Margellina( i Napoletani preferiscono dire Mergellina) ha ispirato pittori, poeti, autori di canzoni. Rimane oscura l’etimologia del nome. A Mergellina aprirono una famosa trattoria i Polisano, importanti “monsù” dell’Ottocento, Maestri nella preparazione non solo delle tradizionali zuppe di pesce, ma anche del ragù e dei “piatti” di carne di vitello e di maiale: carne che compravano da macellai di Sant’ Anastasia.
Non c’è pittore napoletano dell’Ottocento che non abbia cercato di “catturare” in un quadro a olio o in un acquerello l’incanto dello “spazio” in cui si dispongono, in una armonia paradisiaca, Margellina, che per i Napoletani è Mergellina, la collina di Posillipo, il Golfo, l’immagine delle isole, il profilo del Vesuvio.Anche il pittore russo Scedrin fu vinto dal fascino del panorama di Mergellina: è suo il quadro che correda l’articolo. Nel 1927 Pasquale Buongiovanni, emigrato a New York, commosso da una cartolina con una veduta di Napoli che gli era stata mandata dalla madre, scrisse dei versi che Giuseppe De Luca, anche lui emigrato, musicò: nacque così “ ‘A cartulina ‘e Napule”, che venne portata al successo da Gilda Mignonette: “ Se vede Capre, Proceta, /se vede Margellina /nu poco’e cielo ‘e Napule/ che bella cartulina…/. Mergellina fu cara ai Romani, a Jacopo Sannazzaro, a Goethe, a Bidera, a Marc Monnier, a Ferdinando Russo e a Salvatore Di Giacomo, che si divertì a raccontare le passeggiate per Mergellina dei nobili della Napoli del Seicento, le loro galanterie con le signore che dominavano il palcoscenico dei teatri, e i duelli provocati dalla gelosia. Renato Fucini fa uno splendido ritratto dei “maruzzari” napoletani che ogni sera andavano in cerca di “buongustai dalla Lanterna a Sant’Elmo, da Mergellina alla Marinella, percorrendo in ogni verso dalla via Toledo ai vichi più remoti l’immensa città”. Il luogo sollecitò l’ispirazione di registi italiani e stranieri, e di Totò, che dedicò una poesia, poi messa in musica, a una “acquaiola”: ogni matina scengo a Mergellina / me guardo ‘o mare, ‘e vvarche ‘e na figliola / ca sta dint’ ‘ a nu chiosco: è ‘n ‘acquaiola. Nel 1952 Enzo Bonagura cantò Margellina, Margellina / d’’e marinare / d’’e paranze sotto ‘o sole / d’’e voce d’’o mare.E nel 1960 Mazzocco e Martucci furono autori del testo e della musica della “Serenata a Margellina”: Ncopp’all’onne d’’o mare sta luna / nu merletto d’argiento mo’ fa…/ Na chitarra, na voce luntana / nonna nonna me stanno a cantà’/ Margellina, Margellina ,dint’’a sta varca famme sunnà’…vocame, vocame, nun me scetà’..”.Non è chiara l’etimologia del nome, che in un documento del sec. XIII è “Mirlinum” e in documenti di secoli successivi varia da “ Mergollino” a “Merguglino” e “Murgoglino”..Alcuni trovano un riferimento al “mergus”, al gabbiano, altri vedono un rapporto con “margo”, che in latino significa “margine” e potrebbe indicare anche la “sponda”.I Napoletani cancellarono dubbi e incertezze creando la leggenda del pescatore Mergellino che si innamora perdutamente di una sirena, e da questa irrefrenabile passione è spinto fino alla morte per annegamento. La Chiesa di Santa Maria del Parto merita un articolo a parte non tanto perché la sua storia è legata alla biografia di Iacopo Sannazzaro, quanto per un quadro di San Michele, in cui la “figura” dell’Arcangelo vincitore del diavolo è impostata con una sorprendente “novità”, e per le leggende che intorno a questa “novità” vennero ricamate. Era naturale che in un luogo di tanta bellezza cuochi importanti aprissero taverne di gran nome, “Pallino”, “lo Scoglio di Frisio”, “Luisella a mare”. Pietro Polisano chiamò la sua taverna “Pergolella a Mergellina” e conquistò il favore dei clienti anche stranieri con i cannelloni ripieni di pesce e di carne di vitello, con le zuppe e le fritture di pesce, e anche con braciole di maiale e di agnello, che, in una trattoria sul mare, costituivano una grande attrazione culinaria. I documenti ci dicono che le carni per le braciole venivano fornite a Pietro Polisano da due macellai di Sant’ Anastasia, Luigi Liguoro e Antonio Rea. Il figlio di Pietro, Vincenzo, nel 1875 aprì un’altra trattoria nei locali che avevano ospitato fino a due anni prima la locanda “La Schiava” e divenne famoso per i suoi dolci, in particolare per i “sospiri”, nei quali alla tradizionale crema pasticciera egli aggiungeva una punta di miele. Un nipote di Pietro, Gennaro, nel 1880 “ inalberò frasca” a Pozzuoli, in quello che era stato un convento dei Cappuccini, inventò un “piatto” di ziti grossi che chiamò “cannoni all’ Armstrong” in onore della fabbrica che sul litorale puteolano costruiva artiglierie navali e creò un ragù particolare, “il ragù Polisano”, aggiungendo ai tradizionali ingredienti una punta di cioccolato amaro e vino di Marsala e di Pantelleria.