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Davanti ai presepi messi in mostra all’Oratorio anche Nennillo Cupiello direbbe “Me piace ‘o presepio”

Con gli alunni dell’Istituto “Luigi de’Medici”, accompagnati dalla prof.ssa Marilina Perna, ho visitato la Quinta Mostra presepiale allestita nella Cappella della Confraternita “Santa Maria Visitapoveri”. Il fascino dell’Oratorio e la cura dei confratelli e della priora Michela Annunziata fanno sì che anche quest’anno le opere dei Maestri presepiali accendano negli spettatori un complesso intreccio di emozioni.

 “Il presepe appartiene ai popoli d’amore” (Luciano De Crescenzo).

 

La magia del luogo – pochi “luoghi” di Ottaviano sono magici come l’Oratorio – gli affreschi, il profumo d’antico che viene dai basoli e dai palazzi della Terra Vecchia, lo sfavillio dei colori sui presepi in mostra, la viva espressione dei pastori hanno suscitato l’attenzione dei ragazzi e hanno illustrato, con una coinvolgente immediatezza, la natura autentica del “presepe” napoletano, che è un sacro teatro in cui lo sguardo del Divino Fanciullo si posa non solo sui ricchi e sui potenti, ma anche sugli umili: e perciò i protagonisti dell’evento non sono solo i Re Magi, ma anche il pescatore, la lavandaia, il “tavernaro”, il sognatore.

E’ in mostra, all’Oratorio, un carro stracolmo di oggetti (immagine in appendice): un clamoroso e “ruvido” carro nero che può illustrare, da solo, il significato profondo del “presepio” napoletano, l’esaltazione del lavoro, e dunque l’importanza che per gli “umili” hanno le cose, testimoni di quel sacrificio quotidiano che è la loro vita. C’è nei presepi in mostra all’Oratorio anche una sobria testimonianza di quella “sacra cuccagna” che un tempo “infestava” i presepi dei Maestri napoletani, ed era intesa come una consolazione per i poveri, un invito alla speranza di assaporare, di quella “cuccagna”, almeno le briciole.  Ancora negli anni ’80 dell’’800 i Medici, principi di Ottajano, nella settimana di Natale consegnavano al Priore della Confraternita numerosi “pacchi” con pane pasta e fette di formaggio, e i confratelli li distribuivano ai poveri della Terra Vecchia.

E la stessa cosa facevano, con i “loro” poveri, i ricchi borghesi dei quartieri San Giovanni e San Lorenzo. Lo spettacolo della “cuccagna”: “È soprattutto il popolo a godere dello spettacolo – scrive ai primi dell’Ottocento lo scrittore spagnolo Leandro de Moratín – perché anche senza mangiare, sa che c’è da mangiare”. (Marino Niola, la Repubblica 11/12/ 23). Nella commedia di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello” l’impegno nel fare il presepe – un impegno assoluto – serve a Luca non solo per “distrarsi” dai problemi della vita famigliare, ma anche per esortare i suoi alla pace e alla serenità. La commedia “ è la metafora della disgregazione e allo stesso tempo del ricomponimento del nucleo famigliare. La famiglia è quel posto in cui, anche a Natale, possono volare i piatti pochi minuti prima di banchettare. Si piange e si ride, si litiga e si perdonano, per la maggior parte delle volte, persino gli errori più gravi” (Scene contemporanee.it).

Il “presepe” napoletano, diceva Giuseppe Marotta, serve a ricordare ai Napoletani l’importanza dello spirito di comunità, il significato profondo della napoletanità “Natale, a Napoli, è la più lunga festa dell’anno: comincia fin agli ultimi giorni di novembre, forse col primo sbattere di un’imposta aggredita dal vento di terra, quando alla madida luna delle notti di scirocco subentra improvvisamente quel gelo pulito e fermo, di cristallo, che denuda gli astri e le montagne, non senza far dire al fruttivendolo don Aniello Scala: «Ci siamo, Concetta, prepara i lumi e il braciere» “. E racconta Giovanni Artieri che, “prima dell’ultima guerra”, la settimana di Natale si apriva a Napoli con la “Cantata dei Pastori “al teatro San Ferdinando. Organizzava la compagnia “un certo Antonio dei Cangiani, che era un operaio” che reclutava gli attori “volontari” tra i popolani dei vicoli di Porta Capuana e della Vicaria e nelle botteghe di Foria. Attori “professionisti” venivano arruolati solo per le “parti serie, la Madonna, San Giuseppe, Asmodeo, Astarotte”. Mi auguro che gli Ottavianesi “sentano” di nuovo il fascino dello spirito di comunità e condividano, come in passato, i valori dell’identità civica e della storia gloriosa della nostra città. Un contributo importante può venire dalle scuole, e preziosa certamente risulterà, domani come oggi, l’attività dei confratelli della Congrega dell’Oratorio e della priora Michela Annunziata. E a tutti va il nostro grazie.

 

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