Anche la mia civilissima Toscana ha fatto questo? Ne ho sofferto. Mi vergogno e vi prometto che saprò nella mia terra come farla pagare a chi di dovere», ha dichiarato il rocker fiorentino che nel pomeriggio di ieri alla Fnac di via Luca Giordano ha presentato il suo nuovo cd «Identikit».

Ed in uno scenario del genere, le dichiarazioni del grande maestro Marcello D’Orta, ucciso dal cancro, suonano più che mai come un presagio: «Quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore – aveva affermato un paio d’anni fa l’autore del best seller "Io speriamo che me la cavo" – il primo pensiero fu: la monnezza. È colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi – vizi, consumo pasti da certosino? Mi ricordai, in quei drammatici momenti che seguirono la lettura del referto medico, di recenti dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui era da mettersi in relazione l’aumento vertiginoso delle patologie di cancro con l’emergenza rifiuti. Così sono stato servito. A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra».