Somma Vesuviana, i riti della montagna dal Sabato dei Fuochi al Tre della Croce

0
5752

Inizia domani, sabato 6 aprile – il Sabato in Albis – la festa della montagna calda che avrà fine il 3 maggio, entrambe le occasioni di festa provengono dalla cultura contadina. Riti antichi e paranze devote alla Madonna che recuperano antichi riti che arrivano dalla notte dei tempi ma sempre con gli stessi ingredienti: musica, danza, vini, fiaccole, fede.

La festa della montagna calda, che ha inizio con l’equinozio di primavera, il Sabato in Albis, ha una durata variabile e termina il tre maggio. Essa s’inquadra nei cosiddetti riti della vegetazione, cioè tra quei riti di primavera, propiziatori al risveglio della natura e attraverso i quali – afferma la studiosa Maria Rosaria Celeo – il contadino spera di ottenere un ricco e favorevole raccolto. Dai documenti in possesso dell’Archivio storico non arriva alcuna documentazione su questa festa, tranne qualche appunto di Don Armando Giuliano, che per anni fu Rettore del Santuario. Certo è che a questo rito sono interessati tutti i Comuni vicini al Monte Somma che da sempre hanno fissato un giorno del periodo festivo per recarsi al Santuario di Santa Maria a Castello. La statua lignea di Mamma Schiavona, così denominata,  fu portata a Somma da Carlo Carafa nel 1622 e numerose sono le grazie che gli abitanti del posto hanno ricevuto, testimoniate anche dalla presenza di numerosi ex-voto.

Già nell’antica Roma si celebrava una festa per onorare la dea Flora (dea della vegetazione) dal 28 aprile al 3 maggio, con cerimonie sfrenate e orgiastiche di tema pastorale. Durante questa festa – denominata Floralia – era ammessa una maggiore lascivia, con profusione di scherzi, balli e grandi bevute di vino. Un altro accostamento è da ricercare nel mondo greco con il culto di Dioniso, dio della religiosità agraria e del rinnovarsi annuale della produzione delle messi. Alla base del culto vi erano tre elementi che tuttora ritroviamo: la musica, la danza e il vino, oltre ai colori delle fiaccolate nell’ambientazione notturna che ci riportano alle torce accese in serata durante la salita e la discesa del monte.

E’un momento caratterizzato dalle tradizionali paranze, che promuovono una vera e tenera devozione alla Madre Celeste, iniziando un percorso di fede il sabato in albis dalla località a est del Monte Somma, detto Gnundo, per poi  concluderlo sulla vetta più alta  del Monte Somma, il Ciglio, il tre maggio seguente. Tutto è incentrato sul canto, una delle tante meraviglie che la natura ha offerto all’uomo, e se questo canto, poi, è rivolto a una bella figliola, la Madre Celeste, allora tutto si tramuta in fuoco e passione. Il fuoco che illumina durante le notti il Sacro Monte avvolto in miti e leggende e la passione che, invece, si trasforma in una dolce melodia che da sempre il solito cantatore con il coro dei devoti improvvisa sul sagrato della chiesetta sotto il sorriso della Madonna. Un canto che viene da lontano, sillabico, la cui melodia è costruita sulla scala maggiore napoletana con suoni prolungati e fioriti. Un infinito canto d’amore che si sparge tra le valli profumate di ginestre e arriva pian piano sotto la finestra della donna amata con il consueto dono della pertica. Tra i canti del mondo contadino una particolare attenzione è rivolta anche alla fronna, una forma di canto senza accompagnamento strumentale, una sorta di recitativo, che i contadini usavano per comunicare tra loro a grandi distanze, portando la mano alla guancia per amplificare il suono. Grazie alla buona trasmissione e alla leggerezza del suono le fronne furono utilizzate in seguito presso le finestre dei carcerati per comunicare notizie in codice o per trasmettere messaggi d’amore e di conforto. La fronna rimane, però, una tipica forma di canto che precede ancora oggi lo svolgimento della tammurriata e viene eseguita da un cantore solista che accompagna il suo gruppo fino al sagrato della chiesa, esaltando la devozione. Il Sabato in Albis sulla località Gnundo una piccola cappella segna il punto sacro della vetta e qui ceste di cibo, vino e fuochi d’artificio fanno da padroni.  I gruppi o paranze di questa giornata sono parecchi e sono distribuiti lungo lo spiazzato, facendo sentire la loro presenza mediante balli e canti. Il 3 maggio, invece, conosciuto come anche tre della Croce, è il giorno di chiusura della festa.  Le manifestazioni sono le stesse del Sabato dei fuochi ma la simbologia attivata nelle circostanze è quella del ringraziamento per l’abbondante raccolto. In questo giorno, infatti, si festeggia la resurrezione avvenuta,  il miracolo della natura e il ringraziamento sale sul Ciglio, il punto più alto della montagna e quindi più vicino al cielo. Nel 1984 la paranza del Ciglio (nella foto) costruì su questa cima una cappella sulla destra della grande croce che segna tuttora il punto sacro della vetta. Anche qui le paranze sono parecchie e sono distribuite lungo le valli. Nel pomeriggio di questo giorno, invece, nel vallone le paranze con gli strumenti tradizionali (tamburi, putipù, triccabballacche e scetavaiasse) iniziano a suon di tammurriate a cantare e a danzare creando agli occhi dei visitatori spettacolari emozioni. Le danze e i canti continueranno fino a sera, quando – sostiene lo storico sommese Angelo Di Mauro – le stelline della pianura e quelle del cielo, fattosi nero di brume e di notti, preparano al monte un altro infinito di fuochi artificiali.

 

foto di copertina. collezione Vitolo

foto gallery: collezione Saverio Raia