Ricette di Biagio: spaghetti alle olive “nocellara” del Vesuvio.Le posate degli antichi Romani….

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Perché questi spaghetti alla “nocellara” del Vesuvio non sono una variante degli spaghetti alla “puttanesca”. Le posate degli antichi Romani: i cucchiai, i coltelli, gli stuzzicadenti. E nelle sale da pranzo dei ricchi c’era lo scacciamosche fatto con la coda di un pavone. Quando si diffuse l’uso della forchetta. Fu Richelieu a disporre che i coltelli da tavola avessero la punta arrotondata. In appendice è pubblicato il “Banchetto nell’antica Roma” dipinto dal pittore belga Joseph Coomans (1816- 1889).

 

Ingredienti: gr. 350 spaghetti; gr. 600 polpa di pomodoro; gr. 100 olive “nocellara” denocciolate; ½ cipolla; olio di “nocellara”, origano, pepe, sale, provolone del Monaco grattugiato. Tritate la mezza cipolla, fatela rosolare in una padella ampia, in un filo d’olio di “nocellara” del Vesuvio.  Aggiungete le olive “nocellara” tagliate a rondelle, fate rosolare; poi versate la polpa di pomodoro, una punta di origano, un poco d’acqua, pepate e salate con moderazione, perché il sapore delle olive non sia contaminato dall’eccesso di sale, coprite la padella e lasciate cuocere il sugo, rimestando di tanto in tanto.  Al momento opportuno, versate nella padella gli spaghetti cotti a parte e presi rigorosamente “al dente”, e fateli “saltare”, aggiungendo un poco d’acqua di cottura;  infine portate in tavola il piatto, moderatamente cosparso di provolone del Monaco grattugiato.

 

Questi spaghetti alle olive “nocellara” del Vesuvio non sono una versione variata degli spaghetti alla “puttanesca”. Che sono tutta un’altra cosa: sono un “piatto” che “’e chiapparielle” e le ulive di Gaeta rendono fiammeggiante, mentre la “nocellara” del Vesuvio riesce a trasformare il fuoco in luce e fa sì che venga su dagli spaghetti l’invito a una serena “pausa”, alla piacevole suggestione di un momento d’oblio. Mentre Biagio tagliava a rondelle le olive con uno strano coltello da cucina che il figlio gli ha portato da Vienna, mi sono ricordato di alcune amene “notizie” sulle posate degli antichi Romani, “notizie” che ricamavano un articolo pubblicato sui “social”. In realtà i Romani non usavano la forchetta: i forchettoni a tre o quattro denti, che si vedono in qualche affresco, venivano usati in cucina dagli “scissores”, gli schiavi addetti al taglio delle vivande. Dicono alcuni storici che fu la corte dell’imperatore di Bisanzio a diffondere l’uso della forchetta da tavola. Da Bisanzio lo strumento fu esportato a Venezia. Secondo Ludovico Muratori, la forchetta comparve in Italia, per la prima volta nel 1071, durante il banchetto in cui si festeggiava, a Venezia, il matrimonio del doge Orseolo con la principessa bizantina Maria.  Due erano i modelli di cucchiaio: la “ligula”, fatta di legno o di metallo, e il “cochlear”, di cui venivano usate entrambe le estremità, una per le minestre o, come dice Marziale, per le chiocciole – e da qui il nome -,  l’altra, più piccola, per reggere un uovo.

La tavola dei ricchi non permetteva l’uso dei coltelli, di cui i commensali, stesi sul triclinio, non potevano servirsi: se ne servivano quelli della cucina e coloro che mangiavano, stando seduti, nelle osterie e nelle cantine, le “tabernae” e le “popine”. Raccontano gli storici che fu Richelieu a disporre, con un decreto, che i coltelli da tavola avessero la punta arrotondata: lo indussero ad adottare il provvedimento le ragioni della sicurezza e il tentativo di porre fine alla disgustosa abitudine del cancelliere Sèguier di pulirsi i denti con la punta del coltello: a tavola, davanti a tutti. I Romani usavano come stuzzicadenti – “dentiscalpium” – una scheggia di lentischio, o, ci dice Marziale, una penna. Trimalchione, invece, usava una “spina d’argento”. Nelle sale da pranzo non mancava mai il “muscarium”, lo “scacciamosche”: Marziale consigliava che fosse “pavoninum”, fatto con la coda di un pavone. I ricchi potevano mettere in tavola grandi piatti cesellati in oro, ma quella malalingua di Marziale svelava che qualche ricco avaro offendeva questi preziosi piatti usandoli per una triglia piccola: una triglia degna di stare in queste opere d’arte doveva pesare almeno 700 grammi. Grande era la varietà di coppe, bicchieri, boccali e tovaglie: ma la “nocellara” incomincia a produrre le sue suggestioni e mi invita al silenzio.

 

(FONTE FOTO:RETE INTERNET)