Somma Vesuviana, il ruolo delle masserie tra cultura contadina e politica locale

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Disperse ed isolate sull’intero territorio di Somma, le masserie hanno sempre rappresentato un utile e, più di una volta, decisivo serbatoio per il potere politico locale. Il consenso viscerale è stato sempre – spiega lo storico Angelo Di Mauro – la conseguenza della mentalità rurale che ha sempre prestato omaggio, sin dall’antichità, ai suoi re, siano essi angioini, aragonesi, spagnoli, borbonici, piemontesi, fascisti e democristiani.

 

Quale era il clima elettorale in queste zone, basta ricordare che ad un comizio indetto dal PSI nel 1960 nella masseria dei Lupi, i due candidati socialisti rimasero a lungo sul palco in attesa di pubblico. Non ci andarono neanche i lupi. Ci fu ordine di serrata. Gli abitanti del posto, avvertiti preventivamente, chiusero porte e finestre come nella migliore tradizione omertosa siciliana. Per strada non girava anima viva, manco stesse maturando all’epoca un delitto. La vocazione conservatrice e codina delle masserie sommesi – continua Di Mauro – ha radici che affondano nell’estensione dei feudi medievali, da cui derivava la soggezione degli uomini dagli occhi bassi e cappello in mano innanzi al padrone che decideva chi lavorava e chi mangiava. Uomini che si rivolgevano al signorotto con la deferente espressione: Buongiorno o’ ssignuria, cumandate. Soggezione purtroppo, ancora oggi, non del tutto eliminata dalle libertà introdotte. Il feudo bianco, quello democristiano ad esempio, si appoggiava al serbatoio di voti dei possidenti /notabili delle masserie al nord del paese, come la masseria Resina, la masseria Paradiso, la Starza, Sant’Anna, Scotola, Capitolo e Allocca.

La masseria, dal latino massa, ossia insieme di fondi, è un insediamento edilizio rurale tipico del XVI – XVII secolo, che ha rappresentato per lungo tempo il tipo di azienda (a carattere agricolo – pastorale) più diffuso nel meridione d’Italia, diventando a pieno titolo espressione della cultura contadina locale. La loro origine è normalmente legata agli Ordini religiosi, ma nella Terra di Somma si sono sviluppate grazie alle numerose concessioni che re e regine hanno fatto ai loro confidenti collaboratori a partire dal XIV secolo. Esse erano (e sono) costituite da una grande casa rurale, con spazi per gli attrezzi e le bestie, spesso con una configurazione a cortile. Le masserie dei religiosi più grandi, invece, venivano gestite  e la loro produzione veniva in parte destinata all’autoconsumo, in parte utilizzata per scopi assistenziali e in parte venduta.

Una masseria, comunque, è costituita da un casamento e, normalmente, da  una piccola cappella per dire Messa; è circondata da un vasto latifondo condotto quasi esclusivamente da villani e mezzadri, per i quali il signore non aveva alcun rapporto in passato, se non le limitazioni nelle assegnazioni per censo di non più di un ettaro di terra a ciascuno da poter coltivare e sfruttare. In questo modo, il nobile signore non avrebbe mai offerto al suo villano, benché capace e intraprendente, di sperare di emanciparsi e ascendere ad un più alto grado sociale.

L’allora guardiano, con la sua famiglia, costituiva – spiega, negli scritti inediti, l’ing. Vincenzo Romano – la longa manus del signorotto. Spesso si sostituiva a quest’ultimo, pur non avendone titolo, divenendo il ras, lo sceriffo, lasciando successivamente, quale fosse una sorte di eredità, il potere zonale ai familiari e ai loro discendenti e considerando i coloni dei veri e propri sudditi. E’ da sottolineare, però, che molti dei nobili proprietari, vivendo nella grande città ed assuefatti dal lusso, dal gioco e dall’ozio, non avevano alcuna esperienza della dura vita di campagna. La maggior parte delle volte, i ricchi dovevano appagare i loro vizi con i scarsi proventi provenienti dalle rendite dei coloni, che specialmente dopo la seconda guerra mondiale non furono più in grado di assolvere alle dovute prestazioni. Tutto ciò indusse molti nobili proprietari a disfarsi di quello che per loro era divenuto un’enorme incombenza, decidendo di alienare i propri beni a prezzi decisamente irrisori. Le operazioni di trasferimento, poi, furono anche favorite dalla nascente riforma agraria, prevista dal Piano Verde del 1950, che prevedeva la prelazione a favore dei conduttori per l’acquisto dei fondi e la concessione di previdenze ed agevolazioni per l’ammodernamento e la realizzazione delle loro residenze. Oggi, quelle stesse famiglie del guardiano, una volta divenute proprietarie, in virtù della predetta riforma agraria, tutt’ora determinano ed orientano la vita politica del paese. Da padre in figlio, hanno occupato, peraltro, gli alti scranni della vita politica locale. Sono divenuti personaggi duri da estirpare e abili frequentatori delle stanze municipali. Sono, ancora, quelle persone che con la promessa di risolvere i problemi al prossimo, spesso millantano conoscenze ed inesistenti poteri. I loro servigi per qualche dovuta certificazione, fino a pochi anni fa, venivano adeguatamente barattati nella cabina elettorale. Una cosa è certa: la vita all’interno delle masserie è stata sempre avvilita da pesanti condizionamenti elettorali, che hanno fatto, ed ancora fanno, la decisiva fortuna di certi soggetti, al punto di conquistarsi la simpatia e, forse in alcuni casi, il non meritevole potere. Quanto alle masserie – continua Romano – molte sono ridotte ad ingombranti ruderi, altre invece minacciano di crollare, mentre sono poche quelle che, nonostante la vetustà risultano essere in buone condizioni statiche e locative. Tra le più rappresentative ricordiamo: San Martino, Bosco, Serpente, Pigno, San Sossio, Duca di Salsa, Malatesta, Madama Fileppa, Monte, Pontillo, Scotola, S. Anna, Starza Regina, Resina, D’Avino, Cupa Fasano, Palazzo Tafone, De Falco, Matarazzo, Santa Chiara, Saracari, Micco, Cerciello, Allocca, Vignariello, Zingariello, Fornari, Mele, Paradiso, I Volpi, Musciabuoni, Ciciniello, Reviglione ed il Castello D’Alagno, quest’ultimo inteso solo come centro di potere.