È stato, sette anni fa, il più giovane assessore della storia politica di Sant’Anastasia. Ha conservato la delega al bilancio e tributi stando al fianco degli ultimi tre sindaci della città. Oggi è vicesindaco.
Ha 33 anni, una laurea in Economia conseguita alla Università del Sannio, è sposato con Fiorella e hanno una bimba di tre anni, Antonia. Innamorato dei numeri e del mondo della finanza, prima di intraprendere gli studi universitari ha frequentato il liceo scientifico «E. Torricelli» a Somma Vesuviana e poi ha scelto l’ateneo di Benevento perché, all’epoca, era l’unico in zona dove si potesse studiare economia bancaria. Un mese dopo la laurea è volato negli Usa per un master in macroeconomia post keynesiana. Lavora nell’agenzia di assicurazioni di famiglia ma prima ha conseguito le abilitazioni sia come agente assicurativo, sia come promotore finanziario. E, per buona misura, ha terminato i diciotto mesi di praticantato per l’abilitazione di dottore commercialista anche se non è oggi iscritto all’Albo per incompatibilità con la sua professione di agente. Nei suoi programmi futuri una seconda laurea in Giurisprudenza. Vicesindaco di Lello Abete, è stato assessore al bilancio con i sindaci Carmine Pone e Carmine Esposito. Il suo segno zodiacale è il Sagittario, il suo ascendente lo Scorpione. In coda all’intervista, è allegata la sua carta natale.
Armando, la professione che svolgi oggi è quella che avevi in mente quando hai intrapreso gli studi universitari?
«Sì, mi piace il rapporto con il pubblico, con i clienti, amo gli indici, gli andamenti, i numeri, tutto ciò che è legato al mondo della finanza, da sempre».
Se invece avessi dovuto scegliere un’altra strada?
«Avrei fatto il magistrato, nei miei programmi c’è una seconda laurea in Giurisprudenza ma non cambierò professione».
Lavori con tuo padre e uno dei tuoi due fratelli, com’è il tuo rapporto con la famiglia?
«Bellissimo, viviamo in simbiosi. Ora considero la mia una famiglia allargata perché c’è lo stesso legame con i genitori e le sorelle di mia moglie».
Avete una bimba di tre anni, intenzione di accrescere ancora questa grande famiglia?
«Dipendesse solo da me avremmo quattro o cinque figli, anche di più. Mia moglie però non è così d’accordo, dice che se lasciassi la politica forse ci si potrebbe pensare».
Quando hai cominciato a interessarti di politica?
«La politica mi ha appassionato fin da piccolo, avevo dodici anni quando Berlusconi scese in campo. Ho cominciato a seguirlo più o meno dal suo secondo mandato e, quando ero al liceo, riempivo la cattedra di un mio professore comunista con le cartoline di Forza Italia. Mi irritavo perché ne parlava sempre male, dunque reagivo d’istinto così».
Sei stato l’assessore più giovane della storia politica cittadina, passato in pratica dai testi universitari di economia ai faldoni del bilancio comunale. Com’è andata?
«Subito dopo la laurea, tornato dagli Usa, mi sono ritrovato alla mia prima riunione di partito. Era l’ultimo anno di governo cittadino del centrosinistra, il 2006, e fu l’allora coordinatore Antonio Marciano, amico storico di mio padre, a invitarmi. Ricordo ancora il cartello fuori dalla sezione, c’era scritto “Direttivo sezionale, tema: bilancio della pubblica amministrazione del Comune di Sant’Anastasia”. C’era anche Carmine Pone che, si sapeva già, sarebbe stato il futuro candidato sindaco. Mi misero in mano una copia del bilancio e mi dissero: “Tu sei fresco di laurea, facci capire di più”. Per principio io non mi tiro mai indietro, dunque portai con me quelle carte, le studiai e da allora non le ho mai più lasciate».
Nel 2007 infatti Carmine Pone vinse le elezioni, tu sapevi già in campagna elettorale che saresti stato in squadra da assessore?
«No, non pensavo nemmeno a candidarmi. Pochi giorni prima della presentazione delle liste, invece, Pone me la buttò lì come cosa scontata. Il risultato fu di 196 voti e una bellissima esperienza, dopo quindici giorni il sindaco mi volle in giunta. Non sapevo assolutamente che sarebbe andata così perché nelle liste c’era anche qualcuno che aveva preso più voti e in molti scalpitarono, ma Pone puntò su di me a occhi chiusi».
Ci vuole coraggio a scegliere un giovane alla prima esperienza, dopo dieci anni di governo del centrosinistra in cui la delega al bilancio era stata tra le più «forti», no?
«Sicuramente sì. E io non volevo, non potevo, sfigurare, ecco perché studiai tanto e mi immersi dal di dentro nel bilancio. Anche perché la situazione era già difficile dal punto di vista politico (ndr, Pone vinse le elezioni ma fu il centrosinistra a conquistare la maggioranza dei seggi in consiglio comunale), mentre sul fronte amministrativo si lavorò bene. Ad appena due settimane dalla nomina, dovetti relazionare sul consuntivo e lo feci con un approccio universitario, schematico, semplice: con grafici, slide, tabelle e, per massima trasparenza, ne preparai una copia per tutti i consiglieri comunali, di maggioranza e opposizione, partii insomma con il piede giusto».
Mi racconti un po’ di quei due anni? Pone terminò l’esperienza anzitempo e dovette, in quel periodo, fronteggiare la spinosa questione dell’Amav che poi, con te assessore, il successore Carmine Esposito ha deciso di sciogliere. Ma era una intenzione che almeno in campagna elettorale anche lo stesso Pone aveva manifestato, però poi decise altrimenti.
«Premetto che già allora capimmo che l’Amav ci avrebbe dato grosse difficoltà ma all’epoca non si era compreso ancora, come oggi si legge ogni santo giorno sui quotidiani a giusta ragione, che le municipalizzate sono la rovina dei Comuni, il loro tallone d’Achille. Va precisato che l’ultimo bilancio Amav approvato risale al 2008 e che i libri sono arrivati in tribunale nel 2012, dunque il sindaco Carmine Esposito non ha mai firmato un bilancio. L’Amav l’ha gestita il centrosinistra, gli sprechi stanno tutti lì e io ho avuto a che fare con l’azienda solo in termini di bilancio già approvato. La gestione di quell’ente, in realtà di diritto privato trattandosi di una società per azioni, è un grande paradosso (unico socio il Comune, unico finanziatore sempre il Comune) e nel primo anno con Pone ci trovammo ad affrontare un’emergenza: dal 1 gennaio dell’anno dopo (il 2008) doveva partire la raccolta differenziata porta a porta obbligatoria, pena sanzioni che poi in realtà l’Amav ha comunque avuto. Avevamo una macchina in corsa con qualche problema, dovevamo decidere se fermarla e prenderne un’altra, ripartendo da zero con un motore nuovo, o decidere di darle, per il momento, una giusta manutenzione e ottenere un risultato degno. Scegliemmo la seconda ipotesi».
In seguito l’ex sindaco Esposito ha messo l’accento su quelli che definiva «inaccettabili sprechi» dell’Amav, scelse una manifestazione ad hoc per dirlo. Era così?
«Assolutamente sì, basti dire che appena questa settimana ho affidato la manutenzione del verde pubblico per meno di cinquantamila euro e che a quei tempi, solo per questo settore, le spese lievitavano in maniera esponenziale. Però rivendico la scelta di tenerla in piedi allora, era l’unica soluzione. Incontrammo i vertici della società, chiedemmo di approntare un nuovo piano: prevedeva 236 mila euro di aumento del canone, cioè 20mila euro mensili. La raccolta differenziata partì e in un anno passò dal 15 al 43 %, il presidente del consiglio di amministrazione (ndr, Ruggiero Granata) cominciò a fare dei tagli alle spese. Ma già nel 2009 la situazione precipitò perché, nonostante l’accordo precedente e il canone aumentato, l’Amav girò una fattura al Comune con un ribaltamento dei costi, era praticamente sotto di circa 400mila euro e pretendeva un ulteriore adeguamento. Lì cominciò la crisi vera che ci ha portato poi in seguito alla decisione che tutti conosciamo».
Quando Pone si è dimesso tu non eri più assessore da un mese, «sostituito» in giunta per tutelare i già precari equilibri. Hai trovato naturale condividere l’esperienza con il successore Carmine Esposito?
«Non subito, tant’è che non mi sono candidato né nelle sue liste né altrove, un po’ per coerenza e un po’ per rispetto per l’esperienza terminata con una compagine che, seppure nata sotto la stessa bandiera politica, prese un’altra strada (ndr, il sindaco uscente Carmine Pone sostenne in quella campagna elettorale il candidato sindaco Carmine Capuano). Conobbi Esposito dopo la presentazione delle liste, la voglia di condividere un’esperienza c’era e alla fine mi sono innamorato del suo modo di intendere la politica. Nemmeno in quell’occasione, però, avevo sentore che sarei diventato assessore della sua giunta, invece il sindaco non ebbe dubbi, nonostante le varie rimostranze da più parti. Ho messo a disposizione la mia professionalità, le mie conoscenze e devo dire che è stata un’esperienza amministrativa fortissima».
Dopodiché anche il sindaco Lello Abete ti ha riconfermato, nominandoti suo vice. Tre sindaci di seguito, peraltro tutti socialisti. Definiresti ciascuno di loro con due aggettivi?
«Non è semplice, ma ci provo. Carmine Pone: pioniere, non condizionabile; Carmine Esposito: rivoluzionario, riformista; Lello Abete: pragmatico, diplomatico».
Qual è la cosa più concreta che sei riuscito a fare per la città in questi anni, a prescindere dal primo cittadino con il quale hai lavorato?
«Ne ricordo tante, un’ultima con molto piacere: ho seguito in prima persona un finanziamento ottenuto di recente, 800mila euro per riqualificare la zona di Madonna dell’Arco con marciapiedi e arredo urbano, una cosa che mi ha dato estrema soddisfazione. Ma posso fare un rapido sunto, avendo approvato in questa settimana il consuntivo 2014: rispetto all’avanzo di 160 mila euro che ho trovato sette anni fa, oggi ne abbiamo uno di 5 milioni di euro e una cassa di 3 milioni di euro. È importante, perché oggi la maggior parte dei Comuni sono in anticipazione di tesoreria cioè non riescono a pagare i servizi che acquistano e si devono rivolgere alle banche. Questo è il preambolo del dissesto, mentre avere soldi in cassa è il sintomo che si riesce ad avere una buona gestione corrente e inserire anche quel po’ di straordinario o quel tanto che occorre. Questo problema si verifica perché stiamo andando verso un federalismo pieno, non è più lo Stato che eroga soldi, bisogna usare quelli che arrivano dalle tasse imposte ai cittadini e almeno il 30 % del totale non arriva subito, lo sfasamento determina perdita di liquidità. Detto ciò, mantenere il Comune con una cassa capiente oggi significa avere senso di responsabilità».
Responsabilità intesa come rigore?
«No, io non sono tutto rigore. La mia idea è che il Comune debba mantenere i limiti che la legge gli impone ma “borderline”, cioè giusto un po’ sopra. Credo che tutto quello che i cittadini ci danno debba conferirci l’obbligo morale, oltre che amministrativo e politico, di reinvestirlo in servizi per loro, in opere, garantendo al contempo la serietà e l’etica con il rispetto di tutti i parametri di stabilità, di gestione cassa, dei vincoli di bilancio. È quel che abbiamo fatto e mi pare, senza paura di essere smentito, che il Comune sia migliorato, nonostante i vincoli».
Bilancio, tributi, programmazione, le tue deleghe attuali. Avete intercettato, negli ultimi anni, finanziamenti europei?
«Quella 2014 – 2020 è una grande sfida. Qui sono arrivati finanziamenti per 4 milioni e mezzo di euro: l’ex mattatoio comunale, la riqualificazione dell’ex Avis di via Romani che sarà incubatore di impresa e centro polifunzionale, 1 milione e 200mila euro per Citizen online che fa di Sant’Anastasia un comune all’avanguardia nel campo dell’informatizzazione, qualche tempo fa l’isola ecologica che si inaugura il 30 aprile, il piano di protezione civile, Lagno Maddalena».
Nei tuoi primi anni da assessore tentasti l’esperienza del bilancio partecipato, risultati?
«Sì, con la freschezza di un giovane assessore. Poi ci si rende conto, purtroppo, che puoi intercettare qualche istanza, qualche esigenza ma, alla stessa maniera in cui un bimbo si rende conto presto che Babbo Natale non è altro che il suo papà, ci si accorge che il bilancio degli enti locali è per quasi il 95 % già predisposto da contratti in essere, da obblighi normativi. Quello che la politica può muovere è poco in realtà, se non andando a tagliare gli sprechi, a diminuire le falle, come per esempio eliminare una municipalizzata».
Già, gli sprechi. Il tuo primo sindaco, Carmine Pone, ebbe a dire: “La ricreazione è finita”.
«E infatti, in quei due anni, di sprechi ne abbiamo tagliati molti. Io credo che prima vigesse un certo modus operandi, spesso in buona fede per carità, che oggi non sarebbe più tollerato. Fatture pagate senza pezze di appoggio, a voce, tanto per dirne una. Anche oggi ci concentriamo molto sul controllo delle utenze, nei vari uffici e sul territorio, perché ci rendiamo conto che verificare i consumi di corrente elettrica, gas, acqua, telefono, è un obbligo periodico, in caso contrario c’è sempre qualcosa che può sfuggire».
Diciamo che la delega ai tributi non è quella più amata dai cittadini, c’è speranza di limare anche le tasse oltre agli sprechi?
«Al momento lavoriamo su quattro tributi, con l’attuale normativa. L’Imu solo per le seconde case, la Tasi, l’addizionale Irpef e la tassa sui rifiuti. Quest’ultima è calcolata più sul nucleo familiare che sui metri quadri ma l’obiettivo è sicuramente farla diminuire. I margini di miglioramento ci sono e finalmente il 30 aprile sarà inaugurata l’isola ecologica che attendevamo da troppo tempo, dunque lavoreremo sugli incentivi. Proporrò, dal primo giorno di apertura, 100 euro di sconto sulla tassa per chi conferisce più materiali il 30 aprile. Ulteriori sconti ci saranno per chi adotta un cane, per le attività commerciali che ristrutturano, penseremo incentivi ad hoc per i cittadini attivi. Anche la Tasi è più bassa qui che in altri Comuni, un punto e mezzo rispetto a Somma Vesuviana, per dirne una. Mentre l’Imu per le seconde case è al massimo e mi sembra giusto così. Altra nota lieta riguarda l’Irpef: tutti i Comuni intorno a noi, ma anche a livello regionale e nazionale, si stanno avvicinando al massimo, lo 0.8, noi manteniamo ancora lo 0.5. Il resto potrò dirlo a metà maggio, con bilancio approvato».
C’è invece qualcosa che non sei riuscito a fare ma che avresti voluto?
«Chi ha la delega ai tributi mira a ridurre le tasse, ma qualcosa d’altro c’è: convincere i dipendenti comunali che, oggi, avere un posto pubblico a tempo indeterminato è una grande ricchezza, non solo in termini economici ma di serenità. Un vantaggio che nemmeno chi lavora nella più florida azienda del mondo può avere. Ebbene, questo dovrebbe dar loro il diritto – dovere di impegnarsi molto di più, purtroppo la nostra mentalità non pare lo preveda».
Mi pare di capire che, a tuo parere, in questi anni una delle difficoltà abbia riguardato la macchina comunale.
«Lo dico senza peli sulla lingua: è proprio la macchina comunale che ci ha limitato nel raggiungimento di alcuni obiettivi. Dopo sette anni negli uffici, posso dire che, tolte alcune evoluzioni, ci sono state molte delusioni. Lo avverte anche il cittadino medio, se riusciamo ad impattare sulla macchina comunale cogliamo anche le istanze della comunità».
Non sono previste nuove assunzioni nell’organico comunale?
«Avremmo sicuramente necessità di alcune figure, almeno tre. Ma non possiamo far nulla al momento, le assunzioni sono bloccate perché, per il comma 424 della finanziaria, i Comuni sono destinati ad assorbire i funzionari della Provincia, oggi Città Metropolitana. Tra l’altro credo che saranno loro a fare barricate giacché sono al momento remunerati molto più di quanto potrebbero i nostri Enti».
Hai iniziato a interessarti di politica sotto la bandiera di Forza Italia, ma oggi c’è un cartello politico dal quale ti senti rappresentato, in Italia?
«Oggi chi si sente liberale fino in fondo vive una grossa crisi di identità e non si rivede in un centrodestra che latita in termini di classe dirigente. In un periodo recente pensavo che potessero rappresentare queste istanze personaggi come, per esempio, Gaetano Quagliariello, mi rivedevo nel suo modo di intendere la politica: molto tecnico, pochi fronzoli, zero chiacchiere. Direi che il centrodestra ha bisogno di una decisa svolta e bisogna prepararsi da qui al 2018: Renzi governerà un altro bel po’, ha dimostrato capacità da equilibrista».
E Berlusconi?
«Ci traghetterà al 2018, non so con quali risultati. Io non penso che sia da escludere una candidatura della figlia Marina, ne parlavamo in un congresso delle Generali a Roma con alcuni colleghi milanesi che danno per scontata la sua discesa in campo. Ben venga, ma non ha il carisma del padre».
Intanto molti consensi li stanno intercettando, da fronti diversi, Salvini e Grillo.
«Di Salvini posso condividere alcune, poche, idee ma per me è troppo estremista anche nel modo di parlare. Grillo è totalmente impresentabile per chiunque abbia buon senso, un disfattista senza capo né coda».
Invece, in Europa? C’è un leader in cui possa riconoscerti?
«L’Europa ha oggi in Mario Draghi un leader che non è politico ma che sta salvandoci dal punto di vista economico. Il suo QE (ndr, Quantitative Easing, cioè “alleggerimento quantitativo”, stimolo, operazione che rientra nel complesso delle politiche monetarie adottate da una banca centrale; Draghi ha voluto una sorta di espansione di bilancio con 1100 miliardi di acquisti di titoli che ha sorpreso i mercati al rialzo e ha posto il QE dell’Eurozona allo stesso livello di quello degli Usa, per fronteggiare la stagnazione e la minaccia di una spirale deflazionistica in un quadro che la Bce ha descritto come senza precedenti) sta dando i primi frutti e ne vedremo di più nei prossimi diciotto mesi. Io credo molto all’Europa e lo dico anche come soggetto che per lavoro propone investimenti. Lo dico come chi, da amministratore, vive il dramma di assistere a scene di persone, di ragazzi, che non hanno lavoro. La ricetta di Draghi, con riforme che alcuni Stati, tra cui l’Italia, stanno mettendo in campo servirà a colmare almeno in parte il gap con gli Usa, sia in termini di ripresa economica che di lotta alla disoccupazione».
Quanto tempo dedichi al tuo impegno da vicesindaco e assessore?
«Diverse ore tutti i giorni, concilio quest’impegno con il mio lavoro e sono molto mattiniero. Non torno mai a casa prima di aver accumulato tredici ore di lavoro».
Tornando a parlare di tagli, in alcune realtà limitrofe sindaci e anche assessori hanno rinunciato alle indennità di carica. Tu che ne pensi?
«Si chiama indennità e non, appunto, stipendio perché quello che un amministratore svolge non è un lavoro, bensì una funzione sociale, cerchiamo di fare il meglio per la comunità che rappresentiamo. Diciamocela tutta, quella piccola indennità, quel gettone, qualifica il lavoro e spesso non in maniera proporzionale perché ammonta mensilmente a meno del valore rispetto alle responsabilità e ai rischi che mi assumo ogni giorno per ogni atto che firmo in giunta. Del resto sono contrario ad ogni prestazione professionale non retribuita, mi comporto così, nel lavoro, anche con i miei collaboratori».
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
«L’ultimo è “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano. Quello che ho amato di più è però “La polvere del Messico” di Pino Cacucci, perché la vita è un po’ un viaggio, in fondo. Leggo anche saggi di settore, compatibilmente con il tempo che mi rimane da dedicarvi».
Tempo per lo sport te ne rimane?
«Calcetto e tennis, quando posso. Per il resto, soprattutto nei weekend, tento di recuperare il tempo che durante la settimana tolgo a mia figlia e mia moglie».
Tua figlia Antonia è ancora piccola, ma come vorresti che fosse per lei, tra qualche anno, il luogo in cui dovrà vivere?
«Il mio impegno serve anche a questo, sono un genitore e so che di qui a pochi anni Antonia si troverà a vivere la città. Non perché sia parte in causa, ma abbiamo fatto molti passi avanti in termini di vivibilità e decoro. Stiamo lavorando perché ci sia una maggiore fruizione di servizi pubblici per le nuove generazioni, conquista che vedo presente nelle città del nord e del centro che frequento spesso per lavoro. Un palazzetto dello sport, una piscina comunale, non possono non esserci in un paese come il nostro e di qui a qualche settimana il bando del project financing per realizzare quest’ultima sarà pronto. Per Antonia vorrei un paese dove possa vivere serena, giorno e notte, perché non pensi di andare via da qui. Io avrei potuto farlo, in molte occasioni, ma ho scelto di rimanere per l’amore incondizionato che porto alla mia terra, spero che lei possa pensarla così. Sto lavorando per questo».
Quale valore vorresti trasmetterle, quello più importante per te?
«Vorrei avesse la stessa voglia di migliorarsi sempre che ho io, nei rapporti, nel lavoro, nella famiglia».
Dai l’impressione di essere ambizioso. Dov’è che vorresti arrivare?
«Noi siamo tutti di passaggio in questa vita. Ho un’unica ambizione: quella di lasciare un segno».
Ricapitoliamo: ti sei definito un liberal –conservatore, hai collaborato con tre sindaci che si dicono, tuttora, socialisti. Cosa pensi delle polemiche che di recente hanno coinvolto alcuni esponenti della tua maggioranza che l’opposizione ha definito, in più occasioni, “neofascisti”?
«Fascista e comunista sono termini superati. Lo sono anche un po’ le distinzioni tra Destra e Sinistra: prendiamo il premier Matteo Renzi, in realtà è più liberale di molti esponenti del centrodestra. Io non mi considero un neofascista, né credo ve ne siano tra gli esponenti della maggioranza».
Ma di Mussolini politico, anche non avendo per ovvi motivi vissuto quella parte della storia italiana, che pensi?
«Al liceo scelsi, per una tesina, di studiare il ventennio. Credo che da statista sia riuscito a dare all’Italia un ordine nelle vicende sociali e un’identità. Come però spesso avviene a chi si riempie di sé stesso e si crede onnipotente, degenerando nell’estremismo, quei suoi valori e quegli obiettivi apprezzabili hanno finito per decadere».
Se fosse in tuo potere cambiare una legge attualmente in vigore, quale sceglieresti di modificare?
«Non solo una. In primis cambierei le norme sulla Pubblica Amministrazione, il Testo Unico sugli Enti Locali, andando a rivedere la Bassanini e dando maggiore responsabilità all’organo politico, con un controllo ex post che garantisca sanzioni in caso di operato non adeguato. Ma l’operato, se vogliamo dirla tutta, si misura con il voto dei cittadini. Ovviamente agirei sulla tassazione, non è possibile che in Italia le tasse siano di gran lunga superiori a paesi concorrenti, sono convinto che si debba sì contribuire alla spesa pubblica in misura del reddito ma con questo trend rischiamo, come già avviene, che le aziende scelgano altri paesi per le loro sedi. Occorre una seria lotta all’evasione e incentivi per far sì che le imprese restino e paghino le tasse qui. Un’altra anomalia italiana riguarda la giustizia, la questione delle intercettazioni è materia sulla quale lavorare e bisognerebbe agire sulla stessa struttura del procedimento, con i tre gradi di giudizio che oggi spesso si contraddicono l’uno con l’altro».
E la forma di Governo? Tenderesti al presidenzialismo?
«Sì, L’Italia tenderà verso questa direzione, ma sarei d’accordo anche con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e auspico come grande riforma il bipolarismo all’americana. Oggi qui nessuna coalizione riesce a dare la discontinuità alternata che negli Usa è garanzia di governabilità per un tot di anni».
Il tuo rapporto con il denaro com’è?
«Molto sereno, mi piace comprare quel che serve».
A tavola, invece? Sai cucinare?
«No, per nulla. Sono passato dall’ottima cucina di mia madre a quella altrettanto all’altezza di mia moglie. Diciamo che hanno cura di me, Fiorella prepara una lasagna bianca con la besciamella e dei calamari al forno che mi fanno letteralmente impazzire».
Qual è l’ultimo regalo che le hai fatto?
«A mia moglie? Ma sono io, il regalo. Scherzi a parte, le ho comprato un paio di occhiali da sole».
Hai detto di amare i numeri, ce n’è uno che ha per te un significato particolare?
«Sì ma non te lo dico, sono scaramantico».
Ti definiresti un cattolico praticante?
«Cattolico e praticante, ogni mattina alle 7, 15 vado in chiesa».
Cos’è l’amicizia per te?
«Un valore in cui credo, ho diversi amici e mi ritengo fortunato. Credo sia indice di quanto ci si vuole bene il non chiudersi in sé stesso, condividere le cose, dalla più stupida alla più seria».
Un proverbio che faresti tuo, senza pensarci?
«Buon sangue non mente. Mi rivedo molto in mio padre che stimo tantissimo, siamo anche buoni amici, condividiamo ogni cosa, ci consigliamo, ci sentiamo più volte al giorno».
Ti piace il gioco? Compri biglietti della lotteria, tenti la fortuna?
«No, qualsiasi gioco faccia deve essere qualcosa in cui possa pensare e decidere. Non potrei essere passivo, se è solo il caso, o la fortuna, a determinare una vincita ho un assoluto rigetto».
Un tuo difetto e un tuo pregio?
«Penso e faccio più cose in contemporanea, per chi non ci riesce è un difetto, finiscono per non reggermi perché non sopporto di perdere tempo. Il pregio credo sia quello di essere intuitivo, di saper cogliere le situazioni prima, al volo».
Quanto ti importa della percezione altrui?
«Tengo molto ad apparire bene, nel mio lavoro a volte l’abito fa il monaco».
L’uomo italiano che consideri più elegante?
«Mi vengono in mente sia Luca Cordero di Montezemolo che Sergio Marchionne: a volte un semplice maglione può spiazzare restando comunque eleganti».
E la donna più affascinante?
«Emma Marcegaglia si presenta benissimo. Se andiamo oltre l’Italia, direi Charlize Teron».
Ti stacchi mai dal cellulare? (nel corso dell’intervista l’ha caricato almeno due volte)
«Pochissimo, lavoro con il telefono e grazie alla tecnologia riesco ad avere contatti a livelli importanti. Infatti il mio Iphone è costantemente scarico».
Una tua fobia?
«Non sopporto la vista del sangue».
L’opera d’arte che ami di più?
«Adoro gli impressionisti e passerei ore nel Museo d’Orsay a Parigi. Amo particolarmente un quadro di Monet, “Il Prato”».
Fai conto di dover trascorrere un lungo periodo di tempo su un’isola deserta, cosa porti con te?
«A parte che non potrei caricare il cellulare, non resisterei mai su un’isola deserta: io devo parlare con gli altri, relazionarmi con la gente. Sto benissimo con me stesso e non cambierei la mia vita con nessun’altra ma anche vedere un film è più bello in compagnia. No, niente isole deserte».
Se potessi dare un consiglio, facendoti ascoltare da tutti i giovani che stanno per entrare nel mondo del lavoro?
«Scorciarsi le maniche e cogliere il senso del sacrificio che oggi manca. Alzarsi presto, dare un senso ad ogni giorno, mettere da parte la pigrizia e il lassismo».
Solo un’altra domanda. Se dovessi raccontarti a chi non ti conosce, in poche parole, cosa diresti? Chi è Armando?
«Un giovane che crede in sé stesso, che crede di poter dire la sua, che ha piacere di operare nell’interesse altrui».