BOOM DI IMMIGRATI IN UN PAESE CHE APPARE RAZZISTA

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    La paura del “diverso” non è un”invenzione. Secondo un recente studio delle Regioni su xenofobia e razzismo, la metà dei giovani italiani sono razzisti e xenofobi, solo il 40% è più o meno aperto alle novità e alle nuove etnie presenti nel Paese…

    La maggior parte delle città della parte ricca e industrializzata del nostro pianeta sono ormai abitate da una grande varietà di individui, in parte membri di gruppi provenienti da regioni e continenti molto lontani. Da ciò derivano difficoltà sociali: di lingua, di regole interetniche di convivenza, di rapporti economici e relazioni. La complessità delle questioni implicate può essere dimostrata con la nascita di nuovi termini per indicare questa realtà di mescolanza e incontro, come “multirazziale”, “multietnico” e “multiculturale”, che non sono, nè termini neutri, nè privi di connotazione: il primo, infatti, presuppone l”esistenza di “razze”, oggi del tutto messa in discussione, mentre gli altri due contengono il rischio di congelare l”esistenza di “etnie” e “culture” diverse, quasi incompatibili, non mescolabili e potenzialmente in conflitto.

    Il nostro mondo, soprattutto, quello occidentale ama definirsi e professarsi democratico, egualitario, tollerante e liberale, ma il dilagante multiculturalismo e le nuove migrazioni, uno degli effetti del trionfo dell”economia-mondo e della cultura materiale e consumistica che essa diffonde, non hanno fatto altro che determinare, aumentare e far regnare la paura per chi, per lingua, razza, cultura, sesso, religione e origine è “diverso”.

    Pressochè ovunque, nel mondo odierno, la realtà sociale è caratterizzata da forti mescolanze culturali, e in questo processo è determinante il ruolo svolto dalla diffusione dei mezzi di comunicazione accanto all”espansione dell”economia capitalistica. L”inserimento di nuovi gruppi nei contesti istituzionali dei paesi di accoglienza è stato però in genere difficile per problemi economici, mancanza di organizzazione e competizione per le risorse. Tale fenomeno ha creato situazioni nuove per molti stati europei, prima piuttosto omogenei dal punto di vista culturale, linguistico e storico, e ha suscitato reazioni diverse, che hanno oscillato dal rifiuto alla solidarietà. Sono gradualmente emerse politiche diverse per l”inserimento degli immigrati: dal modello dell”assimilazione a quello dell”integrazione e della differenziazione.

    La politica dell”assimilazione presuppone che vi siano principi universali validi per tutti e rispecchiati nel sistema normativo del gruppo dominante nella società in cui i migranti vanno ad inserirsi.
    Il modello dell”integrazione ha, invece, l”obiettivo di creare una comunità nazionale unita nell”accettazione di principi comuni e allo stesso tempo nel riconoscimento della possibilità ai gruppi immigrati di esprimere li loro tradizioni culturali, linguistiche e religiose.
    Il modello della differenziazione, infine, implica il massimo riconoscimento delle differenze culturali delle comunità e la presenza di una serie di spazi di autonomia per la loro espressione e realizzazione, riducendo al minimo gli elementi condivisi dalla società politica nel suo complesso.

    Dalle varie politiche sociali che gli stati hanno adottato emergono in definitiva, nelle loro linee generali, due orientamenti opposti, su cui si è concentrata anche la riflessione teorica: il multiculturalismo e l”universalismo. La prospettiva del “multiculturalismo” si fonda sul riconoscimento del valore positivo delle differenze culturali e considera il loro confronto come una risorsa significativa per ogni contesto istituzionale, per i gruppi istituzionali e per gli individui.

    La prospettiva “universalista” difende invece l”universalità di alcuni principi fondamentali, che ritiene debbano fondare tutte le forme di convivenza sociale indipendentemente dall”appartenenza culturale dei singoli. Se questa posizione sostiene l”uguaglianza di tutti i cittadini e attribuisce loro gli stessi diritti, quella multiculturale sostiene il diritto alla differenza dei gruppi che compongono una società contro ogni imposizione del gruppo dominante e incoraggia la possibilità di esprimere liberamente culture e identità, sebbene in settori del sistema sociale che non mettano in discussione le istituzioni dello stato.

    La tendenza a marcare “differenze” fra i gruppi, legata al bisogno fondamentale di identificarsi distinguendosi dagli altri, sta dando luogo ad allarmanti e incontrollate forme di discriminazione razziale, di conflitto etnico, di xenofobia e omofobia.

    La stragrande maggioranza dei gruppi umani, infatti, tende anche all””etnocentrismo”, inteso come “concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono considerati e valutati in rapporto ad esso”. Questo sicuramente garantisce la coesione del gruppo e la sua solidità interna, ma crea, anche, come stiamo vedendo, aggressività, oppressione, rifiuto e violenza a carico degli altri ritenuti “diversi”, generando rapporti conflittuali proprio in nome delle differenze riconosciute, attraverso una costellazione di atteggiamenti che può essere considerata “razzismo“.

    A volte, inconscia e repressa; altre, esplicita e violenta: in un modo o nell”altro, sempre, spaventosamente presente. Ci si guarda intorno e ci si accorge di essere immersi fino al collo in una realtà tremendamente ipocrita. “Razzista, io ? Non di certo!”, ci sentiamo ripetere da chi accenna, con celato orgoglio, ad un atteggiamento di disprezzo del “diverso”. Ci si illude di non esserlo, per reprimerne la sensazione, per sfuggire al giudizio severo di una società perbenista, eppure anch”essa nutrita di falsità.

    C”è un disprezzo del “diverso” che risiede e irrompe nei tanti piccoli atti del nostro quotidiano, una forma di intolleranza inconscia, ma ugualmente pungente. Quella del XXI secolo è soprattutto una xenofobia che vive nel nostro linguaggio, nel modo di relazionarci con chi proviene da un”altra realtà. Ma non solo. C”è anche una paura dello straniero che porta ad agire al di fuori di ogni morale, con atti estremi, di sconvolgente crudeltà. In Italia, gli eventi degli ultimi giorni, sembrano essere diventati la voce altisonante di un razzismo che, in realtà, non è mai scomparso dalle coscienze. Sconvolti, o forse semplicemente straniati, ci troviamo di fronte ad episodi come quelli di ragazzi che “per scherzo” o “per noia” si divertono a dar fuoco ad immigrati, a manifestazioni e proteste apertamente razziste.

    Ma cosa c”è dietro questa tremenda paura dell””altro” diverso da me? C”è un inesorabile e crescente senso di insicurezza, di inadeguatezza e d”incapacità ad accettare il nuovo, un senso, o meglio ancora, un complesso d”inferiorità che, spesso e volentieri, individua nello “straniero” l”origine principale degli sconvolgenti episodi di malavita, di violenza, aggressioni, criminalità e quant”altro caratterizzi la cronaca di questi ultimi anni, come se il male, fosse solo un”invenzione del “diverso” e della tolleranza dimostrata loro. Ma dietro tutto questo si nasconde, anche una miserevole, ignorante e malvagia incapacità a cogliere l”incredibile ricchezza che scaturisce dalla “diversità”.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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