BOMBE D”ACQUA E MALFATTORI AMBIENTALI

    0
    253

    I disastri provocati dalle piogge dei giorni scorsi hanno nomi e cognomi; andrebbe scritto un Codice penale ambientale. Occhio agli alvei dell”Area Vesuviana. Di Amato Lamberti

    I disastri provocati, soprattutto in alcune Regioni, come Liguria e Piemonte, ma anche Toscana, dalle piogge particolarmente abbondanti, tanto da essere definite eccezionali, sono stati imponenti e sconvolgenti. Il fatto poi di aver potuto assistere in diretta televisiva all’alluvione che allagava le strade, scorreva come un torrente in piena, travolgeva automobili, cassonetti, persone malcapitate o che si avventuravano a cercare di salvare almeno l’auto, ha aumentato l’effetto di orrore, di raccapriccio e di paura. Tanto che in tutta Italia si è diffusa la sindrome del disastro meteorologico imminente anche se fuori il cielo era sereno e il sole continuava a brillare.

    Nessuno ha posto l’accento sul fatto che questi disastri si concentrassero sulle zone più industrializzate e urbanizzate del Paese, vale a dire Genova e la Liguria, Torino e il Piemonte. La situazione idrogeologica di queste realtà geografiche non è mutata da secoli a questa parte: i fiumi sono gli stessi, i torrenti seguono lo stesso corso, le montagne e le colline non hanno cambiato posizione. Eppure, oggi, basta una pioggia abbondante per far esondare i fiumi, per allagare città e campagne, per travolgere con la furia inarrestabile delle acque, non solo le automobili, ma gli alberi, le costruzioni, anche quelle apparentemente solide.

    L’esito più dannoso è naturalmente l’allagamento dovuto all’innalzamento delle acque dei fiumi e dei torrenti e all’incapacità dei terreni impermeabilizzati dal cemento e dall’asfalto ad assorbire tali quantità di acque. Così vanno sott’acqua le case, le aziende, le scuole, le stalle, le strade, le ferrovie e si ferma tutto, l’economia ma anche la vita. Cento anni fa, ma anche solo cinquanta anni fa, non era così. Quando pioveva, anche in modo abbondante, i fiumi si gonfiavano e in caso di pericolo i contadini li facevano esondare su campi coltivati a pascolo. I torrenti venivano giù ribollenti e precipiti, come avrebbe detto D’Annunzio, ma non creavano danni perché il loro alveo era libero e tenuto anche sgombro da ogni sorta di rifiuti.

    Non si può continuare a declamare, con Ronsard, “O veramente matrigna natura”, come fanno giornali e televisioni: questi disastri hanno dei responsabili con tanto di nome e cognome e sono gli amministratori che da 60 anni si sono succeduti nei Comuni interessati. Amministratori che non hanno mai considerato l’ambiente una priorità e che hanno consentito lo scempio più ignobile del territorio a difesa di ogni e qualsiasi operazione di speculazione edilizia ma anche imprenditoriale. Non si tratta di ignoranza, come qualcuno si ostina a credere, ma di interessi colpevolmente conseguiti per ricavarne vantaggi prima economici e poi elettorali.

    Certo anche l’ignoranza ha la sua parte, ed è quella dei cittadini che approfittando della mancanza di controlli o, più spesso, della possibilità di superare i vincoli con generose tangenti a chi doveva assicurare il rispetto delle regole e delle normative edilizie, hanno costruito abusivamente case e palazzi magari nell’alveo ben noto di un torrente che pure ogni inverno si gonfiava di acque tumultuose che trascinavano a valle alberi e detriti di ogni sorta, animali compresi. Basta guardarsi intorno, per chi abita nei Comuni dell’area vesuviana: gli alvei dei torrenti sono dovunque diventati strade quasi sempre impercorribili quando piove.

    Frane e smottamenti sono la dannazione dei pochi contadini rimasti ma non li manda il Padreterno corrucciato ma semplicemente la mancata regimentazione delle acque di campagne ormai praticamente abbandonate. Il contadino era il custode e il difensore del territorio, con la sua opera attenta di coltivazione di un territorio rispettandone tutte le peculiarità. Pensate alle opere di terrazzamento che hanno salvaguardato finora il fragilissimo tessuto della costiera amalfitana e di quella sorrentina. Nelle Cinque Terre, un territorio con le stesse caratteristiche della costiera amalfitana, da quando la gente ha abbandonato i campi per fare i ristoratori o gli albergatori, ogni volta che piove rischia di venirsene giù tutto. Ad Ischia, nelle zone in cui l’agricoltura difende ancora il territorio non accadono né frane né smottamenti: dove si è dato libero corso all’abusivismo edilizio più sfrenato si registrano continuamente frane e crolli.

    Le acque dal Vesuvio continueranno a scendere a valle: se le piogge sono abbondanti sono sicuramente impetuose. Invece di incanalarle per farle defluire a mare si è pensato bene di costruire vasche di laminazione che raccogliessero l’acqua che il terreno non riesce ad assorbire, in modo da utilizzarla in seguito per l’irrigazione. Il problema è che queste vasche, come quella del Pianillo, non riescono ad assolvere alla loro funzione perché sono sempre colme di fango e di ogni sorta di detriti e rifiuti di ogni sorta, dall’automobile al televisore, dalla lavatrice al computer, dal lavandino al water, senza che nessuno provveda, come sarebbe necessario, a ripulirle ma anche a controllare che non vengano utilizzate come discariche.

    Il risultato, come sanno bene gli abitanti di Poggiomarino è che ogni volta che piove si allaga tutto fino giù al paese. Per la verità gli abitanti preistorici di Poggiomarino, di cui da poco è stato scoperto un insediamento risalente all’età del bronzo, sapevano meglio adattarsi ad un territorio dove gli allagamenti sono la regola, tanto è vero che costruivano le loro case e i loro villaggi su palafitte. Come avveniva, sempre nell’età del bronzo, epoca villanoviana, anche nella pianura padana nelle aree a ridosso del Po, il fiume sacro alle popolazioni celtiche e, oggi, ai loro molto meticciati successori.

    Le colpe non sono mai della natura: non bisogna concedere questo alibi ad amministratori faccendieri che per coltivare i propri luridi interessi hanno prodotto lo stravolgimento idrogeologico del territorio. Io penso che oggi ci sono due cose urgenti da fare: 1) costituire in Italia una società, che chiamerei “Manutenzione Italia”, articolata a livello provinciale, che assicuri, utilizzando tutto il personale, dalla Forestale ai forestali, alle polizie ambientali provinciali, aggiungendo quelle figure tecniche oggi necessarie, e quindi creando nuova occupazione, una manutenzione ordinaria costante e interventi di manutenzione straordinaria del territorio, tenuto sotto monitoraggio costante da geologi e naturalisti in numero adeguato alle esigenze di un territorio così fragile come quello italiano;

    2) Costituire una Commissione di esperti che evidenzi le forme e i modi di consumo scriteriato del territorio, non solo per risalire ai responsabili almeno delle opere di distruzione dell’equilibrio del territorio, ma soprattutto per scrivere un Codice penale ambientale con il quale si possano perseguire e condannare, anche al risarcimento del danno provocato, i tanti delinquenti e malfattori ambientali che, purtroppo, si vanno moltiplicando nel nostro Paese. Il primo principio di questo Codice deve essere quello che nessun risarcimento può essere richiesto e ottenuto per costruzioni abusive o realizzate in aree ad alto rischio idrogeologico.

    Bisogna costruire la cultura e la coscienza ambientale che manca in Italia e non lo si può fare certo con le “10 regole per l’autoprotezione in Italia” pubblicate dal più diffuso quotidiano nazionale.
    (Fonte foto: Rete Internet)

    CITTÀ AL SETACCIO